Nel centro di riabilitazione di al-Jed’ah, in Iraq, uomini, donne e bambini vengono arbitrariamente arrestati, brutalizzati e fatti sparire. Ma, dopotutto, come gli stessi detenuti affermano: “La tortura è solo la routine”
La tortura in Iraq torna ad essere una prassi nel Centro comunitario per la riabilitazione, ad al-Jed’ah, nel nord del Paese.
Qui, vengono rimpatriati decine di migliaia di iracheni arbitrariamente detenuti in Siria per sospetti legami con il gruppo armato dello Stato Islamico, l’ISIS.
Ma, secondo un’indagine di Amnesty International, il Centro – che gode di grande credito internazionale – è in realtà un vero e proprio centro di abusi, torture e maltrattamenti. Decine di iracheni vengono arrestati arbitrariamente, seviziati, le loro confessioni vengono estorte con la violenza. E, spesso, subiscono sparizioni forzate.
Una situazione che per gli iracheni, dopo quasi vent’anni di guerra e torture, è ormai una prassi.
Dalla Siria all’Iraq, gli iracheni vengono trasferiti da un orrore all’altro
Gran parte degli iracheni detenuti nel Centro di al-Jed’ha provengono dal Centro di Al-Hol. Carcere situato nel nord-est della Siria dove decine di migliaia di iracheni sono tutt’ora detenuti in modo arbitrario per sospetta affiliazione con il gruppo armato dello Stato Islamico, l’ISIS.
Sono oltre oltre 56.000 gli uomini, le donne e i bambini ad oggi detenuti in circa 27 strutture di detenzione e due campi. La maggior parte di loro è stata arrestata sul finire del 2019, durante le ultime battaglie condotte con il sostegno del governo degli Stati Uniti e di altri membri della coalizione per sconfiggere l’ISIS.
Molti di questi detenuti sono finiti vittime di atrocità, crimini dello Stato Islamico o della tratta di esseri umani. Altri, hanno subito sparizioni forzate, condizioni disumane e gravi violazioni dei loro diritti.
Oggi, però, l’Iraq è a lavoro per riportare i suoi cittadini nel Paese.
Dal 2021, sono infatti 9500 gli iracheni trasferiti dai Centri di detenzione siriani al Centro di al-Jed’ah in Iraq, diretto dal Ministero per le Migrazioni e gli Sfollati e forte del sostegno di del sostegno di altri ministeri iracheni, di alcuni organismi delle Nazioni Unite – tra cui OIM, UNICEF, UNHCR, UNFPA, OMS e WFP – e di ONG internazionali e locali.
Al momento, sono 2220 i cittadini ancora reclusi. Inoltre, il governo è a lavoro per rimpatriare altri 18.000.
Una volta arrivati al Centro di al-Jed’ah, tuttavia – come ha osservato la Segretaria generale di Amnesty, Agnès Callamard – gli iracheni trovano nuovamente di fronte a loro arresti ingiustificati, torture e sparizioni.
Le autorità irachene e l’ONU hanno concordato che decine di migliaia di iracheni saranno rimpatriati al centro di al-Jed’ah dal campo di detenzione di Al-Hol, nel nord-est della Siria, nei prossimi anni.
È inconcepibile che, dopo essere fuggiti da un decennio di guerra e detenzione, gli iracheni tornino solo per affrontare ulteriori orrori. Prima che queste pratiche colpiscano le migliaia di persone che devono essere riportate al Centro di al-Jed’ah, le autorità irachene devono adottare misure urgenti per porre fine all’uso della tortura e di altri maltrattamenti
La prassi della tortura in Iraq: “Quasi tutte le persone arrestate dovranno affrontarla, è solo la routine”
Dal 2021, sono 80 le persone arrestate all’interno del Centro iracheno di al-Jed’ah dalle forze di sicurezza nazionali (tra cui l’esercito, la polizia e le forze di intelligence) per presunte affiliazioni con l’ISIS.
Questi, secondo la testimonianza del presidente della Corte d’Appello di Ninive, vengono solitamente interrogati nella prigione di Faisaliya a Mosul o a Baghdad, e poi di solito processati dal Tribunale antiterrorismo di Ninive a Mosul.
