Una donna che si divise tra musica e poesia, scegliendo poi in definitiva quest’ultima. La poesia di Amelia Rosselli funge da custodia per i suoi stessi tormenti interiori. È stata definita una poetessa della ricerca e “del controllo”, proprio per la rigorosità che la musica le ha trasmesso.
Una poesia precisa quanto il linguaggio musicale: una perenne ricerca
La poesia non deve essere confessione, ma ricerca di verità.
Così affermò Amelia Rosselli in un’intervista del 1990. La poesia rosselliana tenta di restituire sulla carta un’esperienza del mondo precisa, il più possibile veritiera, che va oltre il linguaggio.
Nel secondo dopoguerra la commistione fra le arti, e in particolare tra musica e poesia, fu molto sperimentata. Amelia Rosselli è poetessa e anche musicologa. Infatti, sperimentò nella scrittura questa ricerca perpetua di una nuova “musica”. Il suo scrivere coniuga lo studio metrico e l’istinto artistico, per comporre una poesia che travolga non soltanto il lettore ma perfino lei stessa. La poesia, infatti, custodisce anche i suoi tormenti interiori e in qualche modo la salva, anche se non per lungo tempo.
Rosselli è anche una poetessa del “controllo”, rigorosa, che al contempo riconosce l’impossibilità di dire a voce ciò che si sente nell’animo, ossia la parola più profonda e vera. Lei stessa racconta, in una delle sue ultime interviste, di non riuscire a leggere La libellula come si dovrebbe, ovvero di non riuscire rendere a voce il senso della poesia, proprio per la modulazione della voce e la musicalità. A detta della poetessa, solo alcuni professionisti, come gli attori, saprebbero rendere appieno.
La libellula è quasi un’esperienza fisica, che coinvolge e sconvolge la poetessa (e di conseguenza il lettore, dato il carattere di simbiosi che Rosselli attribuisce tra poeta e lettore), a tal punto da rendere la sua agonia più viva. È una poesia che attraversa il dolore e lo sgomento del momento in cui il proprio dirsi diventa realtà, e dunque verità. Questa visionarietà fa sì che il lettore possa sentirsi vicino alla poesia stessa.
La poesia o è ispirata o non vale niente.
Quando non c’è qualcosa di assolutamente nuovo da dire, il poeta della ricerca non scrive.
Disse Amelia. Il poeta deve saper riconoscere il momento di mettersi a scrivere, affinché la sua ricerca sia più profonda e sentita. Ella scrive soltanto quando ha qualcosa di nuovo da dire e un metodo inedito per dirlo. Scrivere poesie è scoprire una lingua mai parlata e la possibilità di esprimere quel linguaggio nato dentro di sé è sempre una possibilità di poesia.
L’esordio poetico su Il menabò di Vittorini
Rosselli incontra Pasolini sullo sfondo di una Roma anni Sessanta. Le poesie che Amelia consegna a Pier Paolo Pasolini vengono pubblicate sul Menabò, la rivista di Einaudi curata da Vittorini e Calvino. È il 1963, e questo è l’esordio di Amelia Rosselli, avvenuto dopo anni di studio intensi e vorticosi. Nella poetica di Amelia Rosselli si nota subito che la lingua che usa è tutta sua, unica: una commistione del suo trilinguismo (italiano, francese e inglese) e l’armonia tra i temi di passione amorosa, passione musicale e passione civile intrecciati nel processo di scrittura.
Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho mai in realtà scisso le due discipline.
Gli ultimi giorni
Amelia Rosselli è ancora oggi una figura unica per il suo stile di scrittura plurilinguistico e per il tentativo di unire l’uso della lingua con l’universo della musica. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Roma, nella stessa abitazione dove si è tolta la vita l’11 febbraio 1996 a causa della sua depressione.
La data in cui Rosselli si tolse la vita segna, forse in modo volontario, un nesso con quella di Sylvia Plath, autrice che la Rosselli tradusse e amò molto, dedicandole anche alcuni scritti di critica. In una intervista a Sandra Petrignani disse:
Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai come è fatto forse non hai più bisogno di scrivere. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi.
Valentina Volpi