“Troppo di sinistra”, “Pieno di luoghi comuni”, “Un film geniale”: cosa si dice per ora di Tolo Tolo, il nuovo musical sul razzismo di Checco Zalone, che, nel primo giorno di proiezioni, ha già polverizzato la soglia degli 8 milioni di incassi.
Attenzione, il seguente articolo contiene una dose non indifferente di informazioni che potremmo definire “SPOILER” sul nuovo film di Checco Zalone, Tolo Tolo. Attesissimo dal pubblico, è uscito dopo la mezzanotte del 1° gennaio 2020, preceduto da settimane di polemica, di previsioni e di aspettative.
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Checco Zalone è, come sempre, un personaggio inventato, una caricatura
Solo chi ha degli evidenti problemi di interpretazione della realtà può pensare che Checco Zalone sia un personaggio vero. Luca Medici, questo il nome dell’attore e cantante pugliese, ha dato vita a una longeva caricatura dell’italiano medio, arraffone, arrogante e approfittatore e, con successo, la presenta al pubblico da anni. Come negli altri film, Checco ha il debole per le donne, è narcisista, non ha voglia di lavorare, è disincantato relativamente a certe questioni e sognatore rispetto ad altre. Pur versando in una situazione economica disastrosa, non rinuncia agli agi e sembra non avere la minima capacità di lettura della realtà: fa il cameriere ed è ricoperto da brand di lusso da capo a piedi. Ostenta snobismo e si veste da razzista per prendere in giro i razzisti. Lo si odia e lo si ama perché è uguale a quello che non vorremmo essere e che forse un po’ siamo. E’ un po’ come il fenomeno Martina dell’Ombra, il personaggio svampito e odiosamente superficiale che interpreta Federica Cacciola. Un po’, ancora, come il ragionier Fantozzi. Sono personaggi esagerati che esasperano i vizi di noi italiani. Hanno un fondo di verità e provocano sentimenti contrastanti.
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Molti dei personaggi di Tolo Tolo sono caricature e macchiette, allo stesso modo
C’è l’amico cameriere che vuole venire in Italia a fare il regista, che parla un perfetto italiano e ha una cultura vastissima. C’è il meraviglioso riferimento al ministro Di Maio e al sorprendente cursus honorum che lo porta in pochi anni a essere presidente della Commissione Europea. C’è la fantastica stoccata alla retorica di cui spesso la sinistra si riempie la bocca, con il videomaker francese che filma la sofferenza delle migrazioni con una poetica stucchevole e non meno superficiale rispetto alle idee razziste. Ci sono personaggi buoni, senza scivolare nell’ostentato ecumenismo di Don Matteo. Ci sono personaggi esagerati ma che conservano un fondo di verità, come il protagonista: tutto, come in Italia, è esasperazione.
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La trama forse è un po’ troppo intricata per essere un film comico
Tolo Tolo nasce per far ridere su una questione complessa. Una questione che quindi va inserita in un certo contesto con un certo tipo di premesse. Nei primi dieci minuti di film, il pubblico è bersagliato da una miriade di informazioni sul pregresso di Zalone, un maldestro imprenditore che decide di aprire un ristorante di sushi nella regione pugliese della Murgia. Tempo un mese, arriva il pignoramento, i parenti che lo avevano finanziato si imbufaliscono e le due ex mogli non alleggeriscono certamente la situazione. Checco se ne va dunque in Africa, in un lussuoso villaggio turistico in cui lavora come cameriere e in cui comunque dispensa consigli imprenditoriali non richiesti ai facoltosi clienti italiani. Il villaggio viene attaccato dall’Isis, lui e l’acculturatissimo collega africano devono scappare e, in qualche modo, sono costretti a tornare in Italia. Una trama intricata, con moltissimi personaggi e altrettanti spunti, che si trasformano in mille rivoli senza ulteriori sviluppi e alcuni buchi.
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Tolo Tolo non è un film di destra
No, Tolo Tolo non è decisamente un film di destra. Ci sono battute che fanno ridere tutto il pubblico e battute meno partecipate: in sala si percepisce proprio la netta divisione politica tra gli spettatori. Ridendo e scherzando, il film parla di chi è disposto a vendere tutto pur di partire e alle difficoltà che affronta. Parla di viaggi interminabili in mezzo al deserto e alla sua corruzione, parla dei campi di prigionia in Libia e parla degli sbarchi e dell’accoglienza riservata ai migranti sul territorio italiano. Parla male del fascismo e di Mussolini, critica cantando le prese di posizione di chi vorrebbe lasciare i migranti ad annegare in mezzo al mare. Più che ironia sugli immigrati, ne fa su chi li sfrutta. Più che ridicolizzare gli stranieri, prende in giro gli xenofobi. Non deride i diversi, ma i razzisti. Se ci si sente offesi dal film, quindi, forse è il momento di un esamino di coscienza. .
