Di Zar Abdul
Se è vero che smartphone, social network e progresso tecnologico hanno migliorato la nostra capacità di comunicazione, di spostamento e di trasferimento dati, è altrettanto vero che con essi abbiamo assistito ad un’evoluzione di comportamenti fraudolenti, meschini, violenti, misogini e deplorevoli senza precedenti.
Termini come scam, fishing, troll, odiatori seriali, leoni da tastiera e fake news sono ormai presenti nel nostro vocabolario quotidiano. Tuttavia, ci siamo abituati anche ad usare termini più “pesanti” come pedopornografia e revenge porn. Fenomeni questi che corrispondono ad una fattispecie penale e che sono puniti dal nostro ordinamento giuridico.
Insieme agli smartphone sono arrivati quasi in contemporanea anche applicazioni come Facebook, Whatsapp, Instagram, Twitter e Telegram.
Facebook da prima ha visto la nascita dei gruppi e delle community, che col tempo, sono diventati più diversificati e specifici, con lo scopo di colpire nel web (ma non solo) una parte della società, che fossero donne, personaggi politici, tifoserie calcistiche, stranieri ecc… Un’incredibile esplosione di odio, di ferocia e di aggressività. Ciò che non poteva avvenire su Facebook, ovvero la condivisione di materiale pornografico, è iniziato ad avvenire altrove.
Whatsapp e Telegram sono attualmente le due principali applicazioni (ma ce ne sono diverse) con le quali è possibile creare gruppi con una certa facilità e libertà di gestione. Tuttavia, la cosa che più preoccupa è una: la condivisione di materiale pornografico di persone che non hanno mai autorizzato la diffusione di tale materiale.
Quando non esistevano ancora né gruppi online, né social, certe cose accadevano comunque, ma con modalità diverse.
Tra i banchi di scuola, negli spogliatoi dopo gli allenamenti, durante le gite, nei gruppi di ritrovo del dopo scuola, e ovunque si venissero a creare comunità circolavano messaggi, poi foto e infine video. Venivano guardati, commentati, passate di mano in mano. Si formava così una catena di condivisione di un certo materiale, spesso intimo, di una persona che poi diventava oggetto di chiacchere, prese in giro, o veri e propri atti di bullismo.
Era pericoloso e dannoso, ma era del tutto circoscritto a quella “piccola” comunità.
I social e le applicazioni hanno avuto il “pregio” di amplificare in maniera incontrollata la nostra comunicazione, rivelandosi uno strumento potente e pericoloso in mano a chi ha sempre avuto la tendenza a compiere determinati atti.
Il momento di svolta nella diffusione di materiale pornografico non consensuale, tuttavia, si può individuare nella crescita di Telegram, un’applicazione di comunicazione nata nel 2013, fondato da Pavel Durov.
Ora capiamo l’incredibile arma che è diventata questa app per il tema che stiamo trattando.
Innanzitutto, per “pornografia non consensuale” si intende la pubblicazione su una piattaforma pubblica accessibile ad altri utenti, o direttamente a contatti personali, di foto e video senza il permesso delle persone ritratte. Ciò che in genere sarebbe una violazione della privacy, in questo caso diventa ancora più grave per la tipologia di materiale inviati. Infatti, un caso specifico di cui si parla in maniera costante, purtroppo, è proprio il “revenge porn”, ovvero quando si diffondono contenuti pornografici dell’ex-partner o della persona frequentata per un periodo, come “vendetta” (revenge) per aver deciso di interrompere la relazione o per essersi comportato in maniera “scorretta” secondo il punto di vista di chi ha deciso di diffondere quel materiale.
La disciplina del reato “revenge porn” è in vigore dal 9 agosto 2019 con il nuovo articolo 612 – ter del codice penale, “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. La pena prevista è la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5 a 15mila euro. Nonostante questo, a quanto si legge in un recentissimo dossier pubblicato dal Servizio Analisi Della Direzione Centrale Della Polizia Criminale, sono registrate almeno due episodi di revenge porn al giorno, due video ogni 24 ore che mandano in giro immagini intime di giovani donne (sempre più spesso minorenni).
Nell’anno che va dall’agosto 2019 all’agosto 2020, la Lombardia risulta la regione con più delitti in assoluto, ben 141 con un’incidenza delle vittime di sesso femminile dell’82%, mentre la Valle d’Aosta è la regione meno coinvolta, dove si è registrato solo 1 caso, con un’incidenza delle vittime di sesso femminile del 100%.
Se da un lato Whatsapp ha un’attenzione più alta su questi fenomeni e riesce a limitare la nascita dei gruppi e la conseguente diffusione di certi materiali, il suo omonimo Telegram è quasi totalmente assente da questo punto di vista.
Di fatto i vertici di questa applicazione ignorano spesso le segnalazioni che gli vengono fatti, e ad affermarlo è Matteo Flora, presidente di PermessoNegato.it.
