Su 100 mila persone in attesa di trapianto di organi, circa 17 muoiono prima di riceverlo, negli USA
Più di 109.000 persone negli Stati Uniti erano in attesa di trapianto di organi nel novembre 2020 e circa 17 muoiono ogni giorno prima di riceverne uno. Cercando di espandere il pool di organi a disposizione di questi pazienti, i medici stanno iniziando a guardare a fonti un tempo considerate off-limits: organi di donatori deceduti con infezioni, come HIV ed epatite C.
In passato, l’idea di trapiantare un organo da un donatore infetto a un ricevente immunodepresso sembrava impensabile. Ma una migliore comprensione delle malattie causate da alcuni agenti patogeni, così come la disponibilità di nuovi farmaci per trattare o addirittura prevenire le infezioni, ha consentito che gli organi da donare, in passato non utilizzati, possono ora esserlo con successo. Questo e altro è quanto emerge da una recente ricerca pubblicata sulla rivista americana PNAS.
Negli ultimi anni, questo principio è stato dimostrato attraverso una serie di studi clinici sull’epatite: i riceventi di organi, trattati profilatticamente con nuovi farmaci per l’epatite C, sono stati protetti dall’infezione dopo aver ricevuto organi da donatori infetti da HCV.
La disponibilità di nuovi farmaci ha rivoluzionato la disponibilità del trapianto di organi
Questa prova di concetto è stata resa possibile nel 2013. Ciò grazie ai progressi in una nuova classe curativa di farmaci HCV noti come antivirali ad azione diretta. E arriva in un momento in cui l’epidemia di oppioidi ha, per tragiche ragioni, ha aumentato il potenziale apporto di donatori di organi deceduti, molti dei quali infettati da HCV.
Ma i ricercatori stanno anche esplorando modi per usare in sicurezza gli organi dei donatori infettati da altri virus, tra cui l’HIV, così come altri agenti patogeni. In tutti i casi, rendere disponibili più organi vitali richiede non solo un trattamento efficace e test affidabili per rilevare le infezioni, ma anche costruire la fiducia di pazienti e medici.
Riceventi di trapianto di organi e medici
I riceventi di organi e i loro medici hanno sempre dovuto valutare attentamente i benefici e i rischi del trapianto, compresa la soppressione immunitaria per tutta la vita e rischi di infezioni.
Una nuova ricerca mira ad ampliare ulteriormente questa zona di comfort. Sebbene rimangano sfide, come l’alto costo dei farmaci HCV, la difficoltà di condurre studi sui trapianti e lo stigma sociale intorno ad alcune malattie, i medici vedono spazio per il progresso. Nel 2016, ad esempio, i ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora hanno trapiantato reni da donatori sieropositivi deceduti a riceventi sieropositivi. I ricercatori hanno eseguito la procedura con un donatore vivente per la prima volta negli Stati Uniti l’anno scorso.
In passato, il rischio di infezioni associate a trapianto era maggiore
In tutti i trapianti, i medici devono “inondare” il corpo del ricevente di immunosoppressori. Questo per ridurre al minimo le possibilità che il corpo rifiuti un organo innestato. Di conseguenza, i trapianti sono sempre stati effettuati sotto la minaccia di infezione vista l’induzione della immunosoppressione. C’è una componente infettiva in ogni trapianto.
Sulla base delle linee guida della rete di approvvigionamento e trapianto di organi (OPTN), i potenziali donatori viventi e deceduti vengono rilevati per molte infezioni comuni, tra cui HIV, vari virus dell’herpes, sifilide, toxoplasma e altro ancora. I medici prendono quindi decisioni sui rischi e benefici del trapianto di ciascun organo nel contesto della salute del donatore e dei riceventi. Ad esempio, un donatore morto di influenza, che colpisce principalmente i polmoni, può essere in grado di donare reni o altri organi. Allo stesso modo, i donatori con meningite batterica o infezioni del flusso sanguigno trattati prima della morte possono essere in grado di contribuire alla donazione.
