Tiziana Barillà racconta in “Quelli che Spezzano” una democrazia migliore

L’incontro con il libro di Tiziana Barillà è straniante quelli che spezzano www.ultimavoce.it fandangoper chiunque non abbia una solida cultura politica né conosca le vicende del Sud Italia. La giornalista racconta, infatti, un’esperienza politica straordinaria: quella di cui è stata ed è protagonista Spezzano Albanese/Spixana con il suo municipalismo libertario d’ispirazione anarchica. Non è un discorso lineare, né semplicissimo da seguire. Muovendosi tra l’ideologia – non a caso, dedicatario del volume è l’anarchico Paolo Finzi – e la prassi di una realtà appassionatamente indagata, Tiziana Barillà spesso spiazza. Eppure, Quelli che Spezzano (Fandango, 2020), è un libro oggi assolutamente necessario. Perché? Perché ci dimostra che costruire una società diversa è una reale possibilità, non solo un’utopia.

Per la maggior parte degli Italiani, spiega Tiziana Barillà, la democrazia rappresentativa è un dogma: un sistema imperfetto, eppure l’unico a nostra disposizione. Questo dogma è responsabile tanto della crescita dell’astensionismo quanto dell’ascesa dei populismi. La democrazia rappresentativa, scrive la giornalista, è un sistema che inesorabilmente allontana i governanti dai governati, perché

lascia il potere in mano a chi si candida. In essa, si delega il potere di fare e approvare leggi. L’unico strumento sono le elezioni. Nonostante il progressivo indebolimento di legittimazione sociale degli istituti rappresentativi, si continua a delegare a quegli istituti la propria vita. Riteniamo i nostri rappresentanti peggiori di noi, eppure ci fidiamo più di loro che di noi stessi. Non crediamo che al governo dei migliori ci siano i migliori, eppure continuiamo a legittimarli.

Tale meccanismo perverso si regge su fondamenta tenaci: la mancanza di cultura politica e il disimpegno che il sistema stesso incentiva.

Dobbiamo arrenderci, dunque, a vedere il nostro Paese irrimediabilmente destinato a sprofondare nel baratro di un governo sempre peggiore e delle sue conseguenze? Non necessariamente.

L’ultimo libro di Tiziana Barillà, Quelli che Spezzano, racconta che un’alternativa è possibile. Questa alternativa esiste, ha iniziato a esistere in Italia già dagli anni ’70. Porta il nome di Spezzano Albanese/Spixana, città della Calabria che, grazie a un movimento anarchico coraggioso e lungimirante, ha visto nascere una dinamica politica diversa. A rievocare questa eccezionale avventura è Domenico Liguori, membro della comunità italo-albanese e anarchico, che l’ha vissuta da assoluto protagonista. Come spiega Liguori,

L’alternativa non sta nel cambio delle persone al potere, ma nel cambio del metodo. Occorre abbandonare il metodo della delega, abbandonare l’illusione che altri possano risolverci ciò che quelli di prima non sono riusciti a risolverci. Rifiutare definitivamente questo metodo e abbracciare quello dell’azione diretta, della democrazia diretta.

Ma come si concretizza il metodo della democrazia diretta praticato dal movimento anarchico a Spezzano?




Anzitutto e soprattutto, nel restituire voce e responsabilità alla popolazione.

Fin dalla sua nascita, quando ancora era un circolo culturale, il movimento anarchico spezzanese si è fatto carico anzitutto della “controinformazione” della comunità. Ossia, chiedendo accesso ai bilanci e alle delibere dell’amministrazione comunale, ha mostrato alla popolazione dove e come fossero violati i diritti collettivi. E come lo fossero, peraltro, proprio da quel partito comunista che si credeva immune dalla corruzione. Dimostrato che “non esistono poteri buoni”, il lavoro degli anarchici è consistito nel raccogliere la spinta rivendicativa della comunità per trasformarla in azione municipalista. Così, restando fuori dalle stanze del potere per non rimanere invischiati nelle sue dinamiche, gli anarchici hanno combattuto molte battaglie nell’interesse della collettività. Ambiente e salute, cultura, economia e lavoro: questi gli ambiti in cui il dibattito ha reso Spezzano uno straordinario laboratorio civile. Locale, sì, ma informato e attento a ciò che accadeva in Italia e nel mondo.

“Ginnastica rivoluzionaria”: ecco come, secondo Tiziana Barillà, gli anarchici Errico Malatesta e Luigi Fabbri definirebbero queste battaglie.

Esercizi di preparazione morale e civile a un mondo migliore. Del resto, scriveva Malatesta,

Non bisogna proporsi di tutto distruggere credendo che poi le cose si aggiusteranno da loro. Perché l’eliminazione delle istituzioni non deve comportare il peggioramento delle condizioni di vita degli individui. Oltre che ingiusto, infatti, sarebbe anche strategicamente controproducente, perché in pessime condizioni quegli individui tornerebbero a rivolgersi a una nuova autorità.

Infatti, è vero che l’anarchismo punta all’eliminazione di ogni gerarchia e autorità, ma questo non significa, come troppo spesso invece si crede, una cieca anarchia. Coerentemente, l’azione degli anarchici spezzanesi non è stata riformista, ma riformatrice: ha puntato alla rivoluzione, ma senza sacrificare le esigenze immediate della collettività. Perché l’eliminazione delle gerarchie e dell’autorità passa necessariamente non per il sangue, bensì per le conquiste sociali.

Anche perché di sangue, prima e subito dopo l’Unità d’Italia, a Spezzano e nel Meridione se n’è visto fin troppo. Così come durante il fascismo e perfino dopo la nascita della Repubblica.

Capobianco e Agesilao Milano, Antonio Nociti e la brigantessa Ciccilla: Tiziana Barillà ricorda uno a uno i martiri della libertà dipinti come malviventi. Dei quali dice, ricostruendo la storia del Meridione dai Borboni ai giorni nostri in una meravigliosa lettera d’amore alla propria terra:

Una sequenza lunga e dolorosa di resistenza e ribellione all’ingiustizia che raramente – se non mai – compare sui banchi delle nostre scuole, tra le pagine dei libri di storia. I Calabresi sono un popolo di ribelli, non di criminali e la Calabria è terra di anarchia, non di violenza. Ma la Storia ufficiale ci parla troppo poco di questa terra, ancora imprigionata in congetture e pregiudizi. E nell’azzardo giudicante di chi etichetta l’altro senza conoscerlo a fondo.

«Il passato non muore, ma riposa in attesa che qualcuno riprenda il cammino».

Con questa frase si apre e si chiude, in perfetta circolarità, Quelli che Spezzano. Un racconto che a tratti il troppo amore rende quasi indecifrabile e che, nondimeno, trasmette un messaggio forte e chiaro. Come scrive Tiziana Barillà,

La conoscenza di quanto accaduto ieri e la consapevolezza di quanto accade oggi possono aiutarci a vivere. […] Sudditi dell’ormai, viviamo come in un limbo in cui tutto è possibile fuorché il cambiamento radicale, la trasformazione. Conoscere, pensare, criticare. È la nostra unica arma.

Quanto realizzato a Spezzano Albanese può essere difficile, perfino improbabile, eppure non è impossibile. Una società organizzata in modo altro lì è stata immaginabile, immaginata, realizzata. Cosa significa questo per noi? Che, se portiamo in noi l’aspirazione a un mondo migliore, è tempo di organizzarci, fare rete, tentare di costruirlo davvero: non ci sono più alibi.

Valeria Meazza

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