È grazie alla passione che un popolo nutre per la propria terra e per la propria vita che la battaglia diventa principio e fonte di speranza. Il Libano, dopo un anno, non arresta la sua personale thawra.
Migliaia di persone si riversano così in strada e lottano, un giorno in più, per un futuro che abbia un sapore diverso.
Sabah el Thawra in Libano, buongiorno rivoluzione
Thawra significa rivoluzione, cioè rivolgere, rovesciare. Quando i diritti vengono meno, quando lo Stato prende decisioni rovinose per il proprio popolo, allora è necessario fare qualche passo indietro. E trovare una nuova prospettiva.
Cosa ha spinto alle manifestazioni?
L’ascolto inesistente. La pressione politica ed economica.
La classe che dirige è stata incapace di cogliere i bisogni della gente.
Dopo la fine della guerra civile del ’90, da trent’anni ormai, gli strumenti politici sono stati veicolati da un corpus corrotto ed elitario, dove le dinamiche clientelari restano insite al sistema.
La Thawra in Libano è l’esordio di una nuova alba per molti.
La gente scende per le strade
Il 17 ottobre 2019, i libanesi scendono in strada. Le piazze si riempiono. Persone di tutte le religioni e classi, iniziano una protesta pacifica, che attende risposte dal governo.
Il primo ministro, Saad Hariri, dà le sue dimissioni in seguito alle pressioni sociali della Thawra. La risposta governativa quindi non è delle migliori.
A raccontare il sentimento condiviso dalla gente, con tutte le sue contraddizioni, è un giovane dal nome Bilal Moustafa.
Una testimonianza che coinvolge
Bilal è uno studente dell’Università di Scienze Politiche in Italia che quasi per caso, o da lui preferito destino, in quei giorni si trovava lì, in Libano. Racconta la sua esperienza ad Eco Internazionale e la diffonde tramite i social.
Amore, dice, è amore ciò che ha spinto la gente a lasciare le proprie case.
Perché la rivoluzione è un atto d’amore, piena della sua stessa esasperazione.
Bilal Moustafa è testimone dei giochi politici che, anche durante le proteste, hanno mantenuto salde le redini.
Sono stati usati gas lacrimogeni, pietre, armi contro i manifestanti. Si conta un numero cospicuo di arrestati e di minacce di aggressione.
Ciò non ha fermato affatto la voce unanime di chi era stanco di adattarsi a proposte di leggi che intaccano e peggiorano la vita di tutti.
La Thawra in Libano oggi e le sue difficoltà
Un anno fa, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’annuncio di una tassa sulle telefonate compiute tramite Whatsapp.
Non tralasciamo però le altre gocce che hanno reso il vaso un macigno da mantenere in equilibrio.
Infatti, la grave crisi economica ha avuto come conseguenze una forte disoccupazione e il rialzo dei prezzi di beni necessari.
Sono state richieste migliorie ai servizi di base, come le strutture sanitarie, gli approvvigionamenti energetici, i trasporti, le infrastrutture.
Tuttavia, la rivolta ha ricevuto poche risposte governative e le varie elezioni
libanesi non hanno portato a nessuna concreta rottura col passato.
Così, il giornalista francese Anthony Samrani riprende le parole di Antonio Gramsci in un articolo su L’Orient Le Jour:
« Le vieux monde se meurt, le nouveau monde tarde à apparaître et dans ce clair-obscur surgissent les monstres. »
Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
Secondo Samrani, ci sono troppi “ma” che hanno rafforzato l’atteggiamento della classe politica, indebolendo così il grido comune dei protestanti.
Tutti hanno partecipato attivamente all’inizio del cambiamento, ma è complicato mantenere a lungo delle linee generali che si scontrano nel particolare, ad esempio l’appoggio o meno all’Hezbollah.
Queste visioni contraddittorie sono il vero impedimento ad una realizzazione effettiva della thawra in Libano.
Di certo, i cordoni umani lunghi chilometri fatti da bambini e donne non sono un ricordo lontano. Le questioni irrisolte non cadono in nessun dimenticatoio.
Un anno difficile che non smette di essere rivoluzione
Oltre alle manifestazioni, il Libano ha fronteggiato eventi nazionali e mondiali catastrofici.
Il 4 agosto, vi è stata un’esplosione fatale a Beirut, indice di come, negli anni trascorsi, il Governo abbia prestato poca attenzione a potenziali disastri ambientali e sociali. Sono morte centinaia di persone, feriti in migliaia.
Il Coronavirus non ha lasciato illeso il territorio. L’emergenza sanitaria libanese ha provocato infatti vari lockdown e una ricaduta economica rovinosa.
Dopotutto, seppur sia passato un anno, le piazze non si sono mai svuotate.
La superficie delle rivolte nasconde un dinamismo magmatico.
La vittoria di candidati indipendenti alle elezioni universitarie ne è la dimostrazione più recente.
Per quanto la situazione sia critica su tutti i fronti, resiste la volontà di cooperazione del popolo, alla ricerca di decisioni drastiche, diverse, che incentivino e non annientino.
Maria Pia Sgariglia