Il provvedimento del ministro Piantedosi: trasferte vietate per due mesi ai tifosi di Roma e Napoli
Applausi a scena aperta. Veramente, congratulazioni al ministro Piantedosi per un provvedimento figlio di un ragionamento privo di ogni isteria e dettato dalla scrupolosità. Un provvedimento che raggruppa tutti i tifosi sotto un’unica bandiera, quella della delinquenza. Infatti, oggi Piantedosi ha fatto sapere che, a seguito degli scontri verificatisi sull’A1 settimana scorsa, i tifosi della Roma e del Napoli non potranno andare in trasferta per i prossimi due mesi, fino ad aprile. Perché ovviamente da aprile in poi l’odio, la violenza e la rivalità tra ultras scemerà grazie all’inizio della primavera. Si sa: l’aria primaverile stempera gli animi.
La “linea dura” del governo avrà i suoi effetti sin da subito con l’intento di colpire le frange più estreme del tifo organizzato. Il che, se ci consentite, non sarebbe sbagliato se i responsabili pagassero per quanto fatto. Ma a causa dei responsabili e di questa assurda decisione di chi il tifo lo ha vissuto comodamente sdraiato sul divano, tutti saranno puniti: il bimbo di sei anni, il padre con il figlio, il signore di ottant’anni e il giovane privo di ogni sentimento rancoroso o volto alla violenza. Tutti, nessuno escluso. Perché la giustizia non prende l’individuo, ma il gruppo: facile così.
E se la “linea dura” colpisse anche i tifosi innocenti? Lo Stato farebbe di tutta l’erba un fascio, no?
Facciamo un esempio: un giorno prendiamo l’autobus per andare al lavoro e assistiamo ad una rissa all’interno del mezzo di trasporto. Gli aggressori scappano e alle autorità rimane difficile identificare i suddetti. Pertanto, cosa fanno? Portano in questura tutte le persone presenti sull’autobus e fanno scattare una denuncia nei loro confronti, nonché il divieto di salire sul mezzo di trasporto per i due mesi successivi. A occhio e croce, ci troveremmo davanti ad un’ingiustizia bella e buona nei confronti di chi sedeva sull’autobus: sarebbero puniti degli innocenti, si applicherebbe il concetto di giustizia sommaria. Ciò che è successo con questo provvedimento non è forse la stessa cosa?
Come succitato, a volte nel calcio vengono prese decisioni da chi il tifo non lo ha mai conosciuto veramente e che fa di tutta l’erba un fascio. Le trasferte vietate sono un insulto a coloro che si recano in altre città con il solo scopo di tifare la propria squadra senza scadere nella violenza. Che colpa ha un padre che vuole vedere la Roma o il Napoli in trasferta con suo figlio? E non ci dicessero che applicano questa restrizione anche per salvaguardare i tifosi; no, è una presa in giro, anche perché gli eventi sull’A1 si sono consumati a trecento chilometri da Milano e a duecento da Genova (dove hanno giocato Roma e Napoli in trasferta) e non nei pressi dei rispettivi stadi. Il bigottismo del provvedimento lede i diritti non del tifoso ma dell’uomo stesso che, a causa del metodo “punirne uno per educarne cento”, anzi, “punirne uno e punire a caso altri cento”, vede compromessa la propria libertà per colpa dello Stato. Lo stesso Stato che dovrebbe garantire chiarezza e scrupolosità nel giudicare chi è colpevole e chi no.
La colpa di uno Stato spesso assente che si concentra sull’insieme senza individuare i responsabili
La discriminazione territoriale: altro grande espediente utilizzato dalla prefettura per arginare il tifo violento. Concentrarsi sull’insieme e non indagare sul singolo. Oramai è il mantra di chi si siede al tavolo e sciorina una lunga lista di propositi morali volti a “sensibilizzare” l’opinione pubblica. Perché certo, come no? Un “Vesuvio erutta” è cantato da quindicimila persone in curva, anche dai bambini o dagli anziani; perché in curva sono presenti anche queste frange “estreme” del tifo e anch’esse vengono ingiustamente sanzionate. Ma anche se fosse, perché questi cori dovrebbero essere etichettati come discriminazione territoriale? Chi inneggia al Vesuvio, a “Milano in fiamme”, a Nerone o ad un’eventuale esondazione del Tevere, al mare inquinato di Genova si abbandona alla goliardia e allo sfottò. Goliardia e sfottò che sono elementi caratterizzanti del tifo e che senza verrebbe meno. Se ovviamente si scade nel razzismo, allora la questione prende giustamente pieghe diverse. Ma le differenze territoriali si basano anche sulla presa in giro e su un risentimento che sfocia nei novanta minuti di gioco e che non dovrebbero essere per nulla al mondo soppressi da sterili convinzioni (e convenzioni) perbeniste.
Volete punire questi cori? Fatelo, ma non mettete in mezzo persone che non c’entrano nulla. In Inghilterra negli ultimi anni hanno rintracciato, grazie ad un sofisticato sistema di telecamere, un consistente numero di tifosi dediti a cori e gesti razzisti. Perché in Italia, al contrario, si fa di tutta l’erba un fascio? Facile abbandonarsi all’emanazione di una pena collettiva quando le risorse tecnologiche ed economiche risultano insufficienti. Ma tanto in questo paese puntare il dito contro il gruppo rimane l’azione più semplice, perché tanto, prima o poi, i responsabili escono fuori e gli innocenti dovranno comunque seguire la stessa scia.
Lorenzo Tassi