Dove è previsto lo spazio per un detenuto, in realtà, nelle carceri italiane ce ne sono due. Questa è la drammatica proiezione del rapporto Antigone, che fotografa il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane, le peggiori dell’UE da questo punto di vista.
Non è una novità: ancora una volta le carceri italiane si confermano le peggiori dell’Unione Europea per quanto riguarda il tasso di sovraffollamento, con strutture che toccano il 200%. A riportarlo è il nuovo rapporto “Numeri e criticità delle carceri italiane nell’estate 2019″ dell’associazione Antigone. La situazione fotografata al 30 giugno 2019 presenta 60 552 detenuti sul suolo italiano, distribuiti in 190 carceri. Negli ultimi sei mesi, sono aumentati di 867 unità e, a questi ritmi, il nostro Paese potrebbe ritrovarsi nella situazione che portò alla condanna da parte della CEDU nel 2013. Il podio dei Paesi non virtuosi spetta poi a Ungheria e Francia, rispettivamente al secondo e al terzo posto per tasso di sovraffollamento dei loro istituti di pena.
Le carceri italiane: in una situazione drammatica emergono anche rari esempi virtuosi
Cosa si intende per sovraffollamento
Il concetto è semplice: secondo il Ministero della Giustizia, i posti disponibili nei nostri istituti penitenziari sono 50.496. Ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 metri quadrati per se stesso, a cui si aggiungerebbero 5 metri per gli altri. Il Ministero però nel calcolo complessivo non tiene conto che alcune sezioni sono temporaneamente chiuse, ad esempio per ristrutturazioni. Le carceri di Como, Brescia, Larino e Taranto vedono il sistema al collasso con due detenuti nello spazio destinato normalmente a uno. Il sovraffollamento è un problema serio, che solo chi pensa al carcere come vendetta e non come giustizia non vede. Più persone in strutture al collasso comportano difficoltà di gestione da parte del personale e l’impossibilità di garantire ai detenuti un processo di rieducazione fatto anche di istruzione, che li porti a comprendere il disvalore della loro condotta e a variare il loro stile di vita una volta usciti dal carcere. Se un percorso che dovrebbe riorientare l’ago delle azioni del detenuto, invece, punta solo allo stoccaggio massivo delle persone, arrendendosi al fatto che debbano oziare in cella per mancanza di fondi e di strutture. i numeri relativi ai tassi di recidiva in Italia non sono un mistero.
Non è solo lo spazio a mancare
La situazione penitenziaria italiana è uno dei settori in cui si assiste a uno scollamento tra la previsione normativa e la drammatica realtà: nel 65,6% delle carceri non è possibile avere contatti con i familiari via Skype, nonostante la legge lo preveda. Nell’81,3% non è addirittura mai possibile effettuare un collegamento a Internet. L’ordinamento penitenziario, infatti, prevede tra i suoi obiettivi, coerentemente con la Costituzione, la rieducazione del detenuto. Essa passa, per forza di cose, anche tramite il contatto con la famiglia, intesa come stimolo positivo a cessare la propria condotta delittuosa.
Il tasso di detenzione
In Italia ci sono 100 detenuti ogni 100 mila abitanti: il tasso di detenzione ci colloca quindi a metà classifica in Europa, a differenze del tasso di sovraffollamento. Il Paese con il numero più alto di detenuti per lo stesso numero di abitanti è la Russia (377 su 100 mila), mentre i Paesi scandinavi incarcerano meno. A guidare questa classifica sono i paesi dell’Est Europa, con tassi di detenzione che superano di tre volte le democrazie nordiche.
Suicidi in carcere
Un altro fattore che va a misurare la salute del settore penitenziario è sicuramente il numero di suicidi che avvengono in carcere. Su 94 decessi avvenuti nei penitenziari italiani da inizio anno, 26 di questi sono suicidi e, ancora, di questi 6 fanno riferimento all’istituto di Poggioreale.
