Nel pieno della crisi della seconda ondata dell’epidemia e all’indomani del nuovo lockdown torna a sanguinare la ferita ancora aperta del terrorismo in Francia
È un ottobre nero quello che si è appena concluso, segnato dal picco di contagi più alto in Europa, da un nuovo confinement e che vede anche ripresentarsi la questione dell’integrazione e del terrorismo in Francia in tutta la sua drammatica attualità.
A seguito dell’apertura del processo per gli attentati del 2015 contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, si sono verificati nuovi attacchi che hanno scioccato l’opinione pubblica. In particolare l’omicidio del professore Samuel Paty, decapitato da un ragazzo di 18 anni di origine cecena in una cittadina vicino a Parigi. Pochi giorni fa, il 29 ottobre, un tunisino di 21 anni ha accoltellato e ucciso tre persone (due donne e un uomo) nella chiesa di Notre-Dame di Nizza. Entrambi gli attentati sono riconducibili alla matrice islamista. Di conseguenza la Francia ha alzato la soglia di allerta contro il terrorismo al massimo livello.
La scuola e le banlieues
La morte del professor Paty getta luce sulle problematiche dell’istituzione scolastica che dovrebbe favorire un percorso di integrazione, ma che è invece da anni teatro di violenze e aggressioni anche nei confronti degli insegnanti. I docenti protestano da molto tempo contro le condizioni in cui si trovano ad esercitare il loro mestiere. Questo specialmente nelle banlieues, dove la scuola difficilmente riesce ad arginare i problemi di marginalità sociale e di delinquenza che toccano i giovani.
Nonostante i vari progetti di riqualificazione che da più di quarant’anni si succedono in queste zone, le banlieues rimangono “quartieri d’esilio”, come hanno giustamente osservato gli studiosi François Dubet et Didier Lapeyronnie, dove le discriminazioni, la precarietà e le diseguaglianze continuano a crescere. La pandemia, ovviamente, non poteva che peggiorare questo quadro. Per gli abitanti delle banlieues il tasso di mortalità è maggiore, il rischio di perdere il lavoro è più alto e le condizioni abitative sfavorevoli contribuiscono alla diffusione dei contagi. All’esasperazione dei quartieri popolari la polizia ha risposto aumentando la violenza e la repressione.
Limiti e problemi del modello di integrazione francese
Secondo il sociologo Alain Touraine i conflitti sociali degli ultimi decenni in Francia si stanno sviluppando sempre di più secondo una “base etnica”. Tutto ciò proprio a causa della crescente esclusione delle minoranze.
Le rivolte nelle banlieues del 2005 e l’aumento degli attacchi terroristici sono una chiara testimonianza di come il fallimento dell’integrazione sostanziale abbia prevalso sull’eguaglianza formale sancita dalla Costituzione francese.
Sandro Cattacin, professore all’Università di Ginevra, ha posto l’accento sul distacco tra le prescrizioni legali e la situazione reale del paese. Se da un lato si proclama l’uguaglianza di tutti i cittadini, ciò che viene dimenticato sono le specificità dei singoli e delle comunità. Esse infatti necessitano di maggiore tutela per non cadere nel pericolo di un’uguaglianza soltanto di facciata.
Il dato su cui si concentrano le più recenti analisi sul fenomeno del terrorismo in Francia riguarda la provenienza degli attentatori. Francesi di seconda o terza generazione, che colpiscono il paese in cui sono nati e cresciuti e uccidono i loro connazionali. Una parte del risentimento che porta queste persone ad imboccare il sentiero della violenza si spiega con la marginalizzazione e la discriminazione che subiscono sia a scuola che in ambito lavorativo e, più in generale, da una grande parte della società.
È probabile che l’esclusione sociale acuisca un malessere causato dalla frammentazione identitaria in un contesto che non rispetta davvero le differenze.
Radicalizzazione online e offline
Secondo il sociologo belga Luc Van Campenhoudt questi sentimenti di rabbia e frustrazione tendono ad incanalarsi in pratiche trasgressive, soprattutto nei giovani. Il riscatto da una società che li ignora o li disprezza passa attraverso il rigetto dei valori e della cultura di quella stessa società in cui vivono e da cui faticano a farsi accettare.
Questo potrebbe spiegare perché la radicalizzazione dei giovani non avviene necessariamente all’interno di famiglie musulmane rigidamente osservanti. Sempre più spesso infatti questi giovani trovano nel Web un potente canale di propaganda ideologica e violenta. Una rete in grado di intercettare il loro disagio e fornire una narrazione della realtà alternativa a quella che li marginalizza.
L’esclusione e le discriminazioni possono spingere a ricercare un’appartenenza identitaria attraverso l’adesione a gruppi estremisti.
Questo processo, evidentemente, può avvenire anche in luoghi fisici, come moschee (spesso finanziate e controllate da paesi stranieri) e collettivi. Tuttavia la radicalizzazione online appare al momento la minaccia più pericolosa per diversi fattori. La rete è assiduamente frequentata dai giovani, è attiva continuamente ed è più difficile da sorvegliare.
La risposta francese
Un altro elemento che può aver contribuito al progredire del fenomeno del terrorismo in Francia è la retorica anti-islamica e xenofoba. Questa viene portata avanti da diversi anni non solo dall’estrema destra, ma anche a livello istituzionale. Questa strategia, che evidentemente fa buon gioco agli estremismi invece di indebolirli, si è ripresentata anche all’indomani degli ultimi attentati. Alcune dichiarazioni di ministri e politici hanno reso più aggressivi i toni del dibattito, già incandescente dopo il botta e risposta tra Macron e Erdogan.
La legge contro il separatismo
Fa inoltre discutere il progetto di legge “contro il separatismo islamista”. Tra le misure ci sarebbero il divieto di scolarizzazione a domicilio, il rafforzamento del controllo delle associazioni e dei luoghi di culto e maggiori risorse per garantire il rispetto della neutralità del servizio pubblico. L’obiezione che sollevano in molti è che un progetto del genere sia più che altro una panacea ideologica che non risolverà il problema.
Il rischio è di limitare le libertà della maggior parte dei musulmani in Francia, che esercitano pacificamente la loro fede, perdendo di vista la reale radice del problema e al contempo andando ad alimentare esclusione e pregiudizi.
Come ha ben spiegato Pierre Haski cedere alla teoria dello “scontro di civiltà” rivela un’analisi errata, o quanto meno incompleta, oltre ad essere controproducente sul piano dei risultati effettivi. La contrapposizione tra “noi” e “loro” difficilmente servirà a neutralizzare la minaccia del terrorismo in Francia come in qualsiasi altro paese. Al contrario questa distinzione maschera le “nostre” responsabilità nei processi che portano alla radicalizzazione semplificando l’analisi di un fenomeno molto più sfaccettato.
Giulia Della Michelina