Fotografa, attivista e intellettuale italiana: Tina Modotti fu una delle prime ad aver utilizzato il mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia sociale. Lei ha saputo cogliere l’essenza, senza nessuna manipolazione artistica, per esortare una presa di coscienza di classe.
Una vita dedicata alla fotografia e all’impegno civile
Tina Modotti nacque a Udine il 17 agosto del 1896, ma visse in diversi Paesi, quali l’Austria e gli Stati Uniti, fin dalla tenera età a causa di trasferimenti familiari. Anche da adulta viaggiò per il mondo, fino a stabilirsi in Messico nel 1922. Quest’ultimo Paese segnerà la sua esperienza, soprattutto di fotografa e attivista, rendendola una delle protagoniste del fermento culturale messicano. La sua vita fu travagliata, ricca di incontri e amori che le cambiarono la vita e influenzarono il suo modo di vedere il mondo e, dunque, anche di fotografare.
Come scrive l’autrice Patricia Albers, Tina fu “desiderosa di dare un senso alla propria vita e di capire quale fosse il proprio posto nel mondo”. In particolare l’incontro con il fotografo statunitense Edward Weston la ispirò notevolmente. Fu proprio lui a suggerirle di “risolvere il problema della vita perdendosi nel problema dell’arte”, ma Tina non riuscì ad risolvere il disordine della vita tramite la purezza della fotografia di cui parlava Weston. In una lettera del luglio 1925 ella gli scrisse: «Metto troppa arte nella mia vita e di conseguenza non mi resta molto da dare all’arte».
Nel settembre del 1928 ella diventa la compagna di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, con cui visse un amore profondo che le intensificò anche il lavoro di fotografa e militante politica. Di fatti, nel dicembre del 1929 raggiunse l’apice della sua carriera con la sua mostra, chiamata “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”.
Fu attivista politica per il partito comunista fino al 1930, anno in cui venne esiliata dal Messico per i suoi legami con il partito. Dopo l’esilio abbandonò la fotografia, nonostante gli incoraggiamenti di Robert Capa nel riprenderla e proseguì attività politiche e sociali soprattutto in Europa fino al 1942, anno della sua morte.
Quella di Tina fu una fotografia sociale ed etnografica
I suoi lavori vennero catalogati come fotografia documentaristica o di reportage, ma risulta interessante anche la lettura di Roberta Valtorta, storica e critica della fotografia italiana, secondo cui quella di Tina Modotti fu una fotografia sociale ed etnografica.
Per Tina Modotti ciò che è importante è l’immediatezza, saper catturare la realtà così come si presenta, senza alcuna manipolazione artistica. Il suo scopo principale rimane quello di documentare la realtà attraverso soggetti comuni, con frequenti primi piani, isolati ed evidenziati.
La sua fotografia non si separa dalla militanza politica. I suoi lavori denunciano le condizioni di miseria di molte fasce di lavoratori messicani e invitano a una presa di coscienza di classe. C’è una esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto (come le mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello).
Fu la stessa Tina a dichiarare:
Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore.
Quando le parole “arte” o “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo […] Io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.
Valentina Volpi