Telecamere di sorveglianza e dati biometrici: così l’Iran risponde alle donne che si oppongono all’uso dell’hijab

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Il governo iraniano sta installando numerose telecamere di sorveglianza per identificare le donne che non si adeguano al codice di abbigliamento obbligatorio in vigore dalla scorsa estate. In particolare, un’attenzione speciale è dedicata all’hijab. Il velo è infatti obbligatorio per tutte le donne che abbiano compiuto il nono anno di età. Attraverso le telecamere e i dati biometrici raccolti dal governo a partire dal 2015, chi trasgredirà questa rigida normativa riceverà un “messaggio di avviso” che lo informerà sulle conseguenze.

L’obiettivo? Stando alla dichiarazione rilasciata dalla polizia morale, prevenire la resistenza alla legge sull’hijab. Abbastanza controintuitivo a ben guardare. Le rivolte sono scoppiate proprio a seguito di una restrizione sul codice di abbigliamento per le donne e, soprattutto, dopo che una ragazza di soli 22 anni è stata uccisa dalla polizia “morale” perché non indossava correttamente il velo.

Era il 16 settembre e molte donne, da allora, per protesta hanno iniziato a girare per le strade senza il velo in segno di sfida a un’autorità troppo oppressiva. Sono molte coloro che ogni giorno rischiano l’arresto, le torture e addirittura la morte pur di difendere la propria libertà individuale.

Eppure, il governo ultraconservatore di Raisi non ascolta le loro istanze, anzi, le reprime ancor più duramente. Le telecamere di sorveglianza, infatti, servono a controllare che l’abbigliamento di ogni donna sia in linea con la legge della sharia secondo cui le donne devono coprirsi i capelli e indossare abiti lunghi e larghi per mascherare le loro figure.

Il velo è uno dei fondamenti della civiltà della nazione iraniana e uno dei principi pratici della Repubblica islamica, quindi nessun passo indietro.

Telecamere di sorveglianza e dati biometrici: le nuove frontiere del controllo

L’Iran, ogni qualvolta ha bisogno di sedare proteste (come quella del 2019 contro la disoccupazione giovanile) adotta alcune strategie precise che sfruttano la potenza delle tecnologie moderne:

  1. Shutdown di internet e social per fermare l’organizzazione delle proteste e per impedire la diffusione di materiale compromettente per le autorità. Ad esempio i video delle violenze della polizia morale sui manifestanti.
  2. Creazione di una rete internet nazionale (ovviamente incentivata, più economica, più veloce, più controllata) parallelamente alla rete globale (spesso interrotta dallo Stato).
  3. Rilascio di carte di identità digitali che raccolgono i dati biometrici dei cittadini quali impronte digitali, scansioni dell’iride, immagini facciali. Tutte le nuove carte di identità rilasciate dal 2020 sono digitali e sono ormai l’unico documento valido per poter usufruire di molteplici servizi. Come accedere ai servizi sanitari e ai servizi bancari e per poter ottenere la patente e la pensione.

Così facendo l’Iran ha a disposizione immense banche dati biometriche che, in combinazione con le telecamere di sorveglianza, diventano uno strumento di controllo di massa alla stregua del Grande Fratello orwelliano. Senza una rigida legge a tutela della privacy i dati rilasciati dai cittadini allo scopo di verificare propria identità possono facilmente essere utilizzati per altri scopi senza che le persone coinvolte ne siano al corrente. Ma al momento in Iran la questione privacy non una priorità del governo.

Anzi, in questo modo il governo iraniano e la polizia morale hanno uno strumento straordinariamente efficace per poter riconoscere tutti i trasgressori. Che siano pacifici manifestanti per i diritti o che siano donne che vivono tranquillamente la propria vita quotidiana andando al lavoro, a scuola, al mercato o a fare una passeggiata. Donne che non fanno niente di male se non mostrare liberamente una parte di loro stesse.

Le proteste in Iran

Il 16 settembre 2022 è morta Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni del Kurdistan iraniano, fermata dalla polizia religiosa di Teheran perché non stava indossando correttamente l’hijab. È morta tre giorni dopo essere stata arrestata. Le autorità hanno cercato di smarcarsi dall’accaduto, ma la responsabilità della polizia è ormai certa. In questo caso sarebbe omicidio di Sato.

L’evento ha ovviamente suscitato molto clamore nella popolazione e in molti sono scesi in piazza per protestare contro un governo eccessivamente autoritario, eccessivamente violento, eccessivamente liberticida. Da lì nuove proteste, nuovi arresti, nuove morti, nuove restrizioni. La mobilitazione ha assunto una dimensione nazionale e addirittura internazionale con manifestazioni di solidarietà in tutto l’Occidente. È diventata una manifestazione per la libertà e per i diritti non solo delle donne ma di tutti i cittadini oppressi da un integralismo religioso giunto a livelli inaccettabili per molti.

Inoltre, queste proteste hanno acuito alcuni atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne. Le donne, infatti, non solo si vedono costrette a indossare determinati capi di abbigliamento contro la loro volontà, ma spesso devono sopportare umiliazioni pubbliche da parte di uomini che non accettano che abbiano un’istruzione o che prendano da sole un autobus o la metropolitana.

Così almeno 1.000 studentesse sono state avvelenate nelle loro scuole da novembre ad oggi. Le autorità si sono dissociate da questo fenomeno condannandolo aspramente ma resta il fatto che il loro atteggiamento repressivo nei confronti delle donne non fa che incentivare questi comportamenti.

La rivoluzione iraniana

È il primo febbraio 1979 quando l’ayatollah Khomeini rientra in Iran dopo l’esilio che gli era stato imposto. Appena sbarcato a Teheran viene acclamato dalla folla come il liberatore dell’Iran dall’autoritario scià. La monarchia iraniana aveva creato un regime decisamente oppressivo e aveva avviato quella che è stata chiamata occidentalizzazione forzata che lo aveva reso un paese laico.

Con l’arrivo di Khomeini l’Iran viene trasformato in una Repubblica Islamica e viene imposta la sharia. La legge islamica vieta gli alcolici, il gioco d’azzardo, la prostituzione. Prevede la pena di morte per l’omosessualità, per lo stupro e per l’adulterio (femminile). Obbliga le donne a indossare l’hijab e un abbigliamento coprente.

Raisi e i crimini contro l’umanità

Dall’estate 2021 è al governo Ebrahim Raisi che, da ultraconservatore, ha dato un’ulteriore stretta autoritaria . Non c’è quasi più margine di libertà. Per questo la popolazione si sta ribellando. Il suo governo, inoltre, è talmente repressivo che le Nazioni Unite stanno istituendo un comitato di indagine sulla condotta iraniana nella repressione delle proteste. Infatti, secondo Javaid Rehman, relatore speciale sull’Iran, ci sarebbero tutti gli estremi per accusare l’Iran di crimini contro l’umanità.

A seguito della morte di Amini, accusata di non aver indossato correttamente l’hijab, gli scontri tra la popolazione e la polizia morale si sono fatti sempre più frequenti e sempre più duri. Sono morte 527 persone, molte sono state arrestate e hanno subito percosse, torture, abusi sessuali e i processi che hanno condannato alcuni manifestanti alla pena capitale sono stati sommari se non inesistenti. A questo adesso si aggiunge il controllo capillare del governo sulla popolazione attraverso le telecamere di sorveglianza e i dati biometrici. Forse non è una pratica definibile come crimine contro l’umanità ma gli si avvicina parecchio.

Arianna Ferioli

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