Alcune delle infezioni più comuni che i trapianti sono noti trasmettere includono il citomegalovirus o il virus Epstein-Barr. Questi infettano, ciascuno, circa il 50-80% degli adulti negli Stati Uniti. Nella maggior parte dei casi, i medici cercano di abbinare donatore e ricevente per lo stato di citomegalovirus. Con il virus Epstein-Barr, tuttavia, se un ricevente di organi non ha contratto il virus ma un donatore lo ha fatto, il trapianto può aumentare le possibilità del ricevente di sviluppare alcuni tipi di tumori. Tuttavia, queste infezioni non escludono l’uso di un organo.
I medici sono più cauti quando non conoscono la causa della morte, specialmente se potrebbe essere stata un’infezione.
Le lezioni del passato sui trapianti di organi
Le linee guida per i protocolli di screening che mirano a ridurre il rischio di tali infezioni si basano sulle lezioni apprese in passato. Ad esempio, una relazione sul caso del 2009 a New York ha descritto un trapianto di rene in cui un donatore vivente ha trasmesso l’HIV al ricevente. I medici hanno concluso che i donatori viventi dovrebbero essere testati per l’HIV molto più vicino alla data dell’intervento chirurgico di trapianto. Inoltre, devono essere invitati a evitare di esporsi a una nuova infezione prima del trapianto.
Gli autori della relazione hanno osservato che il caso del 2009 rappresentava la prima trasmissione confermata dell’HIV attraverso il trapianto di organi dal 1989. Era inoltre la prima negli Stati Uniti da quando lo screening di laboratorio per l’HIV è diventato disponibile nel 1985. E al momento dell’incidente, i test per l’HIV e l’HCV nei potenziali donatori non erano “buoni” come i test moderni. Ciò perché dipendevano dal rilevamento degli anticorpi, i quali necessitano di tempo per comparire dopo un’infezione.
Una migliore rilevazione degli organi infetti è un passo verso la garanzia di trapianti sicuri. Ma trapiantare in sicurezza organi da donatori infetti da determinati agenti patogeni è una nuova frontiera. Arrivarci richiede nuovi trattamenti, una migliore comprensione delle malattie e la costruzione della fiducia dei potenziali destinatari di organi, nonostante le battute d’arresto.
I nuovi approcci al trapianto di organi
Dallo sviluppo di antivirali ad azione diretta per l’epatite C che bloccano la riproduzione virale ed eliminano l’agente patogeno, piccoli studi hanno stabilito come i farmaci possono essere utilizzati dai riceventi di organi, prima o immediatamente dopo i trapianti, per ridurre al minimo il rischio di infezione. Ma data la natura altamente individualizzata dei trapianti, gli studi randomizzati sono difficili da condurre. E i trapianti da donatori positivi all’HCV si stanno già verificando al di fuori di studi organizzati.
Nel 2017, i ricercatori dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia hanno condotto uno dei primi studi, trapiantando reni da donatori positivi all’HCV in 10 riceventi non infetti. Il virus ha raggiunto livelli rilevabili in tutti i riceventi entro il terzo giorno dopo il trapianto. Ma, dopo un ciclo di trattamento con i nuovi farmaci, tutti hanno superato la loro infezione entro 12 settimane, con relativamente pochi effetti collaterali.
Nel 2019, Woolley e i suoi colleghi del Brigham and Women’s Hospital hanno completato uno dei più grandi studi di questo tipo. Hanno trapiantato cuori e fegati da donatori infetti da HCV in 38 pazienti negativi all’HCV. Un ciclo di quattro settimane di farmaci immediatamente dopo la procedura ha impedito con successo la trasmissione del virus.
I ricercatori sperano di continuare ad accumulare prove per la fattibilità dell’uso di organi da donatori infetti
Nonostante la difficoltà di fare studi su larga scala, i ricercatori sperano di continuare ad accumulare prove per la fattibilità dell’uso di organi da donatori infetti da HCV. Come per altre malattie, vedono due strategie per l’uso degli organi in riceventi non infetti. La prima prevede di prevenire l’infezione nel ricevente con dosi profilattiche di farmaci antivirali. La seconda di attendere che il virus raggiunga livelli rilevabili nei riceventi del trapianto e quindi trattare l’infezione. Prevenire l’insorgenza dell’infezione è meglio che doverla gestire.
Ma sfortunatamente, ci sono ancora limitazioni all’accesso a questi farmaci a causa di problemi assicurativi, negli USA.
Agostino Fernicola