L’introduzione dei test psicoattitudinali per i magistrati rappresenta un tema di acceso dibattito, capace di accendere gli animi e di far emergere posizioni diametralmente opposte. Da un lato, si paventa l’alba di una nuova era, improntata alla meritocrazia e all’esclusione di personalità inadatte alla delicata funzione di chi applica la legge. Dall’altro, si intravede lo spettro di un pericoloso bavaglio, atto a soffocare le voci scomode e a piegare la magistratura alle logiche del potere.
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che introduce i test psicoattitudinali per l’accesso alla professione di magistrato a partire dal 2026. Un passo avanti epocale per la giustizia italiana, che si dota di uno strumento fondamentale per selezionare i futuri custodi della legge. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, al termine del Cdm, precisando che:
«non c’è alcuna interferenza da parte dell’autorità politica o del governo».
I test saranno somministrati ai candidati dopo le prove scritte e l’orale e concorreranno a stabilire l’idoneità psicoattitudinale allo svolgimento delle funzioni giudiziarie.
Il ministro ha spiegato che i test sono “uno strumento utile per valutare la personalità dei candidati e la loro capacità di gestire lo stress e le pressioni legate al lavoro del magistrato” oltre che un elemento in più per garantire che la magistratura sia composta da persone con le adeguate caratteristiche psicoattitudinali.
La sperimentazione dei test psicoattitudinali per i magistrati durerà tre anni, al termine dei quali il Csm valuterà se renderli definitivi.
Le sirene della meritocrazia e l’inquietante alone di discrezionalità
Non si tratterebbe, dunque, di una semplice valutazione psicologica, ma di un vero e proprio esame che mira a sondare le profondità dell’animo umano, scoprendo eventuali fragilità o distorsioni che potrebbero compromettere l’imparzialità e l’equilibrio di chi si appresta a indossare l’ermellino. Ma se da un canto è innegabile che l’introduzione dei test psicoattitudinali per i magistrati era stata proposta dal Consiglio superiore della magistratura (Csm) e ha ricevuto il plauso di alcune associazioni di magistrati, dall’altro occorre ribadire che c’è chi storce il naso di fronte a questa novità, paventando intrusioni nella sfera privata dietro la convinzione che i test possano diventare un filtro discriminatorio.
Sul punto, l’Associazione nazionale magistrati (Anm) non ha mancato, infatti, di esprimere alcune perplessità, ribadendo che tale meccanismo si qualificherebbe non come:
«uno strumento di preselezione per l’ammissione al concorso e riduzione della platea degli aspiranti ma, del tutto irragionevolmente, una terza prova».
I sostenitori dei test psicoattitudinali li propongono come strumento per garantire l’accesso alla magistratura solo a coloro che possiedono le caratteristiche psicologiche e attitudinali necessarie. Si invoca la meritocrazia, auspicando una selezione rigorosa che ponga al centro le qualità individuali e non le appartenenze o le simpatie politiche. Un’esigenza di trasparenza e di oggettività che, in un sistema complesso come quello italiano, assume un valore inestimabile.
Tuttavia, l’alone di discrezionalità che avvolge la scelta dei test e dei criteri di valutazione non può essere ignorato. Chi decide quali caratteristiche psicologiche sono “necessarie” per un magistrato? E chi garantisce che i test non siano utilizzati per discriminare o per favorire determinate correnti di pensiero? Il rischio di politicizzare la magistratura e di renderla un mero strumento nelle mani del potere è concreto e non può essere sottovalutato.
La complessità della questione e la necessità di un dibattito costruttivo
L’imparzialità e l’indipendenza della magistratura sono pilastri fondamentali di una società democratica. I test psicoattitudinali, se utilizzati in modo improprio, potrebbero trasformarsi in un bavaglio per le voci scomode, in un modo per silenziare quei magistrati che, con coraggio e indipendenza, si oppongono al potere o contestano le decisioni dei vertici. La minaccia all’autonomia della magistratura è reale e non può essere liquidata come una semplice paranoia.
La questione dei test psicoattitudinali per i magistrati è complessa e sfaccettata, non ammette facili soluzioni o slogan banali. È necessario un dibattito costruttivo e partecipato che tenga conto di tutte le implicazioni, sia positive che negative, di questa proposta. Un confronto aperto e sereno, in cui le diverse posizioni possano essere ascoltate e vagliate con attenzione, è l’unica via per giungere a una scelta ponderata e responsabile.
L’auspicio è che il tema dei test psicoattitudinali per i magistrati non sia strumentalizzato per fini politici o di parte, ma che sia affrontato con serietà e rigore. La posta in gioco è alta: il futuro della magistratura e, con essa, la tenuta stessa della nostra democrazia. Solo un confronto aperto e sincero, basato sul rispetto reciproco e sulla ricerca di una sintesi virtuosa, potrà permettere di trovare una soluzione capace di tutelare l’integrità della magistratura e, al contempo, di preservare l’inviolabile principio dell’imparzialità.