The breakfast club è un film sull’adolescenza e la necessità di comunicare. Alias: scenografia minima e sceneggiatura lunghissima. Un vero e proprio elogio al dialogo.
Scritto e diretto da John Huges, The breakfast club è uno dei film più iconici di tutti gli anni Ottanta. Senza dubbio un punto di svolta per i teenage movies: Hollywood guarda ancora al film con Judd Nelson e Molly Ringwald come a un caposaldo assoluto del genere, imprescindibile per ogni regista o sceneggiatore che si rispetti. Ed è tutto incentrato sul dialogo, sul movimento del corpo degli attori: l’unico ‘’effetto speciale’’ è la comunicazione.
The breakfast club: la trama
La trama di The breakfast club è di per sé molto semplice: cinque studenti di una scuola superiore sono costretti a trascorrere il sabato mattina in biblioteca a causa di varie punizioni. A sorvegliarli e sopportarli – ma solo a tratti – c’è il preside della scuola Richard Vernon, che assegna loro il compito di scrivere un saggio su ‘’Chi sono io?’’.
I ragazzi vengono da contesti liceali completamente diversi: abbiamo la ragazza ‘’strana’’ e remissiva, la classica cheerleader, il quarterback – idolo sportivo della scuola – il secchione e il bullo. È per questo che all’inizio i cinque non vanno per nulla d’accordo, ma anzi si scontrano in continuazione.
Man mano che passa il tempo però i ragazzi di The breakfast club cominciano ad aprirsi gli uni agli altri, e finisce che si ritrovano a confrontare i loro problemi di vita. Il tratto comune a tutti, le difficoltà che ciascuno si trova a dover affrontare nel proprio intimo, riguarda le problematiche famigliari.
Il bisogno di comunicare
Girato interamente all’interno della scuola, The breakfast club è un film che punta tutto sul dialogo. E come potrebbe essere altrimenti? Cinque ragazzi che provengono da cinque realtà famigliari e liceali completamente diverse non parlerebbero mai se non fossero messi alle strette, chiusi in una biblioteca per un’intera giornata dove l’unica cosa che rimane da fare è parlare.
The breakfast club è prima di tutto un film sulle relazioni interpersonali e sulla necessità di comunicazione dei giovani. E, di conseguenza, sulla mancanza di dialogo tra questi ragazzi e i loro genitori. Un tratto comune a tutte le generazioni, senza dubbio, ma che cominciava ad essere esasperato proprio nel momento storico in cui viene girato il film.
L’importanza del dialogo
Mettere in primo piano il dialogo è perciò una scelta molto importante. Prima di tutto, perché ci consente di focalizzare l’attenzione sul singolo individuo, sul suo modo di parlare, di gesticolare e di interagire con gli altri. La maggior parte dei film degli ultimi anni sta in piedi grazie agli effetti visivi, mentre viene posta meno attenzione sulla parte della comunicazione verbale – parliamo naturalmente a livello generale. Ma in ogni caso, proprio come nella società attuale si tende a puntare tutto sull’immagine per colpire visivamente lo spettatore. The breakfast club punta esclusivamente sulle parole e il linguaggio del corpo, in un’epoca dove si soffriva già la mancanza di comunicazione.
Il bisogno di parlare dei ragazzi si riferisce sia ai rapporti con i coetanei che ai rapporti genitore-figlio. Il primo problema infatti è che non parlano tra di loro, se non quando si trovano praticamente costretti a farlo. E’ solo così che scoprono di non essere soli: di avere più cose in comune di quello che credono e di condividere simili sofferenze. E perché no, nello scoprire il volto dell’altro provare una inaspettata attrazione.
‘’Più il tempo passa, più i giovani diventano arroganti’’ confessa il preside Vernon al bidello della scuola. Giovani ribelli e padri timorosi di affidar loro il futuro. Non è forse la storia più vecchia del mondo? Il fulcro di tutto, il luogo assoluto della mancanza di dialogo, sta nel rapporto genitore-figlio. Le problematiche famigliari che ciascuno si trova a dover affrontare si possono riferire a una sola che le racchiude tutte: la mancanza di dialogo, e quindi la reciproca incomprensione. Anche le critiche che la vecchia generazione rivolge alla giovane sono le stesse; le stesse che i giovani ricevono oggi, le stesse che a sua volta riceveva la vecchia generazione.
Chi sono io?
Parlando i ragazzi si rendono conto che ciascuno ha le proprie sofferenze, e che è sbagliato attaccare qualcuno solo perché è diverso da noi o reagisce differentemente al dolore. Un altro punto importante, però, è anche rendersi conto – come nel compito assegnatogli dal preside – di chi sono effettivamente, anche alla luce del confronto con l’altro.
“Caro Mr. Vernorn’’ – scriverà nel saggio il ragazzo secchione parlando a nome di tutti – “Abbiamo accettato il fatto che abbiamo dovuto sacrificare l’intero Sabato in punizione per qualsiasi cosa abbiamo fatto di sbagliato. Quello che abbiamo fatto è sbagliato.’’
“Ma pensiamo che lei sia pazzo a fare un saggio che le dica chi siamo. Lei ci vede come vuole vederci… in poche parole, nelle definizione più convenienti. Ma quello che abbiamo scoperto è che ognuno di noi è un cervello… e un atleta… e una fuori di testa… una principessa… e un criminale. Questo risponde alla sua domanda? Cordialmente, The Breakfast Club.’’
Di nuovo, lo scontro generazionale e il problema delle etichette che ”i grandi” attribuiscono ai più piccoli. Da un lato è vero che non siamo quello che gli altri dicono di noi, soprattutto se chi parla di noi ha dei pregiudizi. Dall’altro però guardare a se stessi con gli occhi dell’altro può arricchirci.
Basti pensare al personaggio di Alison, ragazza cupa, poco curata, che si copre sempre gli occhi con i capelli: cambierà volto completamente grazie alla mano da truccatrice di Claire, che sotto sotto vede una bellissima e luminosa ragazza. Quella che nemmeno lei avrebbe immaginato di essere.
Noemi Eva Maria Filoni