“The shoah party”: indagati 16 minorenni per condivisione di media razzista

The shoah party

Si chiamava “The Shoah party” la chat di WhatsApp in cui molti minorenni (e pochi maggiorenni), si scambiavano video pedopornografici, frasi razziste e sevizie su animali. La procura di Firenze ha indagato 25 persone tra cui 16 minorenni.

Foto e video a luci rosse, immagini lodanti Hitler e Mussolini, assieme a frasi shock di stampo razzista. Tutto questo racchiuso in una chat di WhatsApp chiamata “The Shoah party” dove un gruppo di ragazzini, per la maggior parte tutti minorenni, condividevano media di “una violenza inaudita”, “scene di brutalità inenarrabile”, chiariscono gli investigatori. Le indagini sono partite a gennaio scorso, grazie alla denuncia di una delle mamme, che aveva ritrovato sullo smartphone del figlio, minorenne, video pedopornografici. Così, i carabinieri di Siena, hanno fatto partire le ricerche.

Sono servite moltissime intercettazioni telematiche, richieste e ottenute dalla Procura dei minori di Firenze. Il tutto sotto il coordinamento del procuratore Antonio Sangermano e dalla Procura distrettuale di Firenze competente per materia, grazie ai decreti emessi dal pm Sandro Cutrignelli. I militari, autorizzati dai pubblici ministeri, sono riusciti ad introdursi dentro la chat, riuscendo a persuadere gli admin della loro affidabilità attraverso un giochetto da hacker. Ci sono voluti oltre cinque mesi d’indagini per poi risalire agli amministratori del gruppo che lo hanno creato e alimentato. Tutti residenti nella zona di Rivoli.

In 25 sono indagati da tutta Italia

Una volta scoperti gli utenti più “frequenti” del gruppo, sono stati indagati 25 ragazzi adolescenti provenienti da tutta Italia. Da nord a sud: Toscana, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. Nel totale 16 sono minorenni, tra i 13 e i 17 anni, mentre 9 maggiorenni tra 18 e 19.  Il più giovane ne ha 13, il maggiore ne ha 19. A sfilare nel gruppo, decine di immagini e video di pedopornografia, icone con frasi razziste e video su abusi sessuali: neonata di nemmeno un anno seviziata da un adulto, violenze e stupri su animali oppure ragazzine minorenni con altri due ragazzini. Nella chat erano postate anche tante frasi che esaltavano Hitler, Mussolini e Osama Bin Laden, nonché recenti video dell’Isis.



Il nazismo e il fascismo sono considerati dai ragazzini “cose buone” e qualcuno di loro scrive “Rivoglio il Duce” oppure “Ci vorrebbe Hitler”. La procura di Firenze ha indagato tutti per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi raziali. A quel punto è partita la perquisizione: una volta raggiunti, sono stati sequestrati decine di telefonini e computer. Ora affidati ad un consulente tecnico d’ufficio che farà delle coppie forensi da presentare durante i prossimi processi.

Continuano le indagini

I carabinieri hanno spiegato: “Se non fosse stato per quella denuncia della madre a gennaio l’indagine non sarebbe partita né a Siena né altrove. Perché un gruppo WhatsApp non conosce confini e quell’espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d’Italia”.

Le forze dell’ordine hanno aggiunto: “Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo radicale che vi erano contenute”. Infatti, il prossimo passo è quello di indagare sui possibili utenti che hanno avuto modo di scoprire il gruppo e sfuggiti all’individuazione.

Per quanto riguarda gli attuali indagati, i maggiorenni saranno processati, mentre i minorenni, non ritenuti imputabili, dovranno rispettare un altro iter. Insieme all’approfondimento dei profili penali, la Procura per i minori del Tribunale di Firenze aprirà una nuova inchiesta. Con lo scopo di valutare l’idoneità dei contesti famigliari, nell’ambito di indagini socio-famigliari, come previsto dalla legge. I genitori, sentiti anche in qualità di testimoni, dovranno aiutare ad appurare che non ci sia qualcosa di più profondo alla base della loro condivisione goliardica. Il tutto anche per evitare che s’interpellino assistenti sociali.

Anna Porcari

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