Se è vero che alcuni arresti sono legittimi, è vero anche che la gran parte di questi dipende in realtà da fattori del tutto ingiustificati, errori giudiziari o confessioni estorte.
Per esempio, il quattordicenne Haider, è stato arrestato a causa della presunta affiliazioni dei suoi parenti. Ma secondo la madre, Fatima, lui non aveva nessuna colpa.
C’era qualcuno del nostro villaggio che ha detto che tutti nella nostra famiglia erano terroristi il padre e i figli. Haider non aveva alcun legame con il terrorismo. Era solo un ragazzino
In altri casi, gli arresti derivano da faide coniugali o da questioni economiche. Per esempio, se un iracheno occupa la casa di un suo concittadino mentre questo è assente, può accusarlo di affiliazione con lo Stato Islamico per non dover rinunciare al possesso della casa.
A seguito dell’arresto, i carcerati si trovano in condizioni disumane, privati dell’accesso a cibo, acqua, servizi igienici e assistenza sanitaria.
Inoltre, praticamente ognuno di loro subisce episodi di tortura durante gli interrogatori e anche in seguito.
A testimoniarlo è, per esempio, Saleem, arrestato insieme a suo figlio Abdullah nel 2023.
Mi hanno picchiato e mi ha ammanettato le mani dietro la schiena. Mi hanno colpito le piante dei piedi con un tubo dell’acqua verde. Stavo solo dicendo ‘no’, ancora e ancora. Durante la tortura, hanno detto che volevano che confessassi cose che non avevo fatto. Non mi sono confessato, e così non ho camminato per quattro giorni.
Hanno impiccato mio figlio per quattro ore. Ha affrontato il “ta’liq” [picchiato mentre era appeso a una sbarra di metallo], picchiato sui piedi, hanno imprecato e insultato la sua dignità.
Quasi tutte le persone arrestate dovranno affrontare la tortura. È solo la routine
Un’altra testimone, Maryam, ha raccontato ad Amnesty International di aver subito scosse elettriche, calci, percosse con un bastone sul collo e molestie sessuali. Oltre ad essere stata costretta ad assistere alle torture inflitte ad altri detenuti.
L’investigatore era mi malediceva e diceva cose sul mio corpo. Alcune parole non posso ripeterle, non riesco nemmeno ad averle in bocca. Continuavano a dire che dovevo ammettere di essere con l’ISIS
In altri casi, i prigionieri vengono fatti sparire per diversi giorni (da 14 giorni a tre mesi) senza che la famiglia ne sia al corrente.
Come nel caso di Mostafa, che la moglie non riusciva più a rintracciare.
Continuavamo a chiedere all’amministrazione dove fosse. Me lo dicevano solo, “l’hanno preso”. E davano sempre risposte diverse. A loro non piaceva che chiedessi loro di mio marito. Avevo così paura di chiedere, e potevo vedere che si stavano arrabbiando quando glielo chiedevo
Solo dopo l’interrogatorio, la donna ha potuto incontrare Mostafa in carcere. Totalmente sfigurato.
Non l’ho riconosciuto. I suoi denti erano rotti e non riusciva a sentire. Non riesce ancora a sentire correttamente. Le sue costole erano rotte. Potevo vedere quanto fosse stato torturato
Amnesty: “ONU cessi la cooperazione con le autorità irachene”
A seguito dell’indagine, Amnesty International ha lanciato un appello perché le Nazioni Unite interrompano il loro sostegno nei confronti delle autorità irachene e del Centro di al-Jed’ah, indagando sulle reali condizioni della struttura.
Amnesty International chiede alle autorità irachene di porre immediatamente fine all’uso della tortura e di altri maltrattamenti e alla sparizione forzata delle persone arrestate nel centro di al-Jed’ah, e di condurre nuovi processi che soddisfino gli standard internazionali di un processo equo per tutti coloro che sono stati condannati sulla base di confessioni contaminate da torture.
L’ONU dovrebbe condurre ulteriori indagini sul trattamento delle persone arrestate nel centro di Al-Jed’ah e cessare la cooperazione e il sostegno alle autorità irachene quando tale sostegno viene utilizzato in modo complice di violazioni dei diritti umani