“Telegram, a differenza di altri servizi simili e social network, non risponde alle segnalazioni nostre e nemmeno a quelle della Polizia Postale. Con il risultato che i gruppi restano aperti a lungo”.
Flora aggiunge anche che Telegram…
“Non chiude i gruppi; non dà i nomi dei partecipanti e degli amministratori alle forze dell’ordine”, e continua, “in passato l’ha fatto per altri reati, grazie a rogatorie internazionali, ad esempio per violazione del copyright e truffe. Ma non per il revenge porn, che quindi resta impunito di fatto”.
Il dossier della Polizia Criminale, ci suggerisce come sia importante analizzare l’incidenza che ha avuto la pandemia su questo fenomeno. Più disponibilità di tempo a disposizione, insieme a diversi altri fattori, hanno creato le condizioni ideali per una crescita più che esponenziale dei gruppi/canali. Ed è così che i ricercatori di “Permesso Negato” hanno stimato che si è passati dai 17 gruppi contenti 1,147 milioni di utenti nel mese di febbraio, ai 29 gruppi con 2,223 milioni utenti nel mese di maggio, fino agli 89 gruppi con oltre 6 milioni di utenti a novembre.
Una crescita questa che deve far preoccupare perché, secondo le dichiarazioni di Alessandra Belardini, Dirigente della polizia postale…
“le denunce e i denunciati sono solo un piccolissimo frammento di ciò che circola realmente, e non solo su Telegram.”
C’è un’altra considerazione da fare: è stato registrato che si verifica un picco di richieste ogni volta che emerge, sui media, un caso di revenge porn. In quei frangenti migliaia di persone si riversano su Telegram in cerca dei video in questione, delle vittime. Li chiedono nei gruppi dedicati, molti dei quali menzionano le generalità della vittima affinché venga e trovata con più facilità.
Trovare un groppo su Telegram e davvero molto facile, e non richiede niente di più di una semplice ricerca per nome o parola chiave. Esistono gruppi aperti e gruppi chiusi, dove si entra solo se invitati tramite link, e quest’ultimi sono più difficili da individuare.
Alcuni di questi gruppi chiedono addirittura di compilare un vero e proprio questionario d’ingresso dove si indica la persona da “colpire” le sue generalità, i suoi contatti social e si invitano gli altri utenti ad andare a commentare (con frasi d’odio, allusioni sessisti, insulti, o minacce a seconda della volta) sui vari profili.
Altre volte vengono condivise anche immagini di attuali partner in questi gruppi, e si fa a gara di commenti.
Altre volte ancora c’è una vera e propria compravendita di materiale di persone specifiche, richieste come fossero quasi bene di lusso e di nicchia.
Ciò di cui parlo è una rete, un sistema che si regge su persone in costante ricerca di materiale. Una domanda spropositata che trova sempre la sua offerta.
È chiaro che bisogna interrogarsi su come siamo arrivati a questo punto, ma soprattutto su come riuscire ad arginare un fenomeno che in diversi casi ha avuto effetti devastanti sulle vittime, fino a portare a casi di cupa depressione o suicidio.
L’argomento sesso è sempre stato affrontato un po’ come un tabù a livello sociale e scolastico. Considerando la società misogina in cui viviamo, e la visione fortemente maschilista del concetto di piacere forse si arriva a “demonizzare” la donna che vive la sessualità in maniera libera, secondo le sue pulsioni sessuali.
Un’esempio chiaro, è il comune sentore che l’uomo che ha diversi partner è un uomo capace e da invidiare, mentre la donna che si gode la compagnia di diversi partner viene spesso insultata e considerata una prostituta.
Mentre la voglia e il desiderio sessuale nell’uomo sono la norma in quanto uomini, la donna che ha desiderio sessuale e ne parla o la mostra è additata come una poco di buono. Qualcosa di cui vergognarsi.
La nota vicenda della maestra d’asilo di Torino licenziata dopo che un suo ex ha fatto circolare materiale intimo suo, ci consegna una fotografia piuttosto disarmante sull’argomento.
Ci sono ancora persone convinte che il piacere e gli impulsi sessuali siano cose esclusivamente da uomini.
Queste considerazioni portano a far capire la visione eccezionale dell’uomo quando vede una donna fare certe cose. Se fosse normale pensare alla donna come libera di vivere la propria sessualità, in vita, come nel virtuale esattamente come l’uomo, probabilmente non ci sarebbe questa folle corsa al materiale pornografico rubato.
Se vedere queste immagini o video non fosse interessante, ma anzi fosse qualcosa di scontato di cui non sorprendersi, forse non ci sarebbe nessun gusto nel vederle.
Ovviamente non c’è alcuna prova che se la società vedesse la normalità nella sessualità delle donne queste dinamiche non esisterebbero più, e sicuramente ci vorrebbe tanto altro, ma probabilmente è un elemento anch’esso importante da considerare.
Forse la normalizzazione della sessualità della donna, insieme alla lotta contro l’oggettificazione del corpo femminile possono essere un inizio per invertire questa preoccupante rotta di abusi.