Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube tossica avvolse i quartieri più poveri di Bhopal, in India, trasformando la città nello scenario del peggior disastro industriale della storia. La tragedia di Bhopal, causata dal rilascio di oltre 42 tonnellate di isocianato di metile dall’impianto della multinazionale Union Carbide, provocò migliaia di morti e danni incalcolabili che si protraggono ancora oggi.
Un evento che ha segnato un’epoca
Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube tossica di isocianato di metile (MIC) si diffuse rapidamente su Bhopal, una città nel cuore dell’India. Questo gas, usato per produrre pesticidi, venne rilasciato a causa di una serie di guasti tecnici e negligenze umane presso lo stabilimento della multinazionale chimica americana Union Carbide. Le conseguenze furono catastrofiche: migliaia di persone morirono in poche ore, e molte altre subirono danni irreversibili. A quasi 40 anni dall’incidente, la tragedia di Bhopal continua a essere una ferita aperta, simbolo delle ingiustizie legate alle grandi industrie e della necessità di una maggiore tutela per le comunità vulnerabili.
La rivoluzione verde e l’arrivo di Union Carbide
Negli anni Sessanta e Settanta, l’India attraversò una profonda trasformazione agricola nota come rivoluzione verde. Questo periodo segnò l’introduzione di nuove tecnologie, fertilizzanti chimici e pesticidi per aumentare la produzione agricola e ridurre i rischi di carestia. Per sostenere questa modernizzazione, il governo indiano incoraggiò le multinazionali a stabilire impianti sul territorio, offrendo incentivi economici e semplificazioni burocratiche.
In questo clima, nel 1969, Union Carbide costruì a Bhopal uno stabilimento per la produzione di pesticidi. Per anni, l’azienda importò il MIC dall’estero, ma nel 1980 iniziò a produrlo in loco, aumentando i rischi legati alla manipolazione di questa sostanza altamente tossica. Tuttavia, la produzione non decollò mai completamente: i pesticidi erano troppo costosi per la maggior parte degli agricoltori indiani e vennero gradualmente sostituiti da alternative più economiche.
I tagli ai costi e le negligenze nella sicurezza
A partire dagli anni Settanta, l’impianto di Bhopal divenne sempre meno redditizio. Per ridurre le perdite, Union Carbide tagliò progressivamente i costi operativi, licenziando molti dipendenti e abbassando gli standard di sicurezza. Sistemi di allarme, valvole di sicurezza e impianti di refrigerazione furono lasciati in condizioni critiche o completamente disattivati. Inoltre, il controllo delle autorità locali era pressoché inesistente.
Nei mesi precedenti il disastro, lo stabilimento era ormai in fase di dismissione. Nonostante ciò, i serbatoi contenenti MIC rimasero pieni, senza le adeguate misure di sicurezza per prevenire incidenti. Diverse fughe di gas minori avevano già causato incidenti, ma nessun provvedimento concreto venne adottato per evitare una tragedia su larga scala.
La notte del disastro
Il 2 dicembre 1984, un guasto permise all’acqua di entrare nei serbatoi contenenti MIC, causando una violenta reazione chimica. La temperatura e la pressione aumentarono rapidamente, portando alla fuoriuscita di oltre 42 tonnellate di gas tossico nell’atmosfera.
I sistemi di sicurezza che avrebbero potuto contenere l’emergenza erano inattivi: il refrigeratore di emergenza era spento, e i sistemi di allarme automatici non vennero attivati. La nube tossica si diffuse rapidamente verso i quartieri più poveri della città, dove vivevano migliaia di persone in condizioni di grande vulnerabilità.
Gli effetti immediati
Il contatto con il MIC provoca sintomi devastanti: bruciore agli occhi, difficoltà respiratorie, vomito ed edema polmonare. Nel giro di poche ore, migliaia di persone morirono soffocate nelle loro case o per le strade, travolte dal panico. Molte vittime non ebbero nemmeno il tempo di comprendere cosa stesse accadendo. I dati ufficiali parlano di oltre 5.295 morti, ma stime indipendenti suggeriscono che le vittime nelle prime settimane siano state circa 10.000.
Le conseguenze del disastro non si limitarono alle ore successive. Nei mesi e negli anni successivi, oltre 500.000 persone furono esposte al gas, riportando danni gravi e spesso permanenti. Si calcola che il numero totale delle vittime, comprese quelle morte a lungo termine per malattie correlate, possa aver raggiunto le 25.000 persone.
Le responsabilità e il mancato risarcimento
Union Carbide attribuì inizialmente la responsabilità dell’incidente a un presunto atto di sabotaggio da parte di un dipendente scontento, ma le indagini evidenziarono una serie di negligenze. I sistemi di sicurezza erano stati disattivati, e la manutenzione dell’impianto era gravemente carente. Inoltre, le autorità locali non esercitarono alcun controllo efficace.
L’amministratore delegato di Union Carbide, Warren Anderson, fu arrestato in India poco dopo l’incidente, ma venne rilasciato su cauzione e lasciò il Paese, facendo ritorno negli Stati Uniti. Nonostante le ripetute richieste di estradizione da parte dell’India, Anderson non fu mai processato e morì nel 2014 in Florida.
Nel 1989, Union Carbide raggiunse un accordo extra-processuale con il governo indiano, pagando 470 milioni di dollari come risarcimento. Tuttavia, la maggior parte delle vittime ricevette somme irrisorie, insufficienti persino per coprire le spese mediche. Nel 1999, la società venne acquisita da Dow Chemicals, che respinse ulteriori richieste di risarcimento e si rifiutò di bonificare l’area contaminata.
Un’eredità di dolore e ingiustizia
A quasi 40 anni dal disastro, l’area intorno a Bhopal rimane contaminata. Le falde acquifere, da cui dipendono decine di migliaia di persone, sono ancora avvelenate da sostanze chimiche tossiche. I tassi di cancro, malformazioni congenite e malattie croniche sono significativamente più alti rispetto alla media nazionale. Ogni anno, centinaia di bambini nascono con disabilità fisiche e mentali.
Organizzazioni come Greenpeace hanno documentato la pericolosità dell’inquinamento nell’area già dagli anni Novanta, ma né Union Carbide né Dow Chemicals hanno mai avviato una bonifica completa. Le cure mediche e riabilitative sono fornite quasi esclusivamente da ONG, che operano con risorse limitate.
Una lezione per il futuro
Il disastro di Bhopal rappresenta una delle più gravi tragedie industriali della storia e un monito sui rischi legati alla mancanza di controlli e responsabilità. Questa vicenda evidenzia l’importanza di proteggere le comunità più vulnerabili e di garantire che le grandi multinazionali siano chiamate a rispondere delle proprie azioni.