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Tolo Tolo non è nemmeno un film di sinistra
Non è un film di sinistra perché la sinistra italiana fa fatica a prendere posizione in modo così netto su certi temi: un “la va o la spacca” cinematografico, con cui Zalone ha rischiato il gelo ai titoli di coda. Una scommessa che la sinistra italiana non sembra pronta a fare. Il ruolo del giornalista francese è una grande stilettata a chi si riempie la bocca di retorica e di parole buone, senza però prendere una posizione seria, ma cercando di strumentalizzare l’immane tragedia delle migrazioni. Un po’ alla “comunisti col Rolex”. Gli slogan esistono sia a destra, sia a sinistra. Siamo sicuri che quelli di sinistra siano slogan sempre e a prescindere meno vuoti rispetto a quelli di destra?
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Tolo Tolo ha fatto abboccare tutti con il trailer
Qui c’è del marketing e del genio. La produzione deve aver fatto due conti: bisogna portare al cinema la maggioranza delle persone. E cosa vota, in questo momento storico, la maggioranza delle persone? Zalone ha quindi pubblicato come trailer del film una canzone che ha indignato la sinistra e persino Salvini si è schierato in sua difesa. Il gioco è stato fatto: il brano “Immigrato” sembrava presagire un film contro il politically correct e contro la retorica buonista. Un’enorme presa per i fondelli per la politica. E anche per la vacuità dei temi su cui ritiene opportuno prendere posizione ogni giorno. Come era accaduto con “Gli uomini sessuali”, Zalone ha scritto per questo film delle canzoni che, probabilmente, entreranno tra i riferimenti nazionalpopolari di questo periodo storico per i luoghi comuni e gli slogan che ripropongono: Tolo Tolo è, in buona sostanza, un musical sul razzismo.
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Tolo Tolo è intriso di battute e luoghi comuni già visti
Non mancano battute sul sesso, su Berlusconi e il cane Dudu, sulla prestanza fisica e sulla virilità degli africani, sulle tasse italiane. E’ un film comico, non è un trattato di filosofia né di antropologia e nemmeno un manuale di economia politica. Parla di temi difficili con leggerezza, tutto qui. Sembra ci siano meno battute rispetto alle pellicole precedenti. Non mancano però momenti politicamente scorretti: Zalone, ad esempio, preferisce l’Isis rispetto all’assillante presenza delle ex mogli. Oppure, quando in Libia scoppia una bomba che interrompe il bacio tra la ragazza che ha rubato il cuore a Checco e il suo rivale sentimentale, lo si sente esclamare: “Grazie Haftar”. Riesce però a stare in equilibrio per tutta la durata del film sul filo sottile che separa comicità e questione seria.
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Tolo Tolo non ha una conclusione
Come lo concludi un film del genere? Basta arrivare in Italia? Puntiamo sul fatto che questi migranti arrivino e si realizzino? Oppure facciamo in modo di essere un po’ più fedeli alla realtà e raccontiamo l’inferno che li aspetta, le porte in faccia e apriamo la discussione sulle migliaia di vite sfruttate? No. Checco Zalone abbatte la quarta parete, non recita più. Il film finisce in modo un po’ strampalato, con una canzone dall’ambientazione zecchiniana e dal contenuto spiazzante: ci sarebbe una “cicogna un po’ mignotta” che farebbe nascere i bambini in Africa. Tutto qui. D’altronde, come fai, con un film del genere?
E quindi?
Come si fa a parlare delle tragedie del mare quando queste sono ancora in corso? Come si fa a parlarne in modo leggero? Bisogna ammettere che rendere semplici le cose difficili non è da tutti e, soprattutto, lo è ancora meno quando si tratta di questioni di scottante attualità. Per quanto possa essere improprio il paragone, ad esempio, Benigni con La Vita è bella è riuscito a parlare della tragedia dell’Olocausto in modo quasi leggero. Lo ha fatto ad anni di distanza, quando ormai la storia aveva dato a ognuno il proprio ruolo, suddividendo le vittime dai carnefici. Lo fa, tra i film comici, Antonio Albanese, quando si veste da mafioso per prendere in giro la mafia. Albanese gioca su un terreno meno divisivo: tendenzialmente tutti, almeno a parole, sono contro la mafia. Parlare invece ora di qualcosa di terribilmente attuale è una sfida che Checco Zalone ha lanciato a se stesso: da anni prende in giro il razzismo, l’omofobia e le incoerenze dell’Italia e lo fa con una certa maestria. Parla il linguaggio del razzista e si veste da razzista. Parla il linguaggio degli omofobi e si veste da omofobo. Dovrebbe essere il ruolo del comico. Sempre che venga capito.
Elisa Ghidini