Il disegno di legge sulla tortura ha avuto il via libera del Senato. Il testo, che per la prima volta introdurrà il reato di tortura nel codice penale italiano, è stato approvato con 195 voti a favore, 8 contrari e 34 astenuti. E adesso passerà di nuovo ala Camera per la quarta e ultima lettura.
Il provvedimento, nonostante fosse molto atteso, ha scatenato non poche polemiche. Infatti, in molti pensano che il testo originario sia stato completamente “stravolto” con le modifiche apportate dal Senato. Tanto che il primo firmatario, il presidente della Commissione per i diritti umani Luigi Manconi, ha rifiutato di votare. A sostegno della sua decisione, Manconi ha spiegato
“Il primo giorno della legislatura, il 15 marzo del 2013, presentai un ddl sulla tortura. Quanto accaduto in questi anni è stato lo stravolgimento di quel testo che ricalcava lo spirito profondo che aveva animato le Convenzioni e i trattati internazionali sul tema”.
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E molti altri senatori sembrano essere d’accordo con lui. Il voto del ddl ha messo in evidenza una netta divisione all’interno dei vari gruppi: di Fratelli d’Italia 13 si astengono, mentre 11 non votano affatto. Allo stesso modo non votano in 19 del PD e 5 del M5S. Stessa opinione anche per i parlamentari di Sinistra Italiana, anche loro astenutisi dal voto. Corradino Mineo ha infatti spiegato che l’impressione è quella di un testo “scritto male“, nient’altro che “un accordo al ribasso“. La preoccupazione principale di SI è che, per come è stato impostato, sarà molto difficile dimostrare in Tribunale se il reato di tortura è stato commesso o meno.
La condanna al ddl tortura, però, non è arrivata solo dalla politica, ma anche dalle organizzazioni. In primis, Amnesty international e Antigone, due associazioni che riponevano grandi speranze su questa nuova legge. Aspettative totalmente deluse, in quanto per Amnesty
“Si conferma un testo impresentabile e distante dalla Convenzione delle Nazioni Unite. Qualora la legge venisse confermata anche dalla Camera sarebbe difficilmente applicabile. Il limitare la tortura ai soli comportamenti ripetuti nel tempo e circoscrivere in modo inaccettabile l’ipotesi della tortura mentale è assurdo per chiunque abbia un minimo di conoscenza del fenomeno della tortura nel mondo contemporaneo, nonché distante e incompatibile con la Convenzione internazionale contro la tortura”.
Uno degli emendamenti maggiormente criticati, infatti, riguarda proprio le caratteristiche necessarie per individuare il reato di tortura. Il testo introduce le diciture di “reiterate violenze” e “verificabile trauma psichico“. Senza la condizione della reiterazione, quindi, non si potrà parlare di reato di tortura. Ma cosa accadrebbe se le vessazioni venissero praticate un’unica volta e non ripetute nel tempo? E in che modo si potrà dimostrare il trauma psichico dovuto alle torture mentali, soprattutto se a distanza di tempo?
Questo sembrerebbe l’ennesimo paradosso di una tipica legge all’italiana. Una legge che sembra finalizzata unicamente a proteggere a tutti i costi gli appartenenti all’apparato statale e alle forze dell’ordine. Anche quando quest’ultimi si rendono colpevoli di crimini contro altri esseri umani.
DDL tortura: l’iter travagliato di una legge controversa
Il ddl sulla tortura arriva in Italia con più di 30 anni di ritardo. Basti pensare che la Convenzione di New York contro la tortura risale al 1984. E in questi anni sono arrivate numerose condanne internazionali all’Italia a causa del vuoto normativo su questo argomento.
Il provvedimento è arrivato per la prima volta in commissione Giustizia del Senato il 22 luglio 2013. Votato dall’Assemblea di Palazzo Madama il 5 marzo 2014, è stato poi trasmesso alla Camera. In commissione è rimasto fino a marzo 2015, subendo diverse modifiche. Passato di nuovo al Senato e ulteriormente modificato, il testo dovrà infine ottenere l’approvazione definitiva della Camera.
Il testo introduce quindi il reato di tortura nell’ordinamento italiano. Ma ciò che fa maggiormente discutere è la possibilità di configurare il reato contro le forze dell’ordine. Gli emendamenti apportati dal Senato, infatti, hanno portato a una riduzione delle pene. In questo modo, affinché scatti la pena di 10 anni sono indispensabili le “reiterate violenze“, la “crudeltà” delle azioni e un “verificabile trauma psichico“. Tutti elementi difficilmente dimostrabili in sede di processo. Inoltre, nel testo approvato alla Camera era stato specificato che
“Se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni”.
Adesso la pena massima è stata ridotta a 12 anni. Tuttavia viene anche aggiunto che il reato non sussiste
“Nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.
Un passaggio di non semplice interpretazione, che sembrerebbe voler tutelare “chi ha paura di incappare in questo reato“, come affermato da Ilaria Cucchi. Come lei, anche diversi sopravvissuti alle torture subite nel 2001 a Genova durante il G8, e i loro familiari, l’hanno definita una “legge truffa“. Senza contare poi che non è stata eliminata la possibilità di prescrizione, quando il diritto internazionale ha definito la tortura un reato imprescrittibile.
Il provvedimento ha finalmente introdotto in Italia i reati di tortura e istigazione alla tortura. Ma l’impressione è che la strada da percorrere sia ancora lunga. Non potremo tirare un sospiro di sollievo finché il rispetto delle persone e della dignità umana non sarà totalmente garantito. Senza eccezioni e attenuanti.