La recente espulsione e deportazione degli Uiguri, rifugiati in Cina, dalla Thailandia ha sollevato gravi interrogativi sui diritti umani e sul rispetto degli obblighi internazionali. Nonostante anni di detenzione in un centro per migranti a Bangkok e le garanzie fornite in passato, il governo thailandese ha proceduto con il rimpatrio di 40 persone, scatenando la reazione indignata di attivisti e istituzioni. L’episodio riaccende il dibattito sulla sicurezza degli uiguri e sul loro trattamento da parte del governo cinese.
Un ritorno forzato che preoccupa gli attivisti
Le autorità thailandesi hanno espulso e rimpatriato in Cina circa 40 richiedenti asilo uiguri, secondo quanto denunciato da attivisti e organizzazioni per i diritti umani. Gli uomini, appartenenti a un gruppo etnico a maggioranza musulmana perseguitato dal governo cinese, erano detenuti in un centro di detenzione per migranti a Bangkok da oltre un decennio.
La deportazione degli uiguri dalla Thailandia alla Cina ha sollevato forti critiche da parte di organizzazioni internazionali e governi occidentali, preoccupati per il destino che potrebbero subire al loro rientro.
Amnesty International a lungo si è occupata di seguire e denunciare le massicce violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza uigura, portata avanti sopratutto dal governo cinese, ma con la complicità di altri Stati alleati. Nel 2021, Amnesty ha documentato tutti i crimini contro l’umanità di cui la Cina si è macchinata, sopratutto all’interno delle carceri: torture e persecuzioni etniche sono all’ordine del giorno – non solo contro uiguri, ma anche kazaki e minoranze musulmane.
Detenzione e deportazione: un processo controverso
La deportazione degli uguri è andata a colpire una parte della minoranza che aveva lasciato la Cina nel 2014 per sfuggire alla repressione e cercare rifugio in Turchia. Tuttavia, una volta giunti in Thailandia, furono arrestati e trattenuti in stato di detenzione, senza alcuna prospettiva di ottenere lo status di rifugiati. Nella notte tra mercoledì e giovedì, sei furgoni con i finestrini oscurati sono stati visti lasciare il centro di detenzione di Bangkok, scortati dalla polizia.
Poco dopo, un volo non programmato della China Southern Airlines è decollato dalla capitale thailandese ed è atterrato nella città cinese di Kashgar, situata nella regione dello Xinjiang, abitata da una consistente popolazione uigura.
Il silenzio delle autorità thailandesi
Le autorità thailandesi non hanno ancora confermato ufficialmente la deportazione degli uiguri. Il primo ministro Paetongtarn Shinawatra ha evitato di rilasciare dichiarazioni precise, limitandosi a sottolineare che ogni decisione presa dal governo deve rispettare i principi del diritto internazionale e dei diritti umani.
Anche il commissario nazionale di polizia, Kitrat Phanphet, ha rifiutato di commentare la vicenda, citando questioni di sicurezza nazionale.
Le giustificazioni del governo cinese
L’agenzia di stampa statale cinese Xinhua ha confermato che 40 cittadini cinesi, entrati illegalmente in Thailandia, sono stati rimpatriati. Tuttavia, non è stata specificata l’etnia dei deportati. Il ministero della pubblica sicurezza cinese ha descritto questi individui come vittime di organizzazioni criminali che li avrebbero convinti a lasciare il Paese illegalmente.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato che la deportazione degli uiguri è stata effettuata nel rispetto delle leggi di entrambi i Paesi e delle convenzioni internazionali, respingendo le accuse di violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang.
Le denunce delle organizzazioni per i diritti umani
Numerose organizzazioni, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, hanno condannato il comportamento della Thailandia, accusandola di aver violato il principio di non respingimento, secondo cui i rifugiati non dovrebbero essere inviati in un Paese in cui rischiano persecuzioni. La Thailandia è infatti vincolata dal principio di non rifiuto, obbligo che vieta al Paese di autorizzare qualsiasi forma di respingimento o espulsione di persone che rischiano, nel Paese da cui scappano, gravi violazioni dei diritti umani.
Elaine Pearson, direttrice di Human Rights Watch per l’Asia, ha sottolineato che la Thailandia ha ignorato gli obblighi derivanti dalle leggi internazionali, esponendo questi uomini al rischio di torture, detenzione arbitraria e sparizione forzata. Amnesty International ha ribadito la sua preoccupazione, evidenziando le condizioni di salute precarie di molti detenuti e chiedendo un immediato chiarimento sulla loro sorte.
Un precedente pericoloso
Non è la prima volta che la Thailandia viene accusata di deportazioni forzate. Nel 2015, circa 100 uiguri furono rimpatriati in Cina, suscitando indignazione internazionale. Il destino di molti di loro rimane sconosciuto, con rapporti che suggeriscono che alcuni siano stati detenuti o sottoposti a maltrattamenti. Anche questa volta, gli esperti temono che i deportati possano subire la stessa sorte.
Il più recente caso ha attirato l’attenzione di diversi governi occidentali, tra cui gli Stati Uniti. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato che Washington segue con “profonda preoccupazione” la vicenda, evidenziando il rischio che gli uiguri deportati possano essere sottoposti a persecuzioni e trattamenti disumani.
Anche il Congresso mondiale uiguro ha condannato l’accaduto, esortando la comunità internazionale a intervenire per proteggere i diritti di questa minoranza perseguitata.
Il dramma degli uiguri: una questione ancora aperta
La repressione cinese nei confronti degli uiguri e di altre minoranze musulmane nella regione dello Xinjiang è stata più volte denunciata da organizzazioni internazionali e governi occidentali. Gli Stati Uniti e altri Paesi hanno definito le azioni del governo cinese un “genocidio”, citando prove di detenzioni arbitrarie, sorveglianza di massa, lavoro forzato e altre violazioni sistematiche dei diritti umani.
Pechino però continua a negare qualsiasi accusa, sostenendo che le misure adottate nella regione sono necessarie per combattere il terrorismo e mantenere la stabilità.
Un appello alla trasparenza
Attivisti e difensori dei diritti umani chiedono ora ai governi thailandese e cinese di fornire informazioni chiare sul destino degli uiguri deportati. L’auspicio è che la comunità internazionale mantenga alta l’attenzione su questa vicenda e che si faccia pressione affinché siano rispettati i diritti fondamentali di chi cerca rifugio da persecuzioni e violenze.
Nel frattempo, il silenzio delle autorità thailandesi e cinesi continua a destare preoccupazione, alimentando il timore che la deportazione degli uiguri possa essere solo l’ennesimo capitolo di una lunga storia di ingiustizie.