Toulose- Lautrec, l’anticonformismo in mostra a Milano

Fonte: commons.wikimedia.org

Henri de Toulose- Lautrec non fu affatto quel che gli altri si sarebbero aspettati che fosse: nato in una ricca ed aristocratica famiglia francese nei pressi di Tolosa, figlio di una donna amorevole ed estremamente religiosa, visse un’infanzia felice e spensierata, dimostrando fin da bambino (come tanti altri membri della sua famiglia) di essere appassionato per l’arte ed estremamente portato per la pittura.



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Avrebbe potuto condurre una vita agiata, come a tanti altri del suo ceto, dedicandosi pigramente alla pittura e conducendo un’esistenza rilassata e scevra da problematiche.

La sorte, però, lo beffò: quando aveva dieci anni gli venne diagnosticata una malattia ossea congenita, che gli causava deformazioni ed atroci dolori. Per di più, due brutte fratture impedirono alle sue gambe di crescere e svilupparsi come il resto del corpo, facendo sì che, anche in età adulta, egli superasse di appena due centimetri il metro e cinquanta.

Queste vicissitudini, però, non lo portarono mai ad abbattersi: egli, anzi, sviluppò una sagace ironia, ed approfittò degli interminabili momenti in cui era costretto a letto per coltivare la propria passione per l’arte, che affinò ulteriormente dopo gli studi, quando, col pieno appoggio della famiglia, decise di fare dell’arte il proprio mestiere.

Dopo un periodo di apprendistato (prima presso Bonnat, pittore che avrebbe poi formato Edvard Munch, poi presso Cormon), Toulouse- Lautrec decise di aprire un proprio atelier, decidendo di ubicarlo a Montmartre. Tale scelta colpì negativamente i suoi genitori, che sempre avevano mostrato incondizionata approvazione per quel che faceva, ma stavolta non riuscivano a comprenderlo: Montmartre non era infatti un quartiere adatto alle sue nobili origini, mostrandosi come un coacervo di estrazioni sociali e culturali, vivace e ricco di locali malfamati. Addirittura suo padre gli consigliò di non firmare col proprio nome (consigliò che l’artista, peraltro, inizialmente seguì).

Henri, dal canto suo, era affascinato da Montmartre e, in breve, grazie al suo carattere aperto e gioviale, riuscì ad essere benvoluto da tutti gli abitanti ed avventori del quartiere.

Si immerse pienamente nello spirito bohémien di Montmartre, frequentandone i locali che sarebbero divenuti celebri (il Moulin Rouge, il Café du Rat-Mort), animato dal desiderio di fare conoscenza, più che con gli artisti (che pure frequentava), con quelli che per la società erano gli ultimi, i bistrattati, gli emarginati: prostitute, modelle, cantanti che fossero, Toulouse- Lautrec manifestava loro la propria cortesia ed empatia- quest’ultima, probabilmente, dettata dal fatto che lui per primo si sentiva un emarginato, un diverso, dato il suo aspetto. Non a caso, tra gli artisti con cui legò maggiormente c’era un altro personaggio celebre per la sua solitudine: Vincent Van Gogh.



Non c’era mai giudizio o morbosa curiosità nel suo atteggiamento: come ha scritto al riguardo la critica d’arte Maria Cionini Visani,

Per Toulouse-Lautrec vivere nelle maisons di rue d’Amboie o di rue de Moulins, o distruggersi accanitamente con l’alcol, è come per Gauguin o Rimbaud andare in paesi lontani ed esotici, non attratti dall’avventura dell’ignoto, ma piuttosto respinti da quanto nel loro mondo c’era di noto”.

Lo spirito da outsider che lo animava e l’amore per Montmartre e la sua variegata popolazione traspaiono chiaramente dai suoi dipinti di quegli anni: Toulouse- Lautrec iniziò qui, infatti, a ritrarre il cosiddetto “popolo della notte“, vale a dire la vera anima di quello che era diventato il suo quartiere.

Se un maggiore ancoraggio alla realtà non era una novità per l’epoca, grazie a correnti artistiche quali Realismo ed Impressionismo, bisogna riconoscere a Toulouse- Lautrec di essersi ancora una volta distaccato da quelli che erano i trend del momento, focalizzando- a differenza dei suoi contemporanei- l’attenzione sui personaggi, anziché sui paesaggi, che rimanevano relegati, nei suoi dipinti, a mero sfondo della realtà umana, strumentali rispetto alla stessa. Ciò nel pieno rispetto della sua concezione, secondo cui “Il paesaggio deve servire a far comprendere meglio il carattere della figura “.



Le sue rappresentazioni non avevano mezzi termini, non adoperavano abbellimenti: fecero scalpore le molte sue opere raffiguranti i bordelli (le “maisons closes“)- che, a differenza di altri, non soleva rappresentare come esotiche, ma che venivano chiaramente mostrate come ambienti parigini-, nei quali spesso ambientava scene saffiche tra prostitute.

Del tutto assente era, però, nella sua pittura, la spettacolarizzazione delle vicende umane: la sua cortesia e la sua mancanza di pregiudizi gli permettevano di limitarsi a ritrarre obiettivamente la realtà, accettandola senza sentire il bisogno di cambiarla. Così, i suoi personaggi venivano immortalati con estrema naturalezza, nei loro atteggiamenti normali, senza alcuno sforzo compositivo.

Henri fu, però, anche un eccellente– e modernissimo- grafico, attività cui si accinse in special modo per pubblicizzare i locali del quartiere, tra cui il Moulin Rouge.

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Il suo intuito, in questo campo, gli permise di intuire la necessità di modificare qui le sue tecniche ed il suo approccio, per colpire lo spettatore e lasciargli impresso il messaggio: prendendo ad ispirazione le stampe giapponesi, Toulouse- Lautrec realizzò immagini di grande impatto, che abbandonavano la realtà e la prospettiva per lasciare spazio a colori decisi e vibranti, capaci di lasciare il segno nella mente di chi guardava le locandine.

In seguito a problemi di salute e fortemente dipendente dall’alcool, Toulouse- Lautrec si spense in giovane età, ad appena trentasei anni.

Anche se la critica– in positivo ed in negativo (perché in molti ritennero, specie all’inizio, troppo spregiudicato l’artista)- sicuramente costituì una forte spinta in tal senso, è ad un grande amico di Toulouse- Lautrec che dobbiamo la sua fama, Maurice Joyant: egli, infatti, in seguito alla morte dell’artista organizzò una mostra con le sue opere, nel 1914, ed insistette con la madre di Toulouse- Lautrec affinché donasse alcune sue opere alla sua cittadina natale, Albi, che nel 1922 inaugurò un museo cittadino, il “Musée Toulouse-Lautrec “.

Presso il Palazzo Reale di Milano, fino al prossimo 18 febbraio, è in corso la nutrita mostra “Toulouse- Lautrec. Il mondo fuggevole, che raccoglie ben duecento opere dell’artista francese– tra cui trentacinque dipinti e tutti i manifesti da lui realizzati-, per la maggior parte provenienti dal Museo di Albi (l’evento è, tra l’altro, curato dalla direttrice di quest’ultimo, Danielle Devynch, assieme a Claudia Zevi), ma anche da altri prestigiosi musei, tra cui la Tate Gallery di Londra.



Lidia Fontanella

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