È la sera di sabato 25 novembre. Tre universitari passeggiano tranquillamente per le strade di Burlington (Vermont). Chiacchierano, ridono, parlano in arabo e due di loro indossano la kefiah. A un certo punto quattro spari da arma da fuoco li travolgono. Due dei ragazzi rimangono lievemente feriti, mentre il terzo è grave ma non in pericolo di vita. È l’ennesima sparatoria negli Stati Uniti, sempre più intrisi di armi e odio razziale.
La cronaca
Hisham Awartani, Kinnan Abdalhamid e Tahseen Ahmad sono tre ragazzi di 20 anni, studenti universitari di origine palestinese. Due di loro sono cittadini statunitensi mentre il terzo è residente legale. Erano compagni di scuola a Ramllah, in Cisgiordania, e hanno proseguito gli studi negli USA ritrovandosi a Burlington questo fine settimana in occasione della pausa per il Giorno del Ringraziamento. Gli hanno sparato a bruciapelo per ucciderli. Per fortuna hanno riportato solo alcune ferite e nessuno dei tre sembra essere in pericolo di vita. Per ora, c’è un unico sospettato: Jason J. Eaton, 48 anni, residente nella zona, suprematista bianco. Ancora una volta, quindi, sono in gioco armi e odio razziale negli Stati Uniti.
Dalle testimonianze sembra che i ragazzi stessero parlando in arabo e due di loro indossassero la kefiah. Chi li ha aggrediti non li ha derubati, si è limitato a sparare, probabilmente per uccidere. Tutti gli indizi, quindi, portano a credere che il movente sia razziale ma va ancora accertato, anche se il capo della polizia, Jon Murad, ha rilasciato una dichiarazione con ben pochi sottintesi:
“In questo momento di tensione, nessuno può guardare a questo incidente e non sospettare che possa essere stato un crimine motivato dall’odio”.
Le risposte delle famiglie e della comunità
Le famiglie dei ragazzi, ovviamente molto scosse, hanno rilasciato una comunicazione congiunta con la quale sottolineano la gratuità dell’aggressione ai loro figli, attaccati solo in quanto palestinesi:
“Nessuna famiglia dovrebbe mai sopportare questo dolore e questa agonia. I nostri figli sono studenti impegnati che meritano di potersi concentrare sui propri studi e costruire il proprio futuro”.
Varie organizzazioni, poi, hanno espresso solidarietà ai ragazzi e alle loro famiglie manifestando indignazione e rabbia nei confronti dell’ondata di odio sempre più feroce nei confronti degli arabi, acuita dall’intensificarsi del conflitto israelo-palestinese.
Il direttore esecutivo del comitato antidiscriminazione arabo-americano, Abed Ayoub, ha rilasciato una dichiarazione netta:
“Date le informazioni raccolte e fornite, è chiaro che l’odio è stato un fattore motivante in questa sparatoria e chiediamo alle forze dell’ordine di indagare in merito. L’ondata di sentimenti anti-arabi e anti-palestinesi che stiamo vivendo non ha precedenti e questo è un altro esempio di quell’odio che diventa violento”.
Il Council on american-islamic relations ha addirittura annunciato che avrebbe offerto una ricompensa di 10.000 dollari a chi avesse fornito informazioni utili all’arresto dell’autore della sparatoria. Questa dichiarazione, anche se è stato già fermato un sospettato, ha in sé una sfumatura inquietante, ed è spia dei rapporti sempre più tesi tra le varie comunità.
Tra armi e odio razziale negli Stati Uniti
Del problema delle armi da fuoco negli Stati Uniti si discute da tempo senza trovare soluzioni concrete. Tante belle parole ma poi, nei fatti, continuano ad esserci molteplici sparatorie ogni giorno. La lobby delle armi è troppo forte, il secondo emendamento sembra essere intoccabile, possedere una o più armi da fuoco pare una moda. Sono molte le inchieste che cercano di far cambiare opinione agli statunitensi ma sembra che nemmeno le 20.000 presone uccise dalle armi da fuoco ogni anno scuotano i loro animi. È sufficiente fare un giro sul Gun Violence Archive per avere sotto mano dati allarmati (per usare un eufemismo) e per rendersi conto di quanto sia pervasivo l’uso delle armi da fuoco negli Stati Uniti. Dal primo gennaio ad oggi ci sono state 17.129 vittime da arma da fuoco (di cui 269 bambini) e 618 sparatorie di massa.
A un uso sconsiderato delle armi, ora, si aggiunge anche la crescente ondata d’odio nei confronti delle comunità arabe, musulmane e palestinesi che sta portando, come denuncia il comitato antidiscriminazione arabo-americano, ad aggressioni sempre più frequenti e violente.
L’ondata di odio cresce
L’aggravante del razzismo negli Stati Uniti è ben presente da sempre. Tuttavia non si può parlare degli USA come un caso isolato. Le aggressioni a sfondo razziale, purtroppo, sono ben radicate in ogni parte del mondo. Inoltre, il conflitto israelo-palestinese ha polarizzato l’opinione pubblica sin dalle sue origini. Ciononostante, dal 7 ottobre ad oggi, l’intensificarsi del conflitto ha rimescolato le carte e scosso profondamente tutta la comunità internazionale, negli Stati Uniti in particolare. Se da un lato, infatti, l’opinione pubblica americana non sembra più così unita e compatta nel sostenere Israele, dall’altro l’acuirsi del conflitto ha acuito anche le tensioni di origine razziale contro la comunità araba.
Negli USA, in particolare, aveva fatto notizia, poche settimane fa, l’uccisione di un bambino palestinese. Aveva solo 6 anni e probabilmente non sapeva nulla delle questioni geopolitiche internazionali. La sua unica “colpa” era di essere palestinese. L’assassino, Joseph Czuba, 71 anni, aveva già esternato il suo risentimento antiarabo con un messaggio inviato al padre della vittima: “voi musulmani dovete morire”.
Ma non è l’unico caso registrato negli USA. E a nulla sembra essere valsa la netta presa di distanza della comunità ebraica dalla feroce risposta “difensiva” di Israele all’attacco di Hamas. Era il 18 ottobre e gli ebrei di Washington sono scesi in strada con lo slogan “not in my name”, dissociandosi dalle scelte di Netanyahu e denunciandone l’eccesso.
Armi e odio razziale: un connubio pericoloso
In questa situazione, sempre più tesa e drammatica, quello che è certo è che, se il problema del razzismo è diffuso globalmente, quello delle armi è particolarmente pressante negli Stati Uniti i quali, ogni giorno, si trovano a dover fare i conti con sparatorie e omicidi e che, tuttavia, non riescono ad arginare il fenomeno. Oltre che assicurare i colpevoli alla giustizia, quindi, fare prevenzione è drammaticamente necessario. Ora più che mai. Perché una persona con un’arma in mano è sempre pericolosa, ma se è anche animata da odio razziale la strage è dietro l’angolo.