Tra il 20 e il 24 giugno l’esercito israeliano e i coloni ebrei in Cisgiordania hanno condotto una serie di continue aggressioni contro i palestinesi. Gli attacchi sono stati scatenati da un’operazione militare volta ad arrestare due presunti palestinesi, i quali avevano aggredito i coloni israeliani pochi giorni prima. Israele ed i coloni hanno ricevuto condanne persino da parte di IDF e Shin Bet, i due principali servizi di difesa d’Israele. La situazione al momento si presenta molto tesa e le cose potrebbero peggiorare.
La situazione
A circa sette mesi dal nuovo Governo Netanyahu con l’estrema destra, le colonie israeliane sono state teatro degli ennesimi attacchi da parte del terrorismo palestinese. Gli attentati, che non sono affatto nuovi per lo Stato israeliano, si stanno intensificando con l’ultimo esecutivo, generando timori e tensioni lungo il confine cisgiordano. Ad essi segue una risposta da parte dei coloni, i quali attuano le aggressioni contri i palestinesi.
Le ragioni degli attentati sono dovute alla posizione dura adottata dal sionista Ben Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale, che ha tolleranza zero per la presenza dei palestinesi in Cisgiordania. Il ministro, appartenente al partito di estrema destra Otzma Yehudit, è un sostenitore del kahanismo, un’ideologia che vede la guerra come unica soluzione alla questione palestinese. Il kahanismo, in conseguenza di questa visione, cerca in ogni modo di sostenere ingerenze e attacchi per espandere i territori israeliani. Lo fa pertanto supportando nuovi insediamenti in Cisgiordania e coadiuvando aggressioni contro i palestinesi, ancor più rispetto agli anni passati. Lo fa, inoltre, dando legittimità agli attacchi effettuati dai coloni.
Il che, considerati i recenti eventi, non risulta essere più tollerato neanche da IDF e Shin Bet, ovvero dalle forze di difesa israeliane e dall’Agenzia di Intelligence per gli Affari Interni d’Israele.
Come si è arrivati alle aggressioni contro i palestinesi
Le aggressioni da parte dei coloni e di Israele sono motivate dalla volontà di espandere gli insediamenti in Cisgiordania ed hanno come casus belli gli attacchi palestinesi o il terrorismo islamico.
Gli insediamenti sono comunità di israeliani che nel corso del tempo si sono instaurate illegalmente nei territori cisgiordani. La loro origine risale alla Guerra dei Sei giorni, nel 1967, quando gruppi di israeliani delle frange estremiste religiose iniziarono a stabilirsi nella Cisgiordania occupata. L’intento iniziale era quello di ebraizzare la regione, ma negli anni gli ebrei si sono stabiliti nei territori anche in cerca di migliori condizioni di vita.
Dal 1967 col tempo si sono espansi e hanno occupato sempre più la regione, fino ad ottenere un riconoscimento legale da Israele, anche dopo la decisione della Corte Suprema israeliana del 1979 di vietare lo stabilimento di nuove colonie. A questi insediamenti lo Stato israeliano ha sempre dato notevole supporto, fornendo ampi servizi e cercando di espandere i propri territori, al di là delle dichiarazioni ufficiali e dei divieti.
A causa della perdita dei loro insediamenti, col tempo i palestinesi, sfrattati, hanno cercato di rivendicare i loro territori. Non ricevendo considerazioni per le loro richieste, hanno così iniziato ad usare la violenza per riconquistarli. Facendo questo, hanno ricevuto attacchi dai colonizzatori e sono iniziate le aggressioni contro i palestinesi, spesso indirizzate a persone innocenti. Non solo: proprio a causa della violenza perpetrata dai cisgiordani, i coloni hanno incominciato ad ampliare l’area sotto il loro controllo, generando ulteriori tensioni. E lo hanno fatto attuando una politica del terrore in Cisgiordania, molestando, aggredendo e intimidendo palestinesi innocenti cosicché lasciassero la loro terra. Queste violenze, inoltre, non di rado nel corso del tempo hanno avuto il sostegno dello Stato palestinese, che ha finanziato insediamenti e supportato aggressioni. Quest’ultimo non ha mai impedito lo sgombero né l’espansione degli insediamenti.
