Il processo di terraforming (o italianizzando il termine terraformazione) è un processo interamente ipotetico, allo stato attuale della tecnologia, volto a rendere abitabili per l’uomo pianeti o lune. Il termine è stato inventato dalla fantascienza, fu coniato nel 1942 dallo scrittore Jack Williamson in un suo racconto breve, il concetto è probabilmente più vecchio, il primo a specularci in maniera scientifica fu Carl Sagan all’inizio degli anni ’70, come poteva essere altrimenti? Un astronomo, divulgatore, scientifico e scrittore di fantascienza era la giusta personalità per traghettarlo dalla fantascienza alla scienza, da allora molti scienziati si sono occupati del tema ed ovviamente il terraforming di Marte è la possibilità che per prima viene alla mente.
Finora però tutti gli studi erano basati sul concetto di liberare abbastanza gas serra nell’atmosfera da far aumentare la pressione atmosferica e la temperatura e dopo un certo numero di essi si era giunti alla conclusione che fosse impossibile perché pur riuscendo ad utilizzare tutte le possibili fonti presenti sul pianeta rosso si riuscirebbe a portare la pressione atmosferica solo al 7% di quella terrestre (attualmente è meno dell’1%), ho dato per scontato che non ci sia bisogno di spiegare che i gas serra da liberare andrebbero trovati in loco e che non si possa certo pensare di portarli da casa.
Ora però arriva notizia da Harvard e per la precisione dalla scuola di ingegneria e scienze applicate di una ricerca pubblicata su Nature Astronomy che propone un approccio e una tecnica alternativi. Approccio alternativo perché non si punterebbe a cambiare l’atmosfera di tutto il pianeta ma solo di alcune parti, tecnica alternativa perché si basa sul creare l’effetto serra a terra spargendo una sostanza particolare (questa dovremmo portarla da Terra ma ovviamente stiamo parlando di altre quantità).
L’idea per il terraforming di Marte è stata ispirata al team formato dal primo autore Robin Wordsworth (assistente professore presso la suddetta scuola) , da Laura Kerber (ricercatrice del JPL) e da Charles S Cockell (astrobiologo dell’Università di Edimburgo) da un fenomeno naturale che avviene sul pianeta, le cappe polari del pianeta rosso sono formate da ghiaccio d’acqua ma anche da CO2 ghiacciata, poiché allo stato solido l’anidride carbonica mantiene le stesse caratteristiche di quella gassosa permette ai raggi del Sole di passare ma intrappola il calore riemesso dalla superficie (effetto serra) , tanto è vero che in estate in cui l’irraggiamento aumenta si creano delle sacche di calore sotto la calotta. L’idea degli scienziati è stata: possiamo trovare un materiale che mimi questo effetto da utilizzare su aree limitate (ma anche abbastanza estese) di terreno? Ovviamente verrebbero scelte aree dove sotto c’è ghiaccio d’acqua da sciogliere.
La risposta è affermativa è stato individuato un aerogel di silice (un tipo di aerogel molto comune, il più studiato ed utilizzato) , secondo lo studio un sottile strato di questo materiale che fa passare il 97% della luce ma è un cattivo conduttore di calore, potrebbe portare le temperature delle latitudini medie di Marte a temperature simili alla Terra, comunque abbastanza alte da avere acqua liquida sotto. L’aerogel di silice potrebbe essere utilizzato per il terraforming di aree di Marte in vari modi, spargendolo su un’area, per costruire moduli abitativi o grandi cupole/serre. Ora il team mira a sperimentarlo in alcuni dei luoghi più inospitali della Terra come i deserti secchi e freddi delle valli dell’Antartide o del Cile.
Roberto Todini