Torino. Ci risiamo. Sono passati quasi quarant’anni dalla marcia dei 40.000, ma l’autunno sabaudo continua a portare consiglio alla maggioranza silenziosa che si è stufata di restare in silenzio. Questa volta sulla TAV.
La manifestazione
Sabato 10 novembre, lontana da vessilli e simboli di partito, una massa di persone “comuni” si radunerà in Piazza Castello per lanciare un messaggio tanto semplice quanto inusuale: la TAV Torino – Lione noi la vogliamo.
Una manifestazione a favore, per una volta.
Intrisa di quel pragmatico buon senso, sobrio ma orgoglioso, che è tratto storicamente caratterizzante dell’indole del torinese.
Così come nel 1980, saranno ancora una volta artigiani, professionisti, industriali, commercianti ed impiegati (anche la maggioranza del sindacato appoggia peraltro l’iniziativa) a scendere in piazza.
Sarà, soprattutto, classe dirigente. E tanta gente comune.
Ci saranno signore bene armate di sacchi della spazzatura “per lasciare tutto più pulito di come lo abbiamo trovato” e studenti preoccupati di dover marinare la scuola, come racconta Giovanna Giordano Peretti, una delle animatrici dell’iniziativa (autodefinitasi “madamin, tre volte nonna”, in perfetto stile sabaudo).
Sfileranno nuovamente in 40.000 o forse questa volta in molti di più, se solo si considera che la petizione lanciata su change.org e con la quale è cominciato il tutto ha già superato, al momento in cui si scrive, le 55.000 adesioni. Ed inizia a preoccupare neanche poco l’amministrazione pentastellata della Sindaca Appendino, visibilmente non avvezza alle piazze ‘contrarie’.
Ma se Torino è Torino (“chiedete ad Annibale”, suggeriva qualche giorno fa la saggia penna del torinese Gramellini), la marcia a favore della TAV suggerisce fin da subito una triplice riflessione, che varca i confini del capoluogo piemontese.
La società civile è la nuova opposizione
Mentre il PD si aggroviglia sul congresso più noioso della storia e FI somatizza la perduta centralità del Capo e delega il contrattacco ai rimbrotti in aula di Mara Carfagna, la società civile si organizza. E diventa opposizione al Governo. Una forma embrionale di opposizione – d’accordo – ma pur sempre un’opposizione.
La manifestazione del 10 novembre non è infatti un fulmine a ciel sereno, ma segue quella romana del 27 ottobre, contro la gestione dell’amministrazione capitolina della Sindaca Raggi, promossa dal comitato non partitico di #Romadicebasta.
La quale, a sua volta, è venuta dopo la marcia del 13 ottobre a Verona, dove migliaia di donne (e uomini) hanno contestato la mozione anti abortista approvata da un Consiglio Comunale in perfetta assonanza con le posizioni governative sui diritti civili.
A organizzare è stata, quella volta, “Non una di meno”, rete femminista che, nuovamente, si tiene ben distinta da ogni riferimento di partito.
Un nuovo pragmatismo femminile
Almeno due fili rossi legano spiritualmente tra loro le iniziative di questo ‘autunno di piazza’. Intanto la circostanza di prendere pragmaticamente le mosse da episodi originatisi in ambito locale, siano essi le buche, gli autobus che prendono fuoco, la mozione del Comune o la costruzione di una ferrovia.
In secondo luogo il fatto di essere stati animati prevalentemente da donne. Donne, ovviamente, le attiviste di “Non una di meno”, donne le organizzatrici di #Romadicebasta, donne, in gran parte, le animatrici della marcia torinese (ed in particolare le amministratrici del gruppo Facebook “Si, Torino va avanti”, tra i principali promotori dell’iniziativa, nonostante la petizione sia in realtà stata lanciata da due uomini, di cui uno, peraltro, già Sottosegretario alle Infrastrutture nell’ultimo governo Berlusconi).
Quasi che alla prova dei fatti, al vaglio di una nuova concretezza di stampo femminile, i mirabolanti annunci del Governo del cambiamento mostrassero la desolazione di tutti i loro punti deboli.
Dai social alla piazza
Le modalità: coordinamento sui social e poi protesta in piazza.
Diceva un antico proverbio “a brigante, brigante e mezzo” e la lezione sembra essere stata introiettata. Cosa può preoccupare di più un Governo che rivendica la propria natura telematica e populista, di una marcia popolare che, partendo da internet, finisce a sfilare sotto casa sua?
D’altra parte, se è vero che siamo nell’era della comunicazione, la forma è sostanza, talvolta persino più del contenuto stesso.
Sembrava averlo intuito anche il PD, il 30 settembre, in Piazza del Popolo, a Roma.
Prima che il richiamo delle riunioni polverose tornasse a farsi irresistibile.
Stefano Bucello