Il caso delle torture nel carcere di Ranza, a San Gimignano, ha segnato un importante precedente nella giustizia italiana: per la prima volta, agenti della polizia penitenziaria sono stati condannati per il reato di tortura, introdotto nel 2017. La Corte d’Appello di Firenze ha confermato le pene per dieci agenti e ridotto quelle per altri cinque, ponendo l’attenzione sulle difficoltà della gestione carceraria tra sicurezza e rispetto dei diritti umani.
Le sentenze della Corte d’Appello di Firenze sulle torture nel carcere di Ranza
La Corte d’Appello di Firenze ha confermato le condanne per dieci agenti penitenziari del carcere di Ranza, a San Gimignano (Siena), accusati di aver picchiato un detenuto l’11 ottobre 2018. Gli imputati, giudicati in primo grado con rito abbreviato, dovranno scontare pene comprese tra 2 anni e 3 mesi e 2 anni e 8 mesi. Per altri cinque agenti, che avevano scelto il rito ordinario, le pene per le torture nel carcere di Ranza sono state ridotte rispetto alla sentenza iniziale, passando da un massimo di 6 anni e 6 mesi a un massimo di 4 anni e 2 mesi.
Oltre alla riduzione delle condanne, la Corte ha modificato le sanzioni accessorie. L’interdizione dai pubblici uffici, inizialmente perpetua, è stata ridotta a una sospensione di cinque anni. Inoltre, è stata revocata l’interdizione legale e la sospensione della responsabilità genitoriale. Confermato invece il risarcimento di 80mila euro a favore del detenuto vittima delle violenze.
Il caso: la violenza ripresa dalle telecamere
L’episodio delle torture nel carcere di Renza al centro del processo si è verificato l’11 ottobre 2018 nel centro di detenzione di San Gimignano. Le telecamere di sorveglianza hanno ripreso gli agenti mentre trascinavano fuori dalla cella un detenuto tunisino, arrestato per spaccio, per poi schiacciarlo a terra e picchiarlo. Successivamente, l’uomo è stato trascinato in un’area non coperta dalle telecamere, dove il pestaggio sarebbe continuato, lontano da ogni occhio umano o artificiale.
Il video, proiettato in aula durante il processo, è stato un elemento chiave dell’accusa, contribuendo alla condanna degli agenti. Il fascicolo dell’inchiesta sulle torture nel carcere di Renza, che raccoglie oltre 4500 pagine, include anche testimonianze e altri elementi probatori.
La prima condanna per il reato di tortura in Italia
Questa vicenda assume un valore storico perché i dieci agenti sono i primi membri della polizia penitenziaria condannati in Italia per il reato di tortura, introdotto nel 2017. La Corte d’Appello ha accolto le richieste del procuratore generale Ettore Squillace Greco, confermando la gravità delle accuse.
Alla lettura della sentenza, alcuni familiari degli imputati hanno espresso il loro dissenso, manifestando con gesti e parole la loro contrarietà alla decisione della Corte.
Il carcere di Ranza, oltre a essere stato teatro di questo episodio, si trova al centro di numerose problematiche legate alla gestione della sicurezza. Il numero degli agenti in servizio è inferiore a quello previsto: attualmente sono circa 150, mentre dovrebbero essere 220. I detenuti presenti sono 320, con un rapporto che, sebbene possa sembrare gestibile, si traduce in turni massacranti per il personale penitenziario e, di conseguenza, per i detenuti.
Le difficoltà nella gestione della sicurezza
Il sindacato Uilpa ha più volte denunciato le difficoltà operative degli agenti penitenziari. La carenza di personale si somma all’assenza di un comandante stabile, figura essenziale per garantire il corretto funzionamento dell’istituto di alta sicurezza. Da due anni, infatti, la direzione è affidata a figure in missione temporanea, il che rende difficile una gestione efficace.
Nel carcere di Ranza, inoltre, si riscontrano problematiche legate all’introduzione di oggetti proibiti come cellulari e sostanze stupefacenti. I detenuti utilizzano vari stratagemmi per far entrare questi materiali, sfruttando anche progetti interni come quello dell’orto. Nonostante le difficoltà, il sindacato esprime riconoscenza per il lavoro degli agenti penitenziari in servizio, sottolineando il loro contributo nel mantenere la sicurezza all’interno dell’istituto.
La conferma delle condanne per gli agenti coinvolti nelle torture nel carcere di Ranza del 2018 rappresenta un importante segnale di giustizia, sancendo la gravità dei reati commessi. Tuttavia, il carcere rimane un contesto complesso, segnato da criticità organizzative e carenze strutturali che necessitano di un intervento istituzionale per garantire condizioni di lavoro adeguate al personale e il rispetto dei diritti dei detenuti.
Lucrezia Agliani