L’umanità dimenticata: mille tombe anonime lungo le rotte migratorie UE

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Un’inchiesta del Guardian, quotidiano britannico, rivela 1.015 tombe anonime lungo le rotte migratorie UE e almeno altri 2.162 corpi stipati in obitori e camere mortuarie non ancora identificati. Ma potrebbe essere solo l’inizio.

Tombe anonime lungo le rotte migratorie UE

I percorsi che portano i migranti verso l’Europa sono tanti ma hanno tutti una caratteristica in comune: la pericolosità. Che dall’Africa si tenti di attraversare il Mediterraneo o che dalla Turchia si cerchi di entrare in Grecia, il tasso di mortalità, purtroppo, è alto.

Tutti i Paesi europei sono in difficoltà nel gestire la situazione e spesso, per mancanza di tempo e risorse, i corpi dei migranti vengono seppelliti in tombe anonime segnalate da pietre, croci, lastre e targhe spesso prive di ogni indicazione oppure con brevi incisioni come “nome sconosciuto” o “signor X”.

Il team del Guardian ha rintracciato numerosissime tombe anonime: Lampedusa, Gran Canaria, Calais, Alexandroupolis, i confini polacchi, croati e lituani. E il timore è che siano solo la punta dell’iceberg. In pochi mesi, infatti, sono morte più di 29.000 persone nel tentativo di raggiungere l’Europa e la maggior parte di loro risulta dispersa.

Diritti umani, legislazione europea e l’inaccettabilità delle sepolture anonime

Eppure il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che impone, o quantomeno chiede, di identificare le persone che muoiono lungo le rotte migratorie. E ha anche riconosciuto la necessità di creare un database coordinato per facilitare le operazioni di riconoscimento dei corpi e di ricongiungimento con i familiari. Ma il fatto è che le parole sono rimaste tali e ci sono numerosi vuoti legislativi all’interno dei singoli paesi europei. Così facendo, però, stanno venendo meno agli obblighi previsti dalla legge internazionale sui diritti umani

“Gli strumenti ci sono. Abbiamo le agenzie e gli esperti forensi, ma devono essere ingaggiati dai governi. L’ascesa della destra forte e la mancanza di volontà politica potrebbero ostacolare ulteriormente lo sviluppo di un sistema adeguato per affrontare la tragedia dei migranti scomparsi”

Dunja Mijatović, commissaria europea per i diritti umani.



I sistemi sono inadeguati, mancano regole comuni su quali informazioni raccogliere e dove conservarle e, inoltre, gli sforzi di tutti i governi sono volti a catturare i trafficanti senza preoccuparsi delle vittime. Secondo la Commissione Europea, invece, è necessario tutelare i diritti e la dignità dei migranti contemporaneamente alla lotta al traffico di esseri umani. Che vi siano cimiteri di tombe anonime, dunque, è inaccettabile.

Intanto, mentre la Commissione sta “lavorando per migliorare il coordinamento e si rammarica per la perdita di ogni vita umana”, ci sono alcune realtà che provano concretamente a tamponare le lacune: il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC), ad esempio, ha avviato un programma di ripristino dei legami familiari da parte di persone in cerca di parenti scomparsi durante il viaggio verso l’Europa. Negli ultimi 10 anni ha ricevuto più di 16.500 richieste ma, purtroppo, solo 285 hanno ottenuto un esito positivo.

A livello locale, invece, vi sono squadre di anatomopatologi che raccolgono campioni di DNA e tutti gli oggetti personali che possano facilitare il riconoscimento dei cadaveri. In Italia, ad esempio, il Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense), guidato da Cristina Cattaneo per l’Università Statale di Milano, si occupa quotidianamente di condurre queste ricerche. Ma con l’ascesa della destra e delle sue dure posizioni sull’immigrazione irregolare, il clima nei confronti del loro prezioso lavoro si sta raggelando, tanto che la stessa Cattaneo afferma:

“Non si tratta solo di una difficoltà tecnica, ma anche politica”.

L’importanza di identificare

Identificare i cadaveri e dare loro una degna sepoltura è un atto di umanità necessario. Soprattutto per i parenti della vittima, ed è per questo che è inaccettabile la presenza di tombe anonime lungo le rotte migratorie UE. Dal punto di vista psicologico è stata definita da Pauline Boss, (professoressa emerita di psicologia all’Università del Minnesota), una “perdita ambigua”: un lutto che non può essere vissuto fino in fondo e, di conseguenza, superato.

“Si è bloccati, immobilizzati e ci si sente in colpa se si ricomincia a vivere perché ciò significherebbe accettare che la persona è morta. Il lutto è congelato, il processo decisionale è congelato, non si può elaborare la perdita e non si riesce a rispondere alle domande”

I rituali funebri, infatti, rispondono a un bisogno umano profondo a cui è necessario rispondere. Continua Boss, infatti:

“La cosa più importante è che il nome del defunto sia scritto da qualche parte in modo che i famigliari possano visitarlo e che lui possa essere ricordato. Un nome significa che sei stato su questa Terra, che non sei stato dimenticato”.

A questo, poi, si aggiungono conseguenze pratiche e burocratiche non irrilevanti. Ad esempio senza un certificato di morte il coniuge non può ereditare beni o richiedere assistenza sociale. E gli orfani, invece, non possono essere adottati dai parenti.

Arianna Ferioli

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