E’ stata pubblicata qualche giorno fa, proprio in prossimità del “Safer Internet day”,la giornata mondiale della sicurezza on line, l’indagine di Save the children sulle opportunità e i rischi dei nativi digitali.
La ricerca mette in luce precocità e differenze nell’approccio dei più giovani alle nuove tecnologie, con un focus particolare sui social. Da qui emergono divergenze sostanziali, sopratutto per quel che concerne la trasposizione delle attitudini sul piano lavorativo e la gestione del rischio.
Un quadro dissomigliante che pare essere chiaramente influenzato da stereotipi e luoghi comuni.
Un incontro prematuro
L’analisi, condotta dall’associazione umanitaria “Save the children” è stata elaborata dall’Istituto nazionale di statistica Istat ed evidenza quanto il primo approccio con l’universo digitale si realizzi precocemente e in maniera del tutto inconsapevole.
Secondo quanto riportato nell’indagine, il 54% dei giovanissimi in età compresa tra i 6/10 anni utilizzano regolarmente la connessione internet di casa.
Senza contare che il 94,1% delle famiglie con minori dichiarano di possederne una. Di questi, il 96,4 al Nord, il 95,3 al centro e il 93,5 al sud. Il valore di riferimento aumenta poi ragionevolmente durante il periodo adolescenziale. Si stima infatti un utilizzo del 93,5% da parte delle ragazze contro un 94,2% dei ragazzi, in una fascia d’età che va dai 15 ai 16 anni.
Interessante anche l’impiego dei social network quali Facebook, Instagram e Snapchat, dove cominciano a sorgere le prime diversità di genere in termini di assiduità d’uso e sviluppo delle competenze.
I colossi della condivisione on line si contendono rispettivamente il 44,3% di donne e il 36,2% di uomini quando si parla di Facebook, il 76,2% e il 68,4% di Instagram.
Un dato per cui spicca senza dubbio il maggior interesse mostrato dall’universo femminile. Questo, spinto spesso dalla volontà di entrare a contatto con l’esterno. Ma anche di farsi conoscere attraverso i suoi contenuti multimediali.
Una divergenza d’intenti
Partendo dall’interesse verso la digitalizzazione della propria quotidianità si associa alle ragazze anche la maggiore competenza all’interno del settore.
La ricerca mostra infatti quanto alle donne debba attribuirsi un maggior grado di competenze generali. Pari al 39,6% rispetto ai maschietti (36,3%) se si parla di skills digitali. Dell’ 86,6% se si parla invece di Communication Technology .
Proprio da quest’informazione però si svela l’arcano. Nonostante il grande interesse che il genere femminile mostra per le facoltà scientifiche (60% le laureate in Scienze naturali, Matematica e Statistica) solo il 21% sceglie l’ITC (Information & Communication Technology). Soglia che si abbassa ulteriormente per i diplomi magistrali (14%).
L’essere per tradizione
Un Gap di genere che pare essere profondamente aggrappato alla concezione comune di quali siano o meno le attitudini appartenenti al sesso femminile e a quello maschile.
Basti ragionare sul fatto che il rapporto di uomini che intendono avere una carriera nel settore tecnico scientifico è di quattro volte superiore alle donne.
Una discrepanza che potrebbe aver luogo nel percorso di creazione identitaria dell’individuo. Oppure nella ricerca delle proprie ambizioni in ciò che universalmente è riconosciuto come essere più consono al proprio “status”.
Sempre secondo la ricerca condotta da Save the Children lo stesso MIUR (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca) avrebbe evidenziato quanto la presunta assenza di predisposizione verso alcuni ambiti lavorativi coincida negativamente con il percorso formativo delle studentesse.
Una disparità di condizioni che si riflette dunque nel panorama educativo e che si protrae inevitabilmente in un’eterno capogiro di ripetizioni. Un cane che si morde ripetutamente la coda dunque, che andrebbe fermato con lo sdoganamento delle ideologie comuni.
“L’indagine di Save the Children intende essere un primo passo per approfondire gli ostacoli e i rischi che potrebbero frenare i processi di empowerment delle ragazze.
Tutto mettendo a fuoco il ruolo delle tecnologie nel rafforzare o meno gli stereotipi di genere e indagando il fenomeno della violenza tra pari ”.
– Raffaela Milano, Direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children –
I fattori di rischio
La precocità, l’ inevitabile ingenuità che ne deriva ma anche la voglia di esprimere la propria identità sono i punti di partenza su cui la ricerca si sviluppa per identificare un problema più preciso. A fronte di un maggiore utilizzo femminile infatti le discrepanze appaiono su due emisferi differenti, il primo tecnico – pratico sull’effettivo impiego nel mondo reale delle proprie competenze digitali .
Il secondo, più imponente sotto molti aspetti, riguardante la diversa concezione dei fattori di rischio e il il pesante condizionamento di genere nella gestione dei pericoli legati al web.
La violenza reale e quella digitale appaiono oggi più che mai indissolubilmente legati. Basti pensare agli innumerevoli casi di cronaca nati sui social. Tentativi di adescamento, insulti violenti e molestie paiono essere purtroppo parte integrante del genere femminile i cui gesti vengono puntualmente interpretati in maniera distorta. Nello studio, tante ragazze riferiscono di aver letto frequentemente commenti violenti o di aver ricevuto messaggi che le hanno esposte ad un forte disagio.
La disparità come condizionamento
La violenza on line è un fenomeno che colpisce una donna su tre e che in Europa conta più di nove milioni di vittime.
Gli effetti sul piano emotivo e fisico che si trascina dietro, sono senza dubbio pericolosamente lesivi nella sfera emozionale e sociale della donna. Questa è costretta perciò a limitare la propria libertà di espressione per paura di essere giudicata o peggio essere soggetta ad atti brutali e aggressivi. Il tutto per il semplice desiderio di entrare a far parte del mondo a proprio modo.
Monica Bertoldo