Gestire le crisi dei figli risulta spesso difficile per i genitori, ma qual è la tecnica migliore per affrontarle? Il Time-out e Time-in sono due approcci per gestire i comportamenti indesiderati dei bambini; puntano al medesimo obiettivo attraverso tecniche opposte.
Time-out: uno stile educativo dannoso
Sono tante le domande che un genitore si pone quando si trova difronte ai capricci del proprio figlio: “In che modo devo comportarmi?”, “Devo sgridarlo?”, “Devo rassicurarlo?”; incertezze e preoccupazioni invadono la loro vita. Le due tecniche educative, Time-out e Time-in, nascono proprio per gestire i comportamenti indesiderati dei bambini: il focus principale di entrambe le tecniche è far riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni e indurre il piccolo a non ripetere quel comportamento scorretto. Tuttavia, se nel primo caso il bambino viene isolato a riflettere da solo, nel secondo l’adulto lo sostiene nel recupero dello stato di quiete e serenità.
Il termine Time-out è preso in prestito dal mondo dello sport dove l’allenatore, quando i giocatori non rispondono in modo adeguato agli attacchi degli avversari, può chiedere tempo per dare consigli e spronare gli atleti. Tuttavia, il concetto di Time-out è stato coniato, nel 1958, dallo psicologo comportamentale Arthur Staats, quando ancora insegnanti e presidi scolastici schiaffeggiavano i bambini in caso di comportamenti ritenuti sbagliati: lui affermava che era più produttivo isolarli brevemente, piuttosto che sculacciarli o urlargli contro.
Questa tecnica può durare da cinque a 15 minuti: il bambino viene posizionato sulla cosiddetta “sedia cattiva”, anche conosciuta come “sedia camomilla”, “sedia della riflessione” o “sedia della calma”, fin quando non smette di comportarsi male. Inoltre, viene allontanato dalle cose a lui interessanti e piacevoli: non riceve alcuna attenzione, non può interagire con i suoi genitori né con altri e viene obbligato a riflettere in solitudine su quello che ha fatto.
In tal senso, questo metodo diventa una forma di “punizione mediante rimozione” e funzionerebbe perché risulta noioso ai bambini. Per quanto possa sembrare paradossale, uno strumento di questo tipo è considerato una forma di disciplina efficace, motivo per cui è raccomandato da figure professionali. Tuttavia, secondo altri esperti è da considerarsi una pratica negativa soprattutto in un’età prescolare, dallo zero ai tre anni, anni difficili per regolare le proprie emozioni da soli.
Di questa idea è Alli Beltrame, esperta di educazione e relazione responsabile con bambini e adolescenti, che nella puntata “La sedia camomilla“, del suo podcast “L’educazione responsabile”, ha lanciato un messaggio in merito:
«Ma come può un bambino migliorare se nessuno gli fa vedere come si fa? Per un bambino agitato, arrabbiato, essere bloccato, isolato, lasciato solo a piangere sulla seggiolina finché non si calma non aiuterà sicuramente a capire le ragioni degli altri; anzi lo lascerà ancora di più nella sua collera, che poi si trasformerà in rancore. Questo si tramuta in sfiducia verso la persona che gli impone questo Time-out in isolamento e piano piano, se diventano azioni ricorrenti delle sue figure di riferimento, è probabile che perderà un po’ di fiducia negli adulti, che invece dovrebbero essere il riferimento principale nei momenti di difficoltà».
Questo approccio educativo si è rivelato altamente disfunzionale poiché i bambini, fino ai sette anni, non hanno ancora sviluppato una sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni in modo autonomo, ma necessitano dell’aiuto di un adulto che fornisce loro rassicurazione e spiegazione. Metterli in Time-out li priva dell’opportunità di costruirsi competenze che, invece, altri metodi educativi potrebbero aiutare a creare. Dello stesso pensiero è Daniel J. Siegel, professore di psichiatria presso la “UCLA School of Medicine”, che afferma:
«Quando il bimbo ha uno scoppio d’ira o un crollo emotivo può essere sopraffatto da ciò che sente, diventando incapace nel controllare le sue emozioni».
Punire questi comportamenti, dunque, ha come risultato soltanto quello di causare ulteriore stress al sistema nervoso del bambino, con l’effetto di peggiorare il comportamento piuttosto che mitigarlo.
Time-in: una tecnica educativa nella quale il bambino ritrova la tranquillità
La tecnica di educazione, che prende il nome di Time-in, pone al centro lo stesso problema: far riflettere su un proprio comportamento sbagliato, ma invece di isolare il bambino nel momento di difficoltà, costruire un luogo in cui ritrovare la tranquillità; guidato e rassicurato nel percorso di conoscenza delle proprie emozioni.
Al Nido, alla Scuola dell’Infanzia, ma anche a casa, può prendere la forma di un angolo morbido o un tavolino, con peluche, libri, giochi cognitivi: un luogo che funge da guida per regolare il proprio umore. Questo metodo rappresenta un’alternativa, in cui l’adulto riesce ad entrare in empatia con il bambino in difficoltà e lo fa sentire ascoltato mentre lo aiuta a calmarsi. A tal proposito, il Time-out si rivela un fallimento se consideriamo questo concetto, poiché si basa, invece, sulla fuga dal problema e non sulla sua risoluzione.
Nelle ricerche dell’AAIMHI, Australian Association for Infant Mental Health Inc., viene stabilito che:
«Il modo più efficace a lungo termine di gestire tali comportamenti da parte dei caregivers è quello di comprendere come il bambino si sente e ciò che gli passa per la mente. A quel punto, il genitore, o colui che si prende cura del bambino, può anticipare i problemi prima che sorgano, pianificando come prevenirli. Quando le emozioni intense si presentano, il caregiver può così mostrare al piccolo che esse possono essere capite e gestite».
Tale processo, aiuta i bambini a sviluppare capacità emotive e comunicative in sintonia con le loro forti emozioni, imparando nel tempo a reagirle con comportamenti appropriati anche in situazioni di forte stress.
Spesso i capricci dei propri figli spingono il genitore ad accumulare rabbia e frustrazione, ed è proprio in questo momento che bisogna prendersi un minuto di pausa per calmarsi; soltanto dopo sarà possibile rassicurare il bambino nel modo corretto. Durante il confronto è fondamentale sottolineare che lo si ama nonostante abbia commesso un errore; soltanto così si rafforzerà la relazione e, al tempo stesso, si forniranno insegnamenti importanti per il suo futuro.