Prosegue l’estinzione – I dati riportati dal WWF ci pongono di fronte ad una realtà irrequieta: sono 3.890 le tigri rimaste in Asia, causa il bracconaggio intenso.
La Giornata mondiale della tigre ha portato solo preoccupazione; rispetto ad un secolo fa, le tigri sono scese del 97%.
Il dato è preoccupante: che dir si voglia, 3.890 tigri sono davvero poche. Il sud-est asiatico detiene un record abbastanza noto di bracconaggio, dovuto a commercio illegale e credenze popolari. Basti pensare che, all’inizio del secolo scorso, le tigri erano circa 100.000.
I rappresentanti della specie rimasti sono distribuiti in India, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Russia, Cina, Myanmar, Thailandia, Malesia, Indonesia, Cambogia, Laos e Vietnam; ora, affrontiamo un discorso complesso, perlomeno da un lato. Innanzitutto, cosa s’intende per credenze popolari? La medicina cinese utilizza alcune parti dell’animale, come ossa o denti; quando parliamo di commercio illegale, invece, abbiamo un’idea abbastanza chiara: gli introiti del mercato nero arrivano fino a 150.000 dollari. Aggiungiamo, oltre a questo, le problematiche legate all’allevamento e la protezione del proprio bestiame; l’unione di questi fattori genera un vero e proprio scompenso naturale. Attualmente è l’India a mantenere il numero più alto di tigri (2.226).
Il dato percettivo interessante, sorto dagli ultimi avvenimenti, è la sensazione che tali “anomalie” si stiano verificando in brevi lassi di tempo: gli aggiornamenti sul clima, le specie a rischio, come fossero un concentrato degli ultimi mesi.
O forse è più giusto dire che, causa l’ultimo allarme ambientale, associazioni ed enti privati si stiano adoperando per rendere noti i dati sensibili. Ricordiamo per esempio la questione della Groenlandia: la foto scattata da Steffen Olsen è stata una testimonianza forte, eppure una testimonianza di qualcosa iniziato decine di anni fa. Il surriscaldamento globale, a differenza di quanto sostenuto da Trump, è una verità nota da un bel pezzo.
Allora perché? Cose questo mormorio degli ultimi due anni? Torniamo alla foto di Olsen: lo scatto ci riporta ad una teoria abbastanza nota, legata alla tangibilità dei contesti. “Se non lo vedo non esiste” è una posizione che, oggi, deride perfino il più comune scetticismo filosofico. Difatti, è abitudine constatare una simile reazione per quanto riguarda le foto di paesi colpiti dalla guerra; scatti che coinvolgono adulti, bambini, anziani, ma che, in ogni caso, non assumono la fisionomia di “problema”, in quanto realtà culturale spesso distante.
La questione ambientale, invece, è forse la “barzelletta” meno divertente è più veritiera mai registrata. Le foto o, in generale, le testimonianze in gioco riguardano lo stesso pianeta su cui poggiamo i piedi; una realtà di tutti, indiscutibilmente. La questione principe che dovrebbe essere affrontata dalla cronaca, da ogni canale informativo. Sarebbe la reazione più logica, in teoria.
Il problema, però, è che noi non consideriamo la terra “casa”: la concezione che abbiamo della natura circostante è distaccata, come se non ne fossimo parte integrante. E’ ormai un dato che possiamo assumere come antropologico, concettualmente calcificato nella mente dell’essere umano.
Un distacco è effettivamente avvenuto, senza alcun dubbio. Perfino il dato di 3.890 tigri, uno degli animali più famosi al mondo, uno dei più visitati negli zoo (per quanto immorali), non sortisce alcun effetto. Piuttosto, la verità che ci passa sotto al naso diventa cenere, sparisce dai radar, per l’ennesima volta. Mi chiedo cosa accadrà, quale sarà il primo pensiero umano, quando ci si accorgerà che, intorno a noi, non sarà rimasto effettivamente più nulla.
Eugenio Bianco