L’arcipelago della Nuova Caledonia, incastonato nell’Oceano Pacifico e sotto il dominio francese dal 1853, è diventato teatro di crescenti turbolenze politiche. Le proteste in Nuova Caledonia, che ad oggi stanno mettendo a ferro e fuoco l’arcipelago, sono state scatenate da una proposta di riforma costituzionale che ha sollevato preoccupazioni sull’equilibrio di potere tra le popolazioni indigene e i nuovi coloni francesi. Le radici storiche di questa crisi però sono molto lontane: la Nuova Caledonia è un’ ex colonia francese in Oceania dal 1853, che ad oggi ha ottenuto una parziale indipendenza dalla potenza occidentale. Nonostante ciò, la Francia gode ancora di alcuni diritti su quella terra e la sua popolazione indigena. Le proteste in Nuova Caledonia sono quindi un affare molto delicato quanto storico: la popolazione indigena sta lottano contro quella francese, che occupa sempre di più i loro territori e aspira ad un controllo sempre più grande dell’arcipelago.
Una lunga lotta per l’autonomia
Dal lunedì 13 maggio, l’arcipelago pittoresco della Nuova Caledonia, situato nell’Oceano Pacifico e sotto il controllo francese dal 1853, è stato coinvolto in una violenta rivolta. Il catalizzatore delle proteste in Nuova Caledonia è una proposta di riforma costituzionale che minaccia di ridurre l’influenza politica delle popolazioni indigene nella governance locale. La riforma infatti punta anche a concedere il diritto di voto alla popolazione francese che si è stabilizzata da poco tempo nell’arcipelago: in questo modo, secondo la popolazione indigena, la potenza occidentale avrebbe sempre più potere politico e sociale nella loro terra. Questa riforma inoltre rappresenta un grande ostacolo per la lotta contro la piena indipendenza degli abitanti della Nuova Caledonia.
La Nuova Caledonia infatti , un territorio d’oltremare francese, da tempo si confronta con la questione dell’indipendenza dalla Francia. Sebbene una parte della popolazione indigena sostenesse fortemente l’indipendenza, questa posizione si scontra con l’opposizione di un numero crescente di cittadini francesi che si sono stabiliti nell’arcipelago.
La lotta per l’indipendenza vive da anni ormai, nonostante parte della popolazione locale abbia votato, nel corso degli anni, per la presenza della Francia. Nel piccolo arcipelago a est dell’Australia che conta poco più di 200 mila abitanti – tra indigeni e occidentali -, ci sono stati tre referendum, tra il 2018 e il 2021, che trattavano dell’indipendenza. La prime proteste in Nuova Caledonia scoppiarono proprio perché parte della popolazione indigena non volevano restare dipendenti della Francia e avevano così boicottato le elezioni. Nonostante ciò, le elezioni furono vinte da chi voleva mantenere i rapporti con la potenza coloniale.
Escalation delle proteste in Nuova Caledonia
Le recenti proteste in Nuova Caledonia segnano l’agitazione più intensa degli ultimi decenni. Al centro dell’attuale turbolenza c’è l’estensione dei diritti di voto ai nuovi coloni francesi, una mossa fortemente contestata dalla fazione filo-indipendentista, che teme un aumento del controllo francese sul territorio.
Le proteste sono scoppiate in violenza durante la notte iniziale nella capitale Nouméa, con numerose auto date alle fiamme e decine di negozi e supermercati saccheggiati, principalmente da giovani manifestanti. La situazione è poi degenerata mercoledì dopo l’approvazione della riforma costituzionale da parte di entrambe le camere del parlamento francese, scatenando scontri armati tra le forze di polizia e circa 5.000 residenti dell’arcipelago.