Ancora oggi tutto ciò continua e maggiori sono le pressioni che i cisgiordani ricevono dai coloni, più gli attacchi palestinesi si intensificano al fine di non perdere territori in Cisgiordania.
Il motivo per cui con Ben Gvir le cose stanno peggiorando
Attualmente, gli insediamenti con Ben Gvir sta raggiungendo a un’espansione senza precedenti e le aggressioni contro i palestinesi aumentano. Il 26 febbraio il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Israele al vertice di Aqaba, organizzato per il raggiungimento della pace in Medio Oriente, ha dichiarato che «nei prossimi mesi Israele regolarizzerà 9 avamposti e approverà 9.000 alloggi in Cisgiordania». Di questi alloggi, il governo ne ha approvati 5mila il 26 giugno a seguito degli aggressioni contro i palestinesi. Non ha mai preso una decisione del genere il Ministero per la Sicurezza nazionale.
Per giunta, con l’ultimo governo israeliano le frange estreme israeliane hanno potuto avere un maggior margine di azione e supporto. Un rapporto Onu delinea come le vittime degli attacchi contri i palestinesi siano aumentate e i suoi autori. Esse vengono svolte perlopiù da coloni ebrei, i quali provocano meno reazione dei soldati israeliani ed hanno maggiore effetto. Nei primi sette mesi del governo, risulta che il numero di cisgiordani uccisi sia 141 e quasi sicuramente supererà i 191 palestinesi uccisi nel 2022. Solo il 26 febbraio, 100 coloni armati assieme all’IDF hanno ucciso un cisgiordano e ne hanno feriti 350 nella zona di Huwara, data non per caso della conferenza a Aqaba.
Attraverso questo governo e le sue politiche si è arrivati tra il 20 e il 24 giugno a una situazione molto tesa con le aggressioni contro i palestinesi. Il 20 giugno l’IDF ha condotto un raid con elicotteri militari a Jenin, una città a nord della Cisgiordania, col fine di arrestare due sospetti terroristi. Nell’operazione, che ha ricordato la seconda intifada, una bomba è esplosa sul ciglio della strada ed ha colpito i veicoli militari israeliani. All’esplosione è seguita la risposta degli elicotteri e i soldati hanno preso di mira anche i giornalisti che ostacolavano l’operazione di cattura. Il bilancio è stato di nove palestinesi uccisi e sette soldati dell’IDF feriti. In seguito all’attacco, i colonizzatori hanno reagito aggressivamente.
Cosa è accaduto dopo il raid e reazioni
Due giorni dopo l’operazione militare i coloni israeliani hanno vandalizzato la moschea di Urif in Cisgiordania, villaggio natale dei due presunti terroristi.
I colonizzatori, per giunta, a Yitzhar avrebbero incendiato una scuola e provato a dare fuoco a delle case e ad una moschea. Un simile incidente è avvenuto anche nel villaggio palestinese di Turmus. Hanno inoltre interrotto la rete elettrica a Urif e revocati i permessi di ingressi a coloro che hanno lo stesso cognome dei terroristi.
Con l’azione dei coloni, i palestinesi si sono scontrati con le forze di sicurezza e uno di loro è stato ucciso. Questo scontro ha portato a una nuova retata dei colonizzatori ad Umm Safa coadiuvata, secondo dei testimoni palestinesi, dall’IDF.
L’IDF, però, ha pubblicamente condannato le retate dei colonizzatori definendole crimini nazionalisti ed ha arrestato uno dei suoi partecipanti. Al commento si sono unite la Shin Bet e la polizia israeliana nella medesima dichiarazione di IDF, definendo le azioni terrorismo di stampo nazionalista. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, nello stesso giorno, ha condannato gli accaduti recenti. «Gli Stati uniti non rimarranno a guardare», ha dichiarato su Twitter. Esorta poi Israele a prendere le misure necessarie per contrastare le azioni dei coloni. Egitto e Turchia invece al contempo esprimono durezza nei confronti delle aggressioni contro i palestinese. Hamas, un’organizzazione paramilitare islamista palestinese, al contrario ha elogiato i terroristi.
