Nella percezione comune la forza motrice che ci spinge a vivere è la consapevolezza della morte. Ma se fosse il contrario? La percezione della serie tv The Good Place è molto interessante.
Ogni tanto Netflix regala della vere chicche. La serie tv antologica The Good Place, con comicità e ilarità, pone parecchi quesiti esistenziali a cui pochi prestano attenzione. Primo fa tutti, l’interrogativo sulla morte, questa onnipresente sensazione che l’era moderna tende a ignorare.
L’uomo è l’unico animale ad avere coscienza della fine e ne è terrorizzato. Infatti, la società contemporanea si difende dalla morte, rimuovendola, ignorandola, relegando nell’inconscio profondo quella incombente consapevolezza, pur di non vivere nell’angoscia. Eppure, nella coscienza comune è proprio la certezza della morte a dare significato e valore alla vita.
Da sempre l’essere umano, di ogni cultura, ha tentato di comprendere il senso della morte fondando teorie sull’esistenza ultra-terrena. La religione, in qualche modo, crea un filo conduttore tra l’essere e il non-essere, vita e morte, incarnando una coappartenenza nella comunità in grado di consolare il vivente e salvare il morente dall’eterno oblio.
Ad esempio, la religione africana crede che la memoria, il ricordo del defunto, possa perpetuare la sua essenza, rendendolo così eterno, fuso con le creazioni infinite di Dio. Si muore per sempre quando non viene perpetuato il ricordo. A volte, infatti, la comunità è pregata di non serbare nella memoria le persone malvagie. Nel credo Buddhista invece, l’Io non rinasce come individuo, ma è il risultato di come ha vissuto nelle vite precedenti. Nel momento della morte lo spirito acquista la capacità di guardare al di là dell’essenza ordinaria. Si trasforma. Nell’Induismo, invece, al momento della morte, quando lo spirito si separa dal corpo, a seconda del proprio Karma, si incarnerà in un altro individuo fisico.
E’ in questo strambo contesto che opera la serie Tv The Good Place. In breve, i protagonisti sono tutti morti e devono affrontare la vita ultra-terrena. Tra varie peripezie, colpi di scena, amori post-mortem, infinite possibilità di redenzione, esasperazione del “bello, buono e giusto”, la crew regala allo spettatore infiniti spunti di riflessione.
- Come si finisce nel posto giusto? The Good Place appunto, il Paradiso. Religioni e culture di ogni tipo insegnano: bisogna essere virtuosi in vita. Via a tutta una serie di questioni etiche e morali, di comportamenti ambigui che rasentano l’inverosimile. Immanuel Kant è il primo punto di riferimento, ma i richiami ai più grandi filosofi dell’esistenzialismo sono molteplici. Partendo dal presupposto che una sorta di paradiso esista, gli uomini, se messi alla prova nel giusto contesto, possono migliorare, guadagnandosi la redenzione?
- Una volta raggiunto l’eterno, la piena soddisfazione del proprio Io fisico e spirituale, la vita ha ancora significato?
La più grande domanda esistenziale a cui nessuno, pur tentando, è riuscito a dare risposta: che valore ha la vita, superata la paura della morte? Anzi, in questo caso, superato anche lo scoglio dell’eterna esistenza. E’ vero che si vive solo perché un giorno c’aspetta l’eterno oblio? Giunti a questo punto si può solamente teorizzare. La società moderna ha relegato la percezione della morte negli angoli più oscuri del proprio inconscio. Eppure, coloro che credono all’esistenza ultramondana non dovrebbero temere.
Non è facile nemmeno vivere rispettando l’etica e la virtù. Per Kant i virtuosi erano infelici. Solamente nell’aldilà avrebbero potuto trovare una piena soddisfazione. Sicuramente non è consolatorio come concetto. Oltretutto, quali sono i termini che definiscono la virtù?! Gli interrogativi sono molteplici. Ognuno risponda secondo coscienza.
Ciò che rende The Good Place una serie davvero fuori dal comune, non è tanto quella comicità surreale e sarcastica, quanto la presa di coscienze che, se la vita, terrena e, perché no, immortale, viene vissuta appieno, allora la morte, l’oblio, è l’unico giusto proseguimento. A quel punto diventa un’amica, non una figura nera con falce e martello. Michael Schur, l’ideatore della serie, è stato un genio.
Dunque, può essere la vita stessa a dare un giusto valore alla morte?! Può darsi. Il modo in cui viviamo, definisce non soltanto chi siamo, ma cosa potremmo essere. La morte è un proseguimento naturale dell’esistenza, anche se spesso arriva così precocemente da essere sconvolgente. E’ una realtà ineluttabile. Sperando di morire tutti vecchi e felici, sarà il modo in cui abbiamo vissuto a dare significato alla nostra dipartita.
Antonia Galise