Il terremoto a Roma e il coronavirus ci stanno ricordando che la natura non chiede il permesso. Anzi è la vera padrona delle nostre vite. Più che vederla come nemica, dovremmo iniziare a considerarla un’alleata, la forza potente che ci permette di vivere. Come ci ricorda Leopardi nella celebre poesia La Ginestra o il fiore del deserto, gli uomini dovrebbero prendere coscienza della loro fragilità e unirsi con resilienza per fronteggiare insieme le difficoltà dell’esistenza.
Stamattina, Roma si è svegliata sentendo tremare la terra. Tutto intorno a noi, incolumi e ancora sdraiati nei nostri letti in preda al sonno, ha tremato. Il soffitto sembrava sul punto di crollarci addosso, e sentivamo il pavimento quasi sgretolarsi, facendoci cadere verso il basso, ancora avvolti nelle coperte. Un pensiero mi ha subito raggiunta: “Dopo il coronavirus, anche questo?”. E lo stesso pensiero è poi volato a tutte le vittime dei terremoti che hanno colpito l’Italia e il mondo in questi anni. Ho sentito per la prima volta sulla mia pelle cosa vuol dire essere totalmente impotenti di fronte alla natura.
È difficile definire la sensazione che si prova di fronte a un fenomeno naturale incontrollabile e infinitamente più grande e potente di noi, come un terremoto.
Non si ha neanche il tempo di capire cosa sta succedendo, non troviamo neanche le parole per dirlo “è un terremoto”. Ma in realtà, nel profondo, sappiamo bene di cosa si tratta. L’unica reazione che possiamo mettere in atto, però, è stare fermi, con gli occhi fissi al soffitto, sperando che la scossa finisca il prima possibile e che tutto il nostro muro di certezze non vada in mille pezzi.
Solo finita la scossa riusciamo a riprendere veramente coscienza. Ed è a questo punto che un senso di spaesamento, di paura, ma soprattutto di totale impotenza ci pervade. Ci si sente come degli spettatori passivi di fronte ad una scena imprevedibile e fuori dalle nostre regole. È una situazione a cui l’uomo di oggi è poco abituato, essendo sempre più convinto di poter avere sotto controllo ogni cosa.
Il terremoto a Roma e il coronavirus sembrano essere dei fenomeni fin troppo calzanti per ridimensionare le credenze degli uomini di oggi.
Tracotanti, ci crediamo maestri della tecnica, e pensiamo di poter risolvere ogni cosa con la ragione. Connessi alla rete digitale ma realmente disconnessi da quella naturale e reale, inghiottiti dai ritmi disumani delle nostre grandi città, ci siamo scordati di far parte di un ordine molto più grande di noi. La natura torna a presentarsi come una cattiva matrigna, che ci punisce e ci ricorda della nostra fragilità e piccolezza.
Ma non dovrebbe essere l’uomo a ridimensionare il suo egocentrismo e a ritrovare la propria vera misura?
Leopardi, ne La ginestra o il fiore del deserto, sostiene che l’uomo può resistere alle sofferenze solo accettando la sua condizione, cioè il destino di morte assegnatogli dalla natura.
La poesia è stata scritta sulle falde del Vesuvio, definito “sterminator”, per la sua attività vulcanica che inaridisce e rende il suolo duro come la pietra. Nell’antichità, invece, qui la terra era fertile e sorgevano sontuose ville romane. Per Leopardi questa è la prova che la natura non si cura degli uomini, è una “dura nutrice” che può distruggere tutto con un piccolo e fugace movimento.
Ma questo non deve portare ad un atteggiamento di resa o di rassegnazione nei confronti della vita. Al contrario, l’uomo dotato di nobiltà spirituale non nasconde le sue debolezze e giudica la sua condizione per quella che è, riconosce il comune fato degli uomini, senza finzioni, e vede l’uomo nella sua condizione di piccolezza e fragilità (“il basso stato e frale”).
Gli uomini devono rendersi conto che per sopravvivere devono coalizzarsi, unirsi in solidarietà, per fronteggiare le difficoltà della vita umana, minacciata dalle intemperie naturali. Gli uomini devono prendere esempio dalla ginestra, fiore modello di resilienza, che, di fronte all’immensa potenza della natura distruttrice, si piega ma non si spezza.
Certamente non si può ridurre il pensiero leopardiano a queste poche righe. Tuttavia, è molto potente il monito che ci dà il poeta: è necessario che gli uomini riconoscano il loro stato di fragilità, la loro impotenza, di fronte alla natura. Oggi il terremoto a Roma e da mesi ormai il coronavirus sono fenomeni che dovrebbero scuotere le nostre coscienze e riportarci a considerare quale sia la vera misura umana. Solamente la solidarietà e l’unione possono fungere da fondamento stabile per la società nel fronteggiare le intemperie.
Giulia Tommasi