Con “Storia di una passione politica”, Tina Anselmi non ci lascia una semplice biografia in cui elenca cronologicamente i fatti della sua esistenza. Ma il racconto di una donna che si guarda allo specchio interrogandosi sugli eventi più importanti della sua storia particolare per fare luce su alcuni accadimenti della Storia generale della nostra Repubblica, ripercorrendo gli anni dal Dopoguerra fino a quelli della sua vecchiaia.
Le parole di Tina Anselmi, raccolte in anni di amicizia dalla scrittrice Anna Vinci, fanno emergere, innanzitutto, il ritratto di una donna che ha fronteggiato l’oppressione degli attacchi nazisti e fascisti e ha portato avanti le sua battaglie contro il potere deviato e deviante. Già dalla Prefazione di Dacia Maraini ci viene restituita l’immagine sincera di una donna dall’«intelligenza liquida», che sa scivolare sicura da un argomento all’altro «senza mai fermarsi davanti a preconcetti o a inutili divieti».
L’esercizio di lettura per chiunque si avvicini a questo testo edito da Chiarelettere diventa un esercizio di “scivolamento”, non solo tra i ricordi del passato di Tina Anselmi, ma soprattutto tra le idee e i pensieri che la donna raccoglie e rielabora nel corso della sua vita nella loro complessità e durezza. Il libro getta luce sulle due facce di Tina: quella politica e quella privata, che durante tutta la narrazione si fondono, perché per Tina per vivere la propria esistenza non si può trascurare di partecipare della vita collettiva, e «per cambiare il mondo bisogna esserci».
Vivere la Resistenza: «cosa possiamo fare?»
Tina Anselmi ricorda dapprincipio le proprie memorie da staffetta partigiana. La sua ricerca instancabile e radicale di verità durante la Resistenza assume la forma di un’interrogazione che riguarda anche noi: «cosa possiamo fare? Stiamo qui e guardiamo? Possiamo assistere a ciò che accade attorno a noi senza fare niente?». La sua ricerca diventa strumento personale e collettivo di lotta, di azione di fronte al nemico. Durante la Resistenza, a cui aderisce dopo aver assistito all’impiccagione di 31 prigionieri da parte dei nazifascisti, Tina scopre l’esposizione onnipresente alla morte e la crudeltà della morte stessa. A quel “cosa possiamo fare?”, Tina risponde che bisogna rifiutare il fascismo affermando la forza di una collettività che si impegnava contro chi avrebbe voluto negare i diritti umani. Volere la fine della guerra voleva dire spingere per la costruzione di una pace, pretendere la libertà, riconoscere di fronte alla morte «la verità della vita».
Tina decise, quindi, di partecipare alla Resistenza e di cambiare la sua identità e il suo nome in quello di “Gabriella”, ispirandosi all’arcangelo Gabriele, una donna di carne e di coraggio che sarebbe corsa con la sua bicicletta per trasportare informazioni sugli spostamenti dei tedeschi. La sua famiglia restò all’oscuro di tutto. La Resistenza divenne strumento di emancipazione dal nucleo di origine, scoperta e partecipazione al mondo all’infuori della casa familiare.
Il 25 aprile e oltre: l’impegno politico di Tina Anselmi
Possiamo fare memoria della Resistenza. Possiamo farlo, ad esempio, ogni 25 aprile. Una ricorrenza messa spesso in dubbio da coloro che si impegnano in tentativi di revisionismo storico, e da alcune personalità politiche del nostro governo di Destra. Per quei testimoni ancora in vita questa data diventa essenziale per poter raccontare ancora cosa è stata la Resistenza, affinché il significato di quella storia non venga disconosciuto ma anzi compreso, specie dai giovani. Ma soprattutto affinché il tempo non ne consumi il patrimonio morale, civile, politico. La Resistenza avrà sempre qualcosa da raccontare perché gli errori e gli orrori non si ripetano.
Neanche per Tina la Resistenza finisce quel 25 aprile. Come lei stessa dichiara: «si ha veramente la sensazione di essere stati utili, di aver costruito qualcosa che potrà durare nel tempo». Una volta tornata la pace Tina Anselmi scopre una «forza inattesa», non si mette da parte, ma anzi, trova esaltante e totalizzante l’attività politica. Con la nascita della democrazia le vengono assegnati compiti di governo di estrema importanza. Diventa sindacalista attenta alle condizioni femminili, dedicando molto del suo impegno ai temi dei problemi della famiglia e della donna. Diventa deputata e successivamente ricopre la carica di due ministeri, del Lavoro e della Sanità. Assume, inoltre, un ruolo di responsabilità nella decifrazione di una delle storie più dibattute degli ultimi anni, la P2 e Licio Gelli.
La lotta per la democrazia, un bene delicato e fragile
Per Tina, l’anima della nuova Italia che viene costruendosi, può essere descritta con le parole del francese Jacques Maritain: «Non si può costruire una democrazia se non c’è amicizia». Insomma, possiamo essere tutti di idee diverse, possiamo essere avversari politici, ma avere insieme il desiderio di costruire la pace, la libertà, uno stato sociale. Per fare questo, per Tina bisogna «mischiarsi con la gente», stabilire rapporti diretti. Lottare insieme, evitare il rischio di estraniamento dalla popolazione. Ogni giorno siamo tutti chiamati a prenderci la nostra parte di responsabilità. Nessuno può cadere nel disimpegno o ritirarsi ai margini. La politica non deve seguire la frenesia del mercato: la politica non sono dei voti portati dagli elettori. La democrazia non è un bene di consumo, né per la classe politica né per i cittadini.
La nostra storia di italiani ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati. E concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo. Ci potrebbe far riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni – quanto libere? –, non è soltanto progresso economico – quale progresso e per chi? È giustizia. È rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace.
La domande di Tina sono le nostre domande
Come Tina ribadisce più volte, e noi qui con lei, la democrazia ha bisogno di responsabilità da parte sia dei politici che dei cittadini. La democrazia ha bisogno della capacità, attraverso lo sguardo e l’ascolto del Paese, di interpretare i cambiamenti in atto. Urgenza che Aldo Moro, a cui Tina era profondamente legata, non si stancava mai di coltivare. Con il rapimento e l’uccisione di Moro si perse quella speranza. Come dice Tina Anselmi: «con l’affare Moro si è aperta una ferita nella nostra intelligenza e nella nostra umanità». L’Italia restò una democrazia incompiuta in cui la violenza prevaleva sulla ricerca della verità e della convivenza civile. Recuperare la storia di Tina Anselmi significa ripartire da quegli avvenimenti che hanno segnato la storia del nostro Paese per porci insieme a lei alcune domande: «Cosa non è andato come doveva? Che cosa abbiamo fatto, o piuttosto, che cosa abbiamo trascurato di fare? Che cosa abbiamo smarrito strada facendo?». Recuperare le memorie e le domande di Tina significa recuperare la forza di ritornare a quel passato per illuminare il nostro presente, per assumere su di noi la responsabilità della storia del nostro Paese e non starcene ai margini nella totale indifferenza.
Carmen della Porta
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