La capitale è stata teatro di una vera e propria insurrezione: negozi, strade, industrie, centri commerciali sono stati incendiati. Inoltre, tanti sono stati gli scontri con le forze dell’ordine che pattugliavano ogni angolo della capitale. A partire da martedì scorso, l’Alto Commissario Francese, dopo aver lasciato delle dichiarazioni di serio pericolo in televisione, ha deciso di pattugliare in alcuni quartieri i Gruppi armati di intervento della Gendarmeria Nazionale. Nonostante questa militarizzazione d’eccezione, molti gendarmi sono stati colpiti e gravemente feriti dalle organizzazioni locali – in particolare il Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista – che si sono dotati di tutte le armi più violente e pesanti per eliminare la presenza francese sul territorio.
Le cifre ufficiali fornite da Louis Le Franc, l’Alto Commissario della Repubblica, indicano che le proteste hanno causato almeno cinque vittime, tra cui due agenti di polizia, con 64 agenti feriti e 200 persone arrestate. In risposta all’escalation della violenza, la Francia ha schierato personale di polizia aggiuntivo, insieme a rinforzi militari incaricati di mantenere l’ordine e proteggere la popolazione.
Imposizione di misure d’emergenza
Nel tentativo di ripristinare l’ordine, il governo francese di Macron ha attuato misure immediate, tra cui il coprifuoco a Nouméa, il divieto di raduni pubblici e la chiusura di scuole e dell’ aeroporto. Successivamente è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio, concedendo alle autorità il potere di limitare le libertà personali senza l’intervento del sistema giudiziario.
Macron è in continuo dialogo con la Cellula di Coordinamento dell’Azione sul Campo – CCAT – cioè il gruppo organizzato che fattualmente guida le proteste in Nuova Caledonia. Alle loro richieste circa la necessità di ritirare la riforma costituzionale e fare nuovi accordi tra la Nuova Caledonia e lo Stato francese, Macron ha risposto che, per ora, farà in modo di ritardare il più possibile la votazione finale per la modifica costituzionale. Il presidente Emmanuel Macron si è detto disponibile ad abbandonare la riforma se si raggiungerà un accordo politico con le parti locali per fermare le proteste. Tuttavia, l’annullamento di una videoconferenza pianificata con i leader locali sottolinea le sfide nel promuovere il dialogo in mezzo alla turbolenza in corso.
Reazioni Internazionali e allegazioni
Le proteste in Nuova Caledonia hanno attirato l’attenzione internazionale, in particolare nel contesto delle manovre geopolitiche nella regione del Pacifico. Mentre potenze come la Cina e gli Stati Uniti cercano di consolidare la propria influenza, la proposta di riforma costituzionale ha implicazioni significative, amplificando le tensioni geopolitiche.
Il coinvolgimento di attori stranieri, in particolare dell’Azerbaigian, ha ulteriormente complicato la situazione. Funzionari francesi hanno accusato l’Azerbaigian di interferenza, citando presunti legami tra le autorità azerbaigiane e gruppi filo-indipendentisti in Nuova Caledonia. L’Azerbaigian ha però respinto categoricamente tali accuse, definendole infondate.
Con il susseguirsi della crisi, aumentano le preoccupazioni umanitarie, con segnalazioni di carenze di forniture essenziali. In questo contesto, si intensificano le chiamate per un intervento internazionale per difendere i diritti indigeni e garantire il rispetto del diritto internazionale. Nel frattempo, il governo francese continua a impiegare risorse significative per ripristinare l’ordine e proteggere la popolazione.
Le proteste in Nuova Caledonia sottolineano le dinamiche complesse delle eredità coloniali, dei diritti indigeni e della competizione geopolitica. Mentre la Francia affronta le ramificazioni della proposta di riforma costituzionale, il cammino verso una risoluzione pacifica resta incerto, con profonde implicazioni per il futuro dell’arcipelago e dei suoi abitanti. Attualmente, c’è molta incertezza sul futuro della Nuova Caledonia: le insurrezioni di questa settimana hanno riaperto una ferita di un passato coloniale che è ancora, alla fine, presente. Il massacro coloniale, le violenze e lo sfruttamento territoriale di cui la Francia è colpevole stanno ritornando in questi giorni, come se tutta quella rabbia e repressione fossero la vera identità della Nuova Caledonia.
Lucrezia Agliani