– Di Andrea Umbrello –
La condanna a Manolo Portanava, calciatore del Genoa, maschera la mancanza di rispetto in garantismo giudiziario.
«Sono innocente», ha dichiarato Manolo Portanova abbandonando l’aula del tribunale. Ma il 22enne centrocampista del Genoa e della Nazionale Under 21, sembrerebbe colpevole di violenza sessuale di gruppo e lesioni su una studentessa romana di 21 anni. A stabilirlo è Ilaria Cornetti, giudice che l’ha condannato in primo grado con rito abbreviato a 6 anni di carcere insieme allo zio Alessio Langella (previsti 6 anni di carcere anche per lui) mentre Alessandro Cappiello, amico che aveva scelto il rito ordinario, è stato rinviato a giudizio per lo stesso reato. Infine, una quarta persona sarà giudicata dal Tribunale dei minori di Firenze poiché minorenne all’epoca dei fatti.
I fatti risalgono alla notte tra il 30 e il 31 maggio dello scorso anno. Portanova e la giovane ragazza si sarebbero appartati in una piccola abitazione nel centro storico di Siena, finché non sarebbero sopraggiunte le altre persone coinvolte e sarebbe iniziata la violenza di gruppo.
Contrariamente a quanto dichiarato dalla ragazza, la difesa si è sempre basata «sull’assoluta certezza» che non c’era stata violenza sessuale ma un rapporto consenziente secondo quanto sostenuto dall’avvocato Gabriele Bordoni.
Per quanto triste possa già essere una storia che ha inevitabilmente compromesso l’intera esistenza di una ragazza appena ventenne, c’è altro di ugualmente grave che porta a interrogarsi sulla capacità dell’utilizzo del buonsenso e della delicatezza da parte di altri attori accidentalmente coinvolti in questa vicenda. Mi riferisco al Genoa Cricket and Football Club, la società calcistica di Genova fondata nel 1893, primo club a nascere in Italia e primo club a conquistare uno scudetto italiano, oggi, perde gran parte del suo lustro non perché milita nel campionato cadetto e non tra le grandi della Serie A, ma perché oltre ad aver permesso a Portanova, come se nulla fosse successo, di riprendere la sua normale attività allenandosi insieme ai compagni, ha addirittura inserito nella lista dei convocati per la gara pomeridiana contro il Sud Tirol in numero 90 genoano.
Si procede con una calma che fa paura e provoca ribrezzo, la condanna, anche se non definitiva, per un crimine così agghiacciante nei confronti di un proprio tesserato non è sufficiente a far battere ciglio. Nessun commento è pervenuto dai vertici del club, ma è sbagliato sostenere che la società ligure non abbia preso posizione sulla vicenda. Lo ha fatto eccome, mettendo certamente in secondo piano la componente psicologica della ragazza e forse, anche quella del ragazzo reduce dalla settimana più dura della sua vita.
Certo, per il centrocampista non sono previste restrizioni alla libertà e dunque può continuare ad essere un calciatore professionista agli ordini contrattuali del suo club, ma appellarsi alla presunzione di innocenza dilatando il confine tra un atteggiamento professionale e il rispetto nei confronti di persone che vivono questa vicenda con angoscia e disperazione lascia intuire che certi valori siano andati un po’ persi durante il corso della lunga storia della squadra rossoblù di Genova.
Ciò che risulta chiaro a tutti e tutte è che qualcosa di grave è sicuramente successo quella notte tra il 30 e il 31 maggio dello scorso anno, scegliere di ignorare quanto accaduto significa commettere il grave errore di mascherare la necessità di usufruire delle prestazioni del calciatore con la scusa del garantismo giudiziario, una posizione che non fa molto onore ad una delle società più importanti del nostro Paese.