C’è una melodia che parla di coraggio e resilienza, una storia che unisce le abilità di un portiere straordinario alle prove terribili di un periodo oscuro. È la storia di Renzo Cavallina, nato il 9 agosto 1921 a Ferrara e noto come il “Gatto Magico”, un uomo il cui nome è inciso nella memoria collettiva non solo per le sue gesta sportive, ma anche per l’incredibile coraggio dimostrato nei campi di concentramento.
Nel mondo affascinante del calcio, gli atleti spesso si ritrovano con soprannomi evocativi e soprannaturali che catturano la loro essenza e le loro abilità. Tra i giocatori, i portieri sono spesso paragonati a felini per le loro doti atletiche, che includono riflessi fulminei e agilità innata. Ma tra tutti i portieri, uno ha lasciato un’impronta indelebile non solo nel mondo dello sport, ma anche nella storia d’Italia.
Nato il 9 agosto 1921 a Ferrara, Renzo Cavallina era noto come il “gatto magico” per la sua straordinaria abilità tra i pali dei campi di calcio, indossando con orgoglio la maglia del Parma. Le tracce delle sue gesta sportive sono oggi conservate con onore al Museo Ernesto Ceresini presso lo stadio Tardini.
Tuttavia, la grandezza di Renzo Cavallina va oltre il calcio. Davanti all’ingresso dello stadio della sua città adottiva, una pietra d’inciampo commemora il suo coraggio come soldato e cittadino italiano. Cavallina rifiutò il fascismo, opponendosi alla prospettiva di entrare nell’esercito della Repubblica sociale italiana, una decisione che gli valse il rispetto e l’ammirazione di molti.
Il suo debutto con la maglia del Parma risale al novembre del 1942, un periodo in cui migliaia dei suoi coetanei combattevano, morivano o finivano prigionieri durante la guerra. Nonostante le sfide della sua epoca, Renzo Cavallina trovò spazio nella sua vita per l’amata moglie Francesca e la nascita della figlia Ada nel maggio del 1943. Ma il destino gli riservava un’altra serie di sfide.
Cavallina si trovò ad affrontare numerosi viaggi in treno, compreso quello che lo riportò nell’esercito, dove servì come sergente specialista del quarto reggimento contraerei di Mantova fino all’armistizio. Richiamato alle armi nel luglio del 1943, fu costretto a subire la deportazione nel Stammlager di Luckenwalde. Catturato durante un rastrellamento nelle campagne del Savonese, Cavallina fu fatto prigioniero dai militari tedeschi e trasferito in un centro di raccolta per essere inviato nel nord ed est dell’Europa insieme ad altri soldati catturati.
Tuttavia, la determinazione di Cavallina e dei suoi commilitoni li portò a rifiutare ogni accordo, dissociandosi dalla Repubblica di Salò. Questo li costrinse a viaggi estenuanti attraverso campi per prigionieri di guerra gestiti dalla Wehrmacht, suddivisi tra lager per ufficiali e truppa. Circa mille chilometri che i prigionieri dovettero affrontare in condizioni disumane, prima di raggiungere la destinazione finale. A Luckenwalde, Cavallina resistette a interrogatori prolungati e minacce di essere trasferito a Mauthausen. Successivamente, fu spedito a Berlino-Lichterfelde e poi trasferito al Comando di lavoro numero 884 di Berlino-Wittenau, un campo di prigionia che ospitava oltre 1500 prigionieri.
Il racconto dei familiari rivela l’angoscia dei lager e l’eroico tentativo di Cavallina e degli altri soldati di mantenere la loro dignità “in mezzo a tanto orrore”. Nonostante la prigionia, il portiere ferrarese continuò a giocare a calcio con gli altri internati, a lavorare duramente e alla fine ricevette un premio sotto forma di 10 minestre e 5 sigarette dopo alcune settimane.
Alla fine della guerra, Renzo Cavallina fece il suo ritorno sul campo del Parma al Tardini. Sorprendentemente, trovò anche il tempo, negli anni ’60, per allenare in Libia e vinse persino un campionato nel 1969, prima dell’ascesa al potere di Gheddafi. Le sue imprese sportive vennero celebrate nei quotidiani, ma il libro della sua vita rimane un custode prezioso di quei frammenti di tempo trascorsi come deportato.
La storia di Renzo Cavallina nelle prigioni dei campi di concentramento lo collega ad altri calciatori “sommersi” come Carlo Castellani, Vittorio Staccione o Icilio Zuliani, che purtroppo non riuscirono mai a tornare a casa. Tuttavia, Cavallina fu uno dei “salvati”, una minoranza coraggiosa che rifiutò di compiere il gesto del saluto romano sul campo per omaggiare autorità politiche e gerarchi militari, rischiando gravi ripercussioni personali.
La storia di Renzo Cavallina, il “gatto magico”, è un poderoso esempio di resilienza, coraggio e integrità. Oltre ad essere un leggendario portiere, è diventato un simbolo di opposizione al fascismo e un testimone di una delle epoche più buie della storia italiana. La sua storia rimane un monito e una fonte d’ispirazione per le generazioni future.