Le tensioni recenti: cosa significano le condanne di IDF, di Shin Bet e della polizia israeliana
Le dichiarazioni dei servizi per la difesa del paese si distaccano dalle solite dichiarazioni ipocrite del Governo. Esse infatti si pongono a una certa distanza tra classe politica e militari, in quanto insistono sulla necessità di contrastare le aggressioni contro i palestinesi. E sulla base di queste necessità che Herzi Halevi, capo maggiore dell’IDF, ha esortato nella dichiarazione di giugno:
«Nei giorni scorsi, gli attacchi violenti (…) sono stati effettuati da cittadini israeliani contro palestinesi innocenti. Questi attacchi contraddicono tutti i valori ebraici e sono terrore nazionalista (…) e siamo obbligati a fermarli».
Finora, nessun ufficiale né politico al Governo ha cercato di enucleare le ingiustificate aggressioni contro i palestinesi, esprimendo invece un sentimento nazionalista e revanscista nei confronti della Cisgiordania. E nessuno dell’esecutivo aveva mai messo in contrasto i valori ebraici con le aggressioni contro i palestinesi.
Nella dichiarazione ha poi parlato delle aggressioni come di una minaccia per la sicurezza israeliana, in quanto va a ledere la pace e i rapporti internazionali. Pertanto l’IDF cercherà di deviare le sue forze per fermare gli attacchi dei coloni. A queste parole, inoltre, si è unito nella stessa dichiarazione il ministro della Difesa Benny Gantz per opporsi «all’anarchia (…) in Cisgiordania sotto gli auspici di legittimare le mosse illegali di alcuni ministri del governo». Il suo discorso si distacca fortemente dal Governo.
Le aggressioni contro i palestinesi, quindi, potrebbero portare a un’escalation politica e militare. Il timore è che Israele si ritrovi da sola in un conflitto che la vedrà battersi contro la Cisgiordania e altri stati e profondamente devastata. Con Stati Uniti e Paesi musulmani fortemente contrariati per le retate dei coloni e Israele che le supporta indirettamente, la situazione si presenta tesa. Ben Gvir, in tutto questo, dà ancora supporto agli insediamenti oltre che contrastare lo stato di diritto in Israele. Un nuovo raid dell’esercito israeliano, peraltro, è avvenuto a Jenin lunedì 3 luglio, ma per il momento non ha ancora suscitato particolari reazioni.
Le aggressioni contro i palestinesi sono il frutto di un’approccio che non ammette una soluzione bilaterale fra i due stati.
Gli scontri in corso tra Israele e Cisgiordania sono il risultato di un contrasto nazionale, politico e religioso che presentano questi due Paesi da diverso tempo. Ognuno di loro infatti cerca di affermare la propria identità in un territorio, che comprende i due Stati, storicamente appartenuto sia ad arabi che a ebrei. Israele nello specifico di cerca di rivendicare la sua storica identità sul territorio, persa a seguito della Diaspora ebraica, mentre la Cisgiordania difende la sua presenza identitaria affermatasi nel corso dei secoli.
In ragione di questo contrasto, spesso musulmani ed ebrei sono giunti a posizioni estremiste per dare una presenza della loro rispettiva identità e non venire dominati dall’altra. Per questo Israele e Cisgiordania non sono un unico stato e palestiniani ed israeliani non convivono pacificamente. La soluzione a uno stato infatti comporterebbe una maggiore presenza di musulmani che di ebrei, ponendo fine allo stato ebraico, ma al contempo un forte contrasto identitario a causa della presenza di una grande minoranza ebraica.
Per mettere fine a questo contrasto è necessario che israeliani e palestinesi imparino a convivere nella loro differenza e accettazione e attraverso la loro comunanza territoriale. Solo così potranno avere una loro identità e convivere nei loro territori, senza violenze né tensioni. Perciò, è necessario giungere a uno stato in cui Palestina e Israele siano due regioni confederate ed in cui israeliani e palestinesi abbiano una cittadinanza unica e non subiscano discriminazioni.