Tra sogni e radici

Chissà se è vero che l’acqua delle tubature in Australia scorre al contrario, o se davvero in Cina salutarsi dandosi un bacio sulla guancia è sinonimo di maleducazione. Chissà poi se in Spagna esiste davvero una festa in cui si fa la guerra a suon di lancio di pomodori e se nelle Filippine le bare vengono poste in verticale. Io non lo so. Non lo so perché, nonostante tutto, ancora la mia Italia non riesco a lasciarla.




Però di gente all’aeroporto con un biglietto di sola andata ne ho accompagnata tanta. Di abbracci conditi di “arrivederci, a presto (speriamo)” ne ho stretti tanti. Di ore e ore a ad aspettare un collegamento sufficiente per collegarsi tramite skype, ne so qualcosa. Di mancanze lancinanti, il cuore, ne è saturo. Di “qua giù mi sento sola” ne ho sentiti fin troppi. Io stessa, un numero smisurato di volte, mi sono detta “adesso mollo tutto e me ne vado ad Honolulu”, ma altrettante volte, subito dopo, mi sono rimproverata anche solo per averlo pensato.

Del resto come diavolo si fa a non pensare di “mollare tutto” e concedersi una chance per ricominciare? Come si fa a crogiolarsi nel rimorso di non essere saliti su quell’aereo che sapeva tanto di seconda possibilità? E così rimani immobile, a lamentarti di una realtà che forse non sei pronto a lasciare. Perché qui siamo rimasti solo noi, un mucchio di disillusi che si sta prosciugando nel tentativo di sopravvivere ad una quotidianità diventata ormai opprimente e logorante.




Viviamo in attesa del week end, in attesa delle ferie estive, del ponte del 25 di Aprile, in attesa dello stipendio, se così possiamo chiamarlo; in attesa di una tregua. Una tregua dalla frenesia delle nostre città, dalle riunioni di lavoro in cui mandiamo giù bocconi amari e umiliazioni, dalla sveglia che suona ogni giorno per farci balzare giù dal letto e lavorare a testa china per far fare soldi a palate a qualcuno che, su un foglio di carta, sta sopra di noi. Perché fintanto che non saliremo su quel dannato aereo, lo stipendio conta più della propria dignità, del rispetto e dei principi. Un attesa che consuma, che stanca, che rassegna. Un attesa che opacizza lo sguardo e anestetizza i sogni. Perché se una volta andare all’estero era una scelta dettata dalla voglia di fare un’esperienza e di conoscere altre realtà, oggi invece è diventata una necessità; sembra diventata l’unica via d’uscita del tunnel chiamato Italia, e l’unica speranza per costruirsi un futuro dignitoso. E allora continuiamo così, chissà per quanto, a vivere lontano da chi amiamo, a connetterci con loro tramite i social facendo a botte con il fuso orario, a guardare i loro occhi dalle foto che riceviamo e gioire della lucentezza che hanno acquisito espatriando. Continuiamo a fare il tifo per loro, per chi ha avuto il coraggio di lasciare quelle esigue e discutibili certezze che ancora il nostro Bel paese ha da offrirci; continuiamo a sperare che prima o dopo li raggiungeremo, o forse che saranno loro a ritornare. O forse non lo sappiamo nemmeno noi. Forse, semplicemente, continuiamo a sperare che un futuro migliore sia possibile.

 

 

ISABELLA CASELLI

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