“Ciascuno di noi è, in verità, un’immagine del Grande Gabbiano, un’infinita idea di libertà, senza limiti.”
Richard Bach, Il Gabbiano Jonathan Livinghston
È un istante. Il lancio, la spinta, è un attimo. E in quell’attimo non hai il tempo per capire se è il di qua che ti spinge o se è il di là che ti tira a sé: non c’è tempo. Sei nel cielo. Senti che tra te e la terra v’è una sorta di energia che vi allontana: ed è quasi nostalgia di lei perché te ne sei allontanata troppo, e allo stesso tempo è euforia all’estremo perché ti sei avvicinata all’immenso. Ne sei parte.
E pensi che probabilmente quella che stai vivendo è la stessa sensazione, la stessa emozione, lo stesso brivido che ti ha attraversato il corpo nel momento in cui nascevi e passavi dal di là al di qua. Perché è stata aria, vuoto, mancanza fin quando una mano non ti ha afferrata, accolta: anche ora è così, ma stavolta è il vento che ti afferra e ti prende con sé.
Apri le braccia con un colpo secco e con le mani tagli le nuvole. Le nuvole che oggi hanno una sola forma: quella della tua Follia!
E sei su, tra le braccia del vento di cui ora riesci a sentirne la forza, il profumo. Ti rendi conto che ti trovi lì, proprio in quel posto che tante volte hai guardato chiedendoti dove finisse… non lo sai dire nemmeno ora. Ed ecco che la filosofia dell’infinito ti risulta chiara. Se esiste l’infinito, nulla può essere dato per finito: per tutto c’è un altro, un dopo, un ancora. E poi, ora, non ce la fai a guardare sopra di te: guardi giù e vedi tutto piccolo: o forse, lo vedi semplicemente nella sua reale dimensione. Bassezza e altezza, larghezza e strettezza, in fondo, sono parametri che abbiamo inventato noi di quaggiù, ma sulla base di cosa?
Tutto è piccolo, ora. E tu sei incredibilmente lontana. E lo pensi, lo stai pensando e senza che tu te ne renda conto lo stai urlando con tutto il fiato che riesci a cavare da dentro: “Sto volando!!!” Stai volando!
E tutto in te sembra impazzito: come se dentro ti fosse esplosa una bomba di adrenalina; le vene ballano e sembrano intrecciarsi, confondersi tra loro; il cuore non sai più dove sia precisamente: lo senti battere ovunque, e forte. Talmente forte che ti chiedi se reggerà o se smetterà di colpo, esausto. Agli occhi del mondo sei impotente: se qualcosa dovesse andare storto, cosa potresti fare nel bel mezzo del cielo? Ma tu non ci pensi. Proprio non ce la fa quel pensiero ad entrare nella tua testa: è piena di vento! Il tuo corpo, la tua memoria e le tue viscere ne sono pieni: e come un uragano, il vento sta sgombrando le tue stanze da ciò che è superfluo, da ciò che è passato, da ciò che potrebbe di nuovo far male. E la cosa più bella, lo sai, è che qui sei immune da sguardi indiscreti, da cattive intenzioni e da tristi ricordi.
Ma quale impotenza: stai volando e se stai volando, allora, tutto è possibile. È il culmine, l’apice, non può esserci un di più di questa emozione, di questa meraviglia e non ne vuoi perdere neanche un frammento, neanche un istante. Vorresti poterlo scrivere sul cielo quello che stai provando perché hai paura di dimenticarlo, o forse hai paura di non riuscire a trovare le parole per raccontarlo, per descriverlo. Hai descritto l’estasi della scrittura, quella dell’amore, quella della vittoria… ma questa? Come si fa a dare un nome a tutto questo?!
Chissà se crederanno alle tue parole, se crederanno che sei riuscita a rilassarti, che adesso è tutto più tranquillo. Non puoi non pensare a quanto sono incredibili il corpo e la sua capacità di adattamento! E il cuore? Eccolo, è tornato a battere al suo posto. Come il corpo, il cuore è capace di abituarsi a tutto, anche a ciò che è contro natura, contro la sua natura.
Guardi ancora giù e riconosci i colori, le forme della terra, guardi ancora intorno a te e vorresti solo che quel momento durasse il più a lungo possibile. Di scendere non ne hai voglia; stai bene lì, per adesso. Ti senti sicura perché c’è chi ti fa sentire tale e che là dietro o là sopra (tutto è relativo, qui!), legato a te dalla Follia più che dall’attrezzatura, canta quella canzone che conosci da sempre e di cui ora comprendi il ritornello, la gioia di un “Volare nel blu, dipinto di blu!”. E con la stessa calma di una foglia di autunno, ti avvicini alla terra mentre ti allontani da quell’alto che resta lì lasciandoti andare.
E sei a terra. È un ritorno e non sapresti quantificare il tempo della tua assenza, anche perché lì dove sei stata il tempo non esiste.
Tutto sembra tornare come era all’origine, in uno stato di calma, di normalità, di staticità. E riacquisti il tuo equilibrio, non sei più sospesa ma le tue gambe sono rette dal piano e a loro volta reggono il tuo corpo. Guardi il cielo: ed è nostalgia perché lo hai toccato, afferrato, sentito ed ora è di nuovo infinitamente lontano, e allo stesso tempo è carezza, tenerezza perché ora sai di avere un posto, un po’ di casa anche lassù.
E tutto ciò che riesci a dire, ad urlare è: “Ho volato! Ho toccato le nuvole! Ero lì, lassù!”. Ridi, sorridi, perché oggi hai confermato una verità in cui hai sempre creduto: volare non è poi così impossibile. L’hai sempre saputo, ed oggi l’hai fatto.
E capisci perché chi ha volato, torna a farlo; capisci che il paracadutismo è molto più di uno sport estremo, di un rischio, di una forma di incoscienza: è una filosofia e che ogni gesto, ogni passo, ogni istante hanno il loro senso, la loro importanza; capisci che alzarsi in volo è un’esperienza più che un’attività e che volare non è una sfida contro la natura, contro la propria umanità, contro il destino: è un modo per dimostrare a se stesso, a se stessa che tutto quello che spaventa non è poi così grande e così insuperabile come sembra.
Basta fare un salto… di 4200 metri! E a ricordarti tutto questo sarà quel po’ di cielo che sei riuscita a prendere e a portare via con te. Ti ricorderà che l’infinito non è poi così lontano e non è per niente irraggiungibile, come non lo è la libertà di volare.
Deborah Biasco