The scientist è una fra le più note canzoni della band britannica, di quelle che hanno valso a Chris Martin e i suoi un posto in prima fila nella storia della musica degli ultimi decenni. Come è stato dichiarato dal gruppo il brano è in realtà ispirato da un racconto di Nathaniel Hawthorne, l’autore americano de La lettera scarlatta.
Il brano uscì nel 2002, ormai quasi vent’anni fa, ma ancora oggi è una delle canzoni più apprezzate dei Coldplay. Il racconto di Hawthorne cui si ispira è The birthmark, tradotto in italiano con La voglia, e narra dell’ossessione umana per la perfezione.
Il racconto di Nathaniel Hawthorne
In The birthmark, Hawthorne racconta la vicenda di Aylmer, un brillante scienziato di fine Ottocento. Travolto da una straordinaria passione per Georgiana, decide di sposarla: consapevole, tuttavia, che questo toglierà tempo ai suoi studi.
Georgiana, però, ha una voglia sulla guancia: un’imperfezione sul volto. E col passare dei giorni, Aylmer ne diviene sempre più ossessionato. Non riesce a dormire, non riesce a mangiare, non riesce a pensare ad altro che rimuoverla.
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Ed è allora che, ormai quasi disgustato dalla voglia della moglie, comincia a sottoporla a una serie di esperimenti. I primi si rivelano del tutto fallimentari, ma alla fine riesce a produrre una sorta di pozione che è certo la guarirà di questa imperfezione. E in effetti, ci riesce.
Se non fosse che appena si sveglia dopo aver bevuto la pozione di Aylmer, Georgiana muore. Muore perché quel segno sulla guancia era in qualche modo connesso al cuore: la più grande delle imperfezioni. E tuttavia una volta eliminato quello, la persona non vive più.
The scientist, la canzone dei Coldplay
The birthmark è racconto sull’ossessione per la perfezione e le tragiche conseguenze che questo atteggiamento può avere. È un racconto sul bisogno di ridurre a scienza ogni cosa, di matematizzare anche ciò che invece bisogna che rimanga com’è anche se imperfetto e senza spiegazione.
Il protagonista di The scientist si trova proprio ad affrontare questa situazione. Un uomo si guarda indietro a quello che gli è successo e capisce solo di non aver capito nulla, perché ragionava per numeri e leggi fisiche.
E tuttavia anche lui finisce con l’ammettere che ”questions of science, science and progress, do not speak as loud as my heart” (”questioni di scienza, scienza e progresso, non parlano forte come il mio cuore”). Ossessionato dalla sua scienza, come il protagonista del racconto di Hawthorne, anche lui ha fatto l’errore di contaminare l’amore con leggi e matematica. E ora che ha perso la sua amata vorrebbe solo poter tornare al punto di partenza.
”Oh, take me back to the start”, canta Chris Martin nel ritornello. La sua mente, confessa, era su una scienza a parte (”heads on a science apart”) e che però non coincide con l’amore: ”I was just guessing numbers and figures”, prosegue il testo dei Coldplay, ”stavo solo calcolando numeri e cifre”, e ”così facendo, ti ho messa da parte”.
L’ossessione umana per il controllo sulle cose
In Homo deus, Harari riporta che secondo la gran parte degli scienziati il corpo umano non è nulla più di un algoritmo. Nella prima metà del Novecento, il filosofo tedesco Husserl rimproverava ai suoi contemporanei che se anche è vero che la scienza permette di arrivare a verità sul mondo fisico circostante, questo non significa che sia di nuovo la scienza a poter scoprire la verità su questioni che invece sono piuttosto umane.
I sentimenti sono certamente un insieme di chimica, biochimica e interazioni fisiche, ma questo non basta a renderne conto. Lo stesso Einstein, che definirei proprio THE scientist, nella lettera che scrisse a sua figlia parlava dell’amore come dell’energia più potente.
Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.