The War Show ha aperto la 13° edizione della Giornata degli Autori alla 73° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un documentario che ci immerge in una diversa e coraggiosa prospettiva sulla situazione socio-politica della Siria nell’ultimo quinquennio.
L’idea di creare questo film-documentario è della conduttrice radiofonica Obadiah Zytoon, che ha deciso di valorizzare il prezioso materiale audio-visivo che ha portato con se dalla Siria. Centinaia di ore di registrazioni e riprese fatte da lei e da conoscenti e amici Siriani, durante il periodo che va delle prime manifestazioni per la destituzione di Bashar al-Assad ai bombardamenti contro l’ISIS, passando per la repressione violenta e la rivoluzione armata. Dall’incontro di Obadiah con il regista Andreas Dalsgaard si è concretizzata la volontà di trasformare queste riprese in uno schietto e toccante film-documentario, che racconta e riprende eventi che i media esteri non sono riusciti a testimoniare e a far capire all’opinione pubblica internazionale.
Il tema della rivoluzione funge da collante a un colorato mosaico di storie d’affetti, amicizia, amore, idee, politica, religione ma soprattutto di voglia di vivere e di esprimere liberamente l’unicità dell’individuo.
Viene così raccontato il lungo viaggio della stessa Obadiah e dei suoi amici attraverso la Siria, da Damasco ai confini con la Turchia, rendendoci partecipanti attivi della trasformazione della Siria e del suo popolo. Un popolo giovane che la guerra divide e trasforma in lealisti, rivoluzionari o estremisti, che la guerra uccide pian piano.
Un movimento di donne e uomini dalle nobili aspettative, che partiti con l’idea di migliorare il proprio paese, finiscono per essere testimoni, vittime e carnefici della distruzione stessa di quei luoghi ed ideali. L’insurrezione di un popolo per i diritti e l’uguaglianza, compresa quelle di genere, viene lentamente corrotta dall’interno e soprattutto dall’esterno fino a diventare culla dell’estremismo religioso e del business delle armi e della violenza. Il sipario del documentario si apre con questo auspicio di rivoluzione culturale e politica pacifica. Comincia con le donne che decidono di togliersi ogni tipo di velo, esprimendo liberamente le loro idee e la loro femminilità, affermando il loro diritto a un’esistenza libera e autonoma.
L’altra rivoluzione raccontata da The War Shaw è artistica, del mezzo mediatico ed espressivo della telecamera. Questi ragazzi, uniti dalla passione per le arti, raccontano di un cammino di crescita e di consapevolezza sull’uso della loro cinepresa. Documentano e intervistano i protagonisti del movimento rivoluzionario, dei sodati disertori, dei sicari dell’ISIS, introducendosi nei meandri dell’umanità e nei luoghi cui accesso e ricordo veniva proibito dal regime. Un popolo sofferente nascosto agli occhi del mondo da colui che doveva esserne la guida.
La frammentazione delle scene e punti di vista raccontati dalla telecamera rispecchiano la sensibilità espressiva dei diversi ragazzi del gruppo. Ogni volta che questi ragazzi si incontravano, si scambiavano la telecamera e il materiale registrato. Scelta non solo stilistica ma anche dettata dalla necessità e desiderio di far sopravvivere alla guerra e alla loro stessa morte questi ricordi così preziosi. Poiché in ogni momento temevano di essere arrestati o uccisi da estremisti, dall’esercito lealista, dai bombardamenti russi o occidentali, e anche da proiettili volanti e granate dei loro stessi compagni rivoluzionari.
Il film-documentario è stato presentato al pubblico per la prima volta alla Mostra, ma verrà presentato nuovamente al pubblico e alla critica al Toronto International Film Festival.
L’aspirazione che accomuna Obadiah, il regista e i produttori è quello di far conoscere all’opinione pubblica mondiale la storia di questi ragazzi e di quelli che come loro ancora combattono in Siria per uno Stato libero e civile.
Vi consiglio di vedere questa opera, perché questo film-documentario racconta la vita e la storia di una Siria, l’unica reale, altrimenti inaccessibile o incomprensibile agli occhi Occidentali.
Giulia Saya