Da quasi una settimana i tassisti di tutta Italia stanno incrociando le braccia dal Nord al Sud. Nelle prossime ore incontreranno i rappresentanti del governo per cercare una soluzione di mediazione. L’oggetto del contendere: un emendamento al decreto Milleproroghe, a firma Lanzillotta e Cociancich, che rinvia a fine anno il termine entro il quale il ministero delle Infrastrutture dovrà emanare un provvedimento che impedisca “l’esercizio abusivo dei taxi e quelle di noleggio con conducente“, mentre si elimina la “territorialità” delle auto noleggio con conducente che potranno, così, operare liberamente.
Tra gli spettri che non fanno dormire sonni tranquilli ai tassisti di tutta Italia, Uber, l’app che consente un incontro diretto tra clienti e autisti superando lo schema tradizionale del taxi: quando ci si trova in una città dove opera Uber, per richiedere un passaggio è sufficiente aprire l’applicazione, selezionare il tipo di auto che si desidera, specificare il punto in cui ci si trova e la destinazione da raggiungere. La novità, oltre al servizio digitale, è la possibilità per chiunque sappia guidare in auto di diventare affiliato di Uber, mettere in condivisione il proprio bene ed il proprio servizio di guida in cambio di un guadagno diretto. I pagamenti e i termini del servizio sono garantiti da Uber, con cui il cliente ha contatto diretto; la quota spettante al guidatore è versata direttamente da Uber ai propri affiliati.
Di cosa hanno paura i tassisti “vecchia maniera”? Le preoccupazioni, sicuramente legittime, sono più o meno le stesse che venivano manifestate una decina di anni fa contro il Minisro dell’Industria Bersani che, rispetto all’impianto iniziale della sua “lenzuolata” di liberalizzazioni, fu costretto proprio a causa delle proteste della categoria a tanti passi indietro. Tornando ad oggi, il rinvio della regolamentazione ha un fine pratico più che ideologico, secondo quanto dichiarato a Repubblica dalla senatrice Lanzillotta: sospendere le norme restrittive sul noleggio con conducente fino al 31 dicembre 2017, in attesa che venga varato finalmente il piano del trasporto atteso dal 2009.
Perché la prima questione da affrontare è proprio questa: l’eterno rinvio del tema della liberalizzazione della regolamentazione dei nuovi servizi digitali per il trasporto urbano, temi su cui l’Antitrust e l’Unione Europea ci bacchettano ormai da anni. Un eterno rinvio che ha fatto sì che oggi il servizio taxi in tutta Italia sia regolato da norme risalenti al 1992, con gli effetti che tutti conosciamo: prendere un taxi è sempre più un salasso, i giovani preferiscono farsela a piedi e quante volte capita di trovare persone costrette a dormire in aeroporto per prendere il primo aereo della mattina perché un eventuale costo del taxi, sempre se lo si riesce a trovare alle prime luci dell’alba, sarebbe superiore a quello del volo.
E il conservatorismo all’italiana, ancora una volta, produce mostri: basti pensare all’obbligo per le auto noleggiate con conducente di rientrare dopo ogni servizio nella propria sede, con un inutile spreco di denaro e tempo, oppure al divieto, fortunatamente sospeso, di sostare nel suolo pubblico di un Comune diverso da quello che rilascia la licenza.
Le proteste dei taxi anno Domini 2017, come quelle del 2006 e i vari tentativi di riformare il sistema, sono emblema di un Paese che forse liberale non si è mai sentito. Tra assistenzialismo statale e, dobbiamo riconoscerlo, anche un certo solidarismo di stampo cattolico, valori come il libero mercato, la concorrenza, il merito incontrano grandi resistenze nell’Italia dei privilegi e delle corporazioni, dove si vuole che tutto cambi perché nulla cambi.
Eppure qui non si chiama in causa un neoliberismo che sfrutta lavoratori, che sopprime diritti o chissà quali azioni selvagge. Aprire alla concorrenza e all’innovazione significa far risparmiare i cittadini. Ed ha bisogno di risparmiare il giovane universitario fuori sede. L’ammalato che, arrivato in aeroporto magari dalla Calabria a Milano per curarsi, non ce la fa a prendere i mezzi pubblici ed avrebbe bisogno di un taxi. Magari a basso costo. E magari la possibilità di scegliere da chi farsi erogare un determiinato servizio.
Anno 2017. In Italia le tare del feudalesimo e del latifondo si fanno ancora sentire. I privilegi, chi li ha non li vuole cedere. E il coraggio imprenditoriale, chi non ce l’ha, non se lo può dare.
Salvatore D’Elia
Salvatore, da cittadino la penso come te: un (folto) manipolo di persone non può bloccare il nuovo che avanza e gli interessi di tanti; e per di più fregandosene dell’interuzione di pubblico servizio. Ma da persona che ha imparato ad ascoltare sempre anche le ragioni degli altri, che non si possono cancellare con un tratto di penna (che ci vuoi fare: con l’età… miglioro 🙂 ) avrei preferito che tu avessi speso qualche parola in più sulle ragioni dei tassisti. Dici, è vero, “Le preoccupazioni (dei tassisti, n.d.r.) sicuramente legittime, sono più o meno le stesse…” Di queste preoccupazioni, che tu stesso definisci legittime, ne cito solo una: una miope, antica e ovviamente clientelare politica ha da sempre consentito – parlo per Roma, di cui so qualcosina in più rispetto ad altre città – la compravendita delle licenze da tassista a tassista. Queste hanno un valore di mercato intorno ai 200.000 euro. I tassisti considerano perciò la propria licenza “il risparmio di una vita” che lasceranno al figlio o che venderanno per assicurarsi una vecchiaia più serena. Improvvisamente arriva Huber e la licenza perde una bella fetta del suo valore. Lo vivresti anche tu come uno scippo, no? Oppure mettiti nei panni di un padre che per “sistemare” un figlio gli ha comprato una licenza, e tre mesi dopo arriva Huber e quella licenza vale molto meno; e vale meno perché assicura molto meno guadagno causa una cncorrenza spietata da parte di “altri” con meno obblighi e costi. A questo punto da una parte si hanno infatti i tassisti che devono sudare una licenza, devono rispettare turni, fanno esami speciali eccetera; dall’altra nugoli di persone prive di obblighi costosi e consuma-tempo. Quello che sta succedendo è che le amministrazioni succedutesi negli anni non hanno creato condizioni più agili e giuste nei confronti dei tassisti: un po’ per ignavia, e molto perché i tassisti sono sempre stati apprezzatissimi serbatoi di voti. E oggi che “il nuovo” preme alle porte, scontiamo tutto in un colpo solo: i tassisti da una parte, abituati a vincere i bracci di ferro, determinati più che mai di fronte uno spettro – Huber – che rischia di rovinarli; dall’altra le amministrazioni che si rendono conto che ormai non si può più tergiversare.
E noi utenti in mezzo…
Grazie per l’ospitalità.
Uber, scusa il refuso. Huber era una mia amica viennese.