L’intervista a Davide Combusti
Ultima Voce è stata a una tappa del live tour di presentazione del nuovo album
Un sound inconfondibile e la leggerezza di una voce che tocca con estrema facilità l’intimità di ogni singola persona: The Niro, pseudonimo di Davide Combusti, è questo e tanto altro e lo dimostra ancora una volta.
Siamo al B4-before, Milano, dove Davide sta presentando il nuovo, atteso, album, che vedrà la luce da qui a breve, nel 2017.
Un artista a 360 gradi, capace di trasportare attraverso il semplice uso di una voce formidabile, particolareggiata, e di una chitarra chiunque nel suo mondo.
E il live diventa questo, un trip che fa staccare la spina dalla quotidianità, dalla monotonia, dalle
soporifere conversazioni diurne e il grigiore di una giornata sbagliata, che rasserena attraverso la melodia. Nell’incipit di Eva Luna Racconta, Isabel Allende usa un poetico “Raccontami una storia”, “una storia che non hai mai raccontato a nessuno.”
Davide durante i live fa questo, racconta delle storie melodiche, e gli spettatori non diventano altro che parte di un momento di creazione artistica, che tocca l’anima.
Un’esperienza trascendentale che parte dai sensi e tra gli arpeggi, si diffonde in tutto il corpo, mentre i brividi, lenti, tracciano un sentiero lungo la schiena.
Ma bando ai viaggi ultra sensoriali che questo nuovo album potrà lasciarvi, a soundcheck concluso, un’intervista a questo straordinario artista era d’obbligo.
E tra le parole di un racconto diverso, così, scoprire un ragazzo che ama ciò che fa, nella sua spassionata vena creatrice.
Davide, sei uno degli artisti sul panorama musicale italiano con un bagaglio musicale notevole, che vede esperienze di grande rilievo in maniera particolare all’estero. Hai diviso palchi con artisti del calibro di Carmen Consoli, Deep Purple, Amy Winehouse, Inspiral Carpets e così via. Ma come inizia la tua carriera musicale? Per quanto tu sia un figlio d’arte, e come mai a partire dall’inglese?
È iniziato tutto dalle percussioni, mio padre, che ancor prima che io nascessi smise di suonare, aveva accantonato nella mia stanza una batteria che io iniziai a suonare, prima di appassionarmi più all’ambito melodico, a sperimentare e comporre. Ho cominciato suonando prima nei locali di Roma e in altre parti d’Italia, poi all’estero, in America e da lì iniziai essere chiamato, a girare… Ho iniziato dall’inglese poi perché vivo la musica come un’esperienza intima, sono timido, ed avevo difficoltà a “raccontarmi” nella mia lingua. Inoltre usando l’inglese non dovevo venire a patti con la metrica. Con l’inglese era più semplice. Tra l’altro mio padre non aveva molti dischi in italiano a casa, così iniziai a cantare in inglese.
A partire dal tuo percorso, vedo che dai particolare rilievo ai live, tra l’altro sei uno di quegli artisti che ha fatto tanta e notevole gavetta! Anche oggi, prima del lancio del disco, un live che lo precede. Posso essere così sfrontata da chiederti perché?
Penso che per ogni musicista il live sia un momento importante, in particolare per il confronto con il pubblico. Ti aiuta a capire come viene percepito il lavoro che stai facendo, le sensazioni che riesci a suscitare. Poi magari una canzone che non piace la inserisco comunque in un album, però confrontarsi con il pubblico rimane un percorso obbligato, perché sono loro i fruitori del tuo lavoro. Per me è sempre stato così, ho sempre cantato i miei brani prima che gli album uscissero, infatti quando ho partecipato a Sanremo, per cui di norma non potevo cantare i miei singoli, ho avuto qualche difficoltà nel riservare 1969.
Una domanda un po’ atipica. Sei tornato in Italia ormai nella scena indipendente, che nell’ultimo anno sembra iniziare ad avere maggior successo. Cosa ne pensi, credi si stia smuovendo qualcosa?
Si, diciamo che quello che faccio io è un po’ diverso dal resto dello scenario, però indubbiamente stanno cambiando i gusti. Si inizia a preferire un pop che proviene più dal basso e non quello che fin’ora è sempre stato proposto sicuramente. Però pur sempre pop.
Passiamo al nuovo album però ora, in uscita nel 2017, cosa ci riserva? Ci sono delle novità? Dal punto di vista strumentale? Proprio pensando al da te già citato 1969 che ha segnato il cambiamento dall’inglese all’italiano.
Sono rimasto legato ai tempi dispari però sì, dal punto di vista strumentale ci sono alcune novità, anche se poi si tratta di dettagli a cui sono sempre stato legato, come le percussioni, molto più particolareggiate, poi io ho un particolare debole per i rumori, in maniera particolare quelli cinematografici, dai passi, a tutti quegli elementi che si trovano all’interno di un film. C’è un film che ho amato, Lisbon Story, che racconta la vita di un uomo che viaggia per il Portogallo a registrare suoni per poi gli serviranno per il suo lavoro di monta del sonoro. Un film davvero poetico…
Infine, in merito al tuo rientro in Italia, pentito?
No, mi piace l’Italia anche se ogni tanto ho bisogno di respirare aria nuova per ricaricarmi un po’.
Sui ringraziamenti conclusivi per il tempo concesso, prima dell’inizio del live, il sorriso accogliente di una persona che ama raccontarsi, che è poi in fondo questa l’essenza della musica.
Di Ilaria Piromalli