Torture in carcere a Reggio Emilia, la PM chiede condanne fino a 5 anni e 8 mesi

SIG SG 510, CC0, via Wikimedia Commons; torture in carcere a reggio emilia

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Il caso delle torture in carcere a Reggio Emilia, o anche il carcere della Pulce, è al centro di un caso giudiziario che solleva interrogativi sulla gestione della giustizia e dei diritti umani nelle strutture detentive italiane. Dieci agenti di polizia penitenziaria sono sotto processo con accuse gravissime, tra cui tortura, lesioni e falso, per il trattamento inflitto a un detenuto tunisino nell’aprile 2023. Il caso delle torture in carcere a Reggio Emilia, emerso grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza e al coraggio della vittima nel denunciare l’accaduto, ha attirato l’attenzione pubblica, evidenziando i limiti del sistema carcerario e la necessità di interventi per prevenire abusi di potere. Il pubblico ministero, che ha chiesto delle pene fino a 5 anni di carcere, dopo aver visto il video delle torture proiettato nell’aula, ha descritto la scena come del pestaggio come “brutale, punitivia e preordinata”.

Una vicenda di violenza e abuso di potere: le richieste della pubblica accusa

Le torture in carcere a Reggio Emilia sono al centro di un caso giudiziario che coinvolge dieci agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura, lesioni e falso. L’episodio risale al 3 aprile 2023, quando un detenuto tunisino è stato brutalmente aggredito nel carcere della Pulce. La pubblica accusa, guidata dal pm Maria Rita Pantani, ha descritto l’accaduto come un’azione premeditata e gratuita, chiedendo pene severe durante una requisitoria durata quattro ore.

I dieci agenti sono stati chiamati, nella mattinata di ieri, all’udienza preliminare davanti alla giudice Silvia Guareschi. La pena di 5 anni e 8 mesi che la PM ha chiesto è quella più lunga ed è rivolta al viceispettore della Polizia Penitenziaria, responsabile di tutte le accuse. Per un altro viceispettore e un assistente capo sono stati invece richiesti 2 anni e 4 mesi di carcere, pene più lievi che andrebbero a coincidere solamente con l’accusa di falso. Per i restanti sette agenti invece, la condanna richiesta è di 5 anni. Tutti gli imputati hanno scelto il rito abbreviato, che potrebbe portare a una riduzione della pena.

Le immagini delle telecamere e la ricostruzione dei fatti

Le prove decisive delle torture in carcere a Reggio Emilia sono state fornite dai video delle telecamere interne, proiettati per la prima volta in aula. Le immagini mostrano il detenuto, incappucciato con una federa stretta al collo, essere trascinato, sgambettato e picchiato ripetutamente. Secondo le ricostruzioni degli eventi, l’uomo sarebbe stato torturato per non aver rispettato alcune regole del penitenziario. Dopo essere stato denudato dalla cintola in giù, l’uomo è stato abbandonato in cella per oltre un’ora, nonostante fosse ferito e sanguinante a seguito di atti di autolesionismo.

Le contestazioni e le versioni discordanti

Secondo l’accusa, gli agenti hanno cercato di costruire una difesa basata su accuse false, come il presunto ritrovamento di lamette in possesso del detenuto. La pm ha definito questa versione “deliberatamente fabbricata”, sottolineando che le lamette non sono mai esistite. La difesa degli agenti, rappresentata dagli avvocati Nicola Tria, Federico De Belvis e Alessandro Conti, ha contestato la ricostruzione, promettendo di “aggredire l’impianto accusatorio”.

Un caso che solleva interrogativi più ampi

La vicenda ha scatenato l’indignazione delle associazioni per i diritti dei detenuti, tra cui Antigone e Yairaiha, presenti come parti civili. Durante l’udienza, il pm ha evidenziato la gravità della violenza, comparandola a strumenti di tortura come lo spit hood, bocciato da Amnesty International. La denuncia di un altro caso simile, avvenuto nel 2021, ha sollevato ulteriori preoccupazioni sulla gestione delle carceri.

Prossime fasi del processo

Il caso delle torture in carcere a Reggio Emilia proseguirà a dicembre con le discussioni delle difese e delle parti civili. Mentre il video e le testimonianze continuano a fornire un quadro inquietante, il dibattito si sposta anche sull’omertà e sulle riforme necessarie per prevenire episodi di abuso di potere nelle carceri italiane. Ad oggi, il detenuto ha pochi mesi di carcere da scontare, dopo tre anni di reclusione con l’accusa di spaccio.



Ancora una volta, si osserva il vero volto delle carceri in Italia, delle violenze fisiche, sessuali, psicologiche e degli scherni a cui i detenuti e le detenute sono sottoposte costantemente. Tanto Reggio Emilia quanto le recenti vicende a Trapani, così come tanti altri episodi, dimostrano come gli abusi in carcere, luogo dimenticato da ogni civile, politico e magistrato, sono un problema sistemico e quotidiano. La tortura nelle carceri non è prevista da una Costituzione di uno Stato che possa dirsi di Diritto, che possa dirsi democratico. 

Le conseguenze di queste pratiche disumanizzanti, estreme, insane e deplorevoli causano tutti gli autolesionismi, i suicidi o i tentativi di suicidio che ogni anno le associazioni per i diritti umani rilevano. Il carcere, declinato in questo modo, è tortura pura e gratuita, che lascerà per sempre impuniti i veri carnefici.

Le torture in carcere a Reggio Emilia hanno rappresentato come le punizioni per i responsabili faticano ad arrivare, sia per ciò che riguarda il tempo dei processi – infinitamente lunghi – sia per ciò che riguarda le scorciatoie che i responsabili riescono sempre a trovare.

Lucrezia Agliani

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