Transizione ecologica: un ministero sospeso tra incognite e possibilità

Transizione ecologica

Il 12 febbraio 2021, in seno al nuovo governo guidato da Mario Draghi, è nato il Ministero per la transizione ecologica. Generato dalla costola del ministero dell’Ambiente che si occupava della transizione ecologica e degli investimenti verdi, si troverà a giocare un ruolo decisivo nella gestione dei fondi del Recovery Fund destinati all’Italia.

Fortemente voluto dal Movimento 5 stelle come condizione sine qua non  per entrare nella coalizione del governo Draghi, è stato affidato al fisico ed esperto di innovazione tecnologica Roberto Cingolani. Una scelta rispetto la quale il leader del Movimento 5 stelle Beppe grillo si è pronunciato soddisfatto, ma su cui vale la pena di spendere due parole.

Roberto Cingolani, oltre ad essere uno specialista di nanotecnologia, dal 2019 è stato nominato responsabile tecnico della Leonardo, azienda di punta in Europa e nel mondo nei settori della difesa e della sicurezza, in particolare leader nell’esportazione di armi.

Sorge spontaneo un dubbio su quali possano essere i punti di incontro tra il settore di esperienza del neoeletto ministro Cingolani e le riforme di transizione ecologica e sviluppo sostenibile che i movimenti ambientalisti ed ecologisti invocano da anni.

Ma che cosa si intende per transizione ecologica?

Da un’indagine degli istituti di ricerca MuP Research e Norstat, condotta tra il 15 e il 16 febbraio, è emerso che oltre il 31% degli italiani non sa significhi transizione ecologica.

Si tratta, in effetti, di un concetto articolato, molto spesso associato ad altre espressioni non meno complesse come sviluppo sostenibile, economia circolare e riconversione verde.

Per transizione ecologica si intende un processo che prevede una serie di riforme strutturali e di ingenti investimenti di riqualificazione nei settori dell’industria, dell’energia, delle infrastrutture e dei trasporti. Lo scopo di tale processo è, innanzitutto, quello di transitare dal modello economico di sviluppo e produzione vigente, capitalistico, neoliberista e globalizzato, ad un nuovo modello più sostenibile, che miri alla salvaguardia dell’ambiente e alla riduzione dei danni causati dall’inquinamento, puntando sulle fonti di energia rinnovabile e sulla decarbonizzazione.

Per comprendere meglio quali siano le sfide e le problematiche che il neonato Ministero guidato da Roberto Cingolani dovrà affrontare in Italia, può essere utile guardare al lavoro svolto da organi simili in altri paesi dell’Unione Europea.

Ministeri per la transizione ecologica in altri paesi dell’UE

Austria, Francia e Spagna, già da anni, si sono dotati di ministeri ad hoc per affrontare i problemi legati alla conversione ecologica e alla crisi ambientale.

L’esempio più felice è quello austriaco: il Ministero delle infrastrutture e dell’ambiente guidato da Leonore Gewessler, del partito dei Verdi, che comprende la gestione dei trasporti, dell’industria e dell’innovazione tecnologica, si è dimostrato un’eccellenza, portando il Paese ad essere all’avanguardia nelle politiche climatiche ed energetiche.

Anche quello spagnolo, sotto la guida della giurista Teresa Rivera, pur non comprendendo la gestione dei trasporti e delle industrie e nonostante gli scontri con le grandi imprese del settore, sta lavorando per fare della Spagna un modello in tema di energie rinnovabili, attraverso una serie di politiche volte alla decarbonizzazione dell’economia spagnola.

È, però, il caso francese quello a cui è necessario guardare con più attenzione. Il Ministero della transizione ecologica e solidale, instaurato dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron all’avvio del suo mandato e affidato inizialmente all’ecologista Nicolas Hulot, ha una storia assai travagliata.

Appena qualche settimana fa, il suddetto è finito al centro di uno scandalo quando il tribunale amministrativo di Parigi ha riconosciuto la Francia colpevole di non aver rispettato le promesse e gli obblighi circa la riduzione delle emissioni e ne ha sentenziato l’insufficiente impegno nella lotta alla crisi climatica.

Hulot, dimessosi da ministro nel 2018, aveva già denunciato l’impossibilità di portare avanti la propria missione a causa delle pressioni delle lobby industriali. Dopo aver lasciato l’incarico si è impegnato, insieme ad alcune ONG ambientaliste, affinché il tribunale riconoscesse e condannasse l’inattività della Francia difronte all’emergenza climatica.

Sfide e opportunità del caso italiano

Le sfide e le traversie affrontate da altri stati dell’UE all’interno dei programmi di transizione ecologica vanno osservate, tanto come moniti che come esempi di buona condotta, per poter sfruttare al meglio le occasioni future ed evitare che il nuovo ministero si trasformi in dicastero minore. Già il fatto che la nascita del Ministero per la transizione ecologica in Italia sia stata interpretata da molti solo come una specie di trucco per far entrare il Movimento 5 stelle nei giochi della politica del nuovo governo Draghi, e non come una straordinaria opportunità per riconvertire l’economia del paese, non fa ben pensare per le sorti del suo programma.

Che l’Italia, rispetto ad altri paesi dell’Ue, sia ancora molto indietro sulle tematiche ambientali ed ecologiche non è un mistero. È sufficiente guardare ai rapporti presentati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente per accorgersi di come molti degli obiettivi prefissati per il 2020 non siano stati raggiunti. Nonostante decenni di accordi sul clima e sulla riduzione delle emissioni, dal 2011 l’Italia ha pagato un totale di quasi 600 milioni di euro in multe e sanzioni all’UE per effrazioni e mancato rispetto delle normative vigenti.

Tuttavia, davanti alle conseguenze dei cambiamenti climatici che già ora stiamo sperimentando e che non tarderanno a peggiorare nei prossimi anni, la necessità di mettere in moto un processo di transizione ecologica il prima possibile è sotto gli occhi di tutti.

Allora perché l’Italia ha deciso di dotarsi di un ministero specifico solo adesso?

Se da un lato è chiaro che una reale riforma del sistema economico italiano verso la transizione ecologica non possa esimersi dalla collaborazione tra economia ed ecologia, dall’altro va presa nota della frequente contrapposizione tra interessi economici e ambientali. Basti pensare a come l’ambiguo concetto di sviluppo sostenibile assuma significati assai diversi se preso in considerazione da un punto di vista o dall’altro. O, ancora, a come tale contrasto abbia dato vita al fenomeno dell’ecologismo di facciata o greenwashing, che minaccia di allungare la sua ombra anche sul nuovo ministero.

Se una cosa è certa è che avviare il processo di transizione ecologica è richiesto agli stati membri dell’Unione Europea per poter accedere ai fondi del piano di investimenti NextGenerationEU, ovvero al tanto discusso Recovery Fund, che prevede un budget di 750 miliardi di euro tra prestiti e fondo perduto.

Marta Renno   

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