Pene che diminuiscono ma si allungano
Senza considerare il tasso di sovraffollamento, il 2019 conferma il trend decrescente per quanto riguarda il numero di ingressi in carcere (25.144 nel 2017, 24.380 nel 2018 e 23.442 nel 2019). Sorprendentemente, però, aumenta il numero dei detenuti: il dato è presto spiegato. L’andamento crescente è dovuto in questo caso all’inasprimento delle pene inflitte: sono aumentati gli ergastolani e coloro che scontano pene medio-lunghe, comprese tra i 5 e i 20 anni.
In media. ogni detenuto è in carcere per scontare una pena collegata a 2,3 reati. Le imputazioni relative all’uso e allo spaccio di droghe sono il 35%, sommandosi in alcuni casi ad altri reati. Il 55% dei reati riguarda violazioni contro il patrimonio, mentre il 40,5% fa riferimento a reati contro la persona.
L’origine dei detenuti
I reati riguardanti gli stranieri sono il 27%. I detenuti sono per il 18,7% degli stranieri totali di origine marocchina, romena e albanese (12,4%), tunisina (10,1%) e nigeriana (8%). Molti di questi si trovano in Sardegna, nei penitenziari di Is Arenas e Nuoro, con presenze che toccano l’80%. Per quanto riguarda i detenuti di cittadinanza italiana, quasi la metà proviene da solo quattro regioni: Campania, Puglia, Sicilia e Calabria
Genitorialità in carcere
Il 45,2% dei detenuti ha figli: sono oltre 61 mila le persone che hanno almeno un genitore in carcere. Quasi 4 mila detenuti hanno più di 4 figli, mentre oltre 9 mila ne hanno più di 3. A giugno 2019, ammontavano a 54 (26 stranieri e 28 italiani) i bambini presenti nelle carceri italiane insieme alle loro madri detenute, 35 di questi alloggiati negli Istituti a Custodia Attenuata per Madri (Icam).
L’istruzione in carcere
Superano le 1000 unità gli analfabeti detenuti: di questi 350 sono italiani. Per fare un confronto, in Italia l’analfabetismo riguarda lo 0,8% della popolazione, con un dato che, quindi, in carcere raddoppia. Il 10% dei detenuti ha solamente la licenza elementare, mentre i laureati superano di poco l’1%. Un dato che Antigone commenta affermando che “Investire sull’educazione e sul welfare costituisce una forma straordinaria di prevenzione criminale”. Un commento che giunge in un periodo in cui l’associazione sta raccogliendo numerose segnalazioni relative alla chiusura di diversi corsi scolastici in carcere, come nel caso di Rebibbia o della provincia di Cosenza, dove sono centinaia le richieste di accesso ai corsi rimaste inascoltate. Spesso le difficoltà della macchina infraministeriale che unisce Giustizia e Istruzione porta a situazioni di questo tipo: la necessità logistica di accorpare più classi si scontra con il divieto di far incontrare certe tipologie di detenuti tra loro. L’allarme di Antigone, quindi, riguarda il rischio che molte persone, all’interno del loro percorso di rieducazione, possano rimanere a oziare in cella, creando delle difficoltà di coesistenza in spazi sovraffollati e, quindi, traducendosi anche in nuove problematiche di gestione per il personale degli istituti penitenziari.
La soluzione al sovraffollamento esiste?
La soluzione al problema del sovraffollamento non può essere legata alla costruzione di nuovi istituti. Innanzitutto, perché l’urgenza della situazione non permette una progettualità a lungo periodo e, in secondo luogo, per gli elevatissimi costi che comporterebbe una scelta in questo senso, senza coperture rintracciabili nel sistema. L’analisi di Antigone riporta come, a copertura delle disposizioni dell’art. 7 del Decreto Semplificazione, ci sarebbero circa 20 milioni derivanti dalla legge di Bilancio del 2019 e una quota non specificata di 10 milioni derivanti dal Fondo per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Il Piano Carceri del 2010 beneficiava di uno stanziamento di circa 460 milioni di euro, mentre alla fine del 2014 ne sono stati spesi circa 52 per la realizzazione di 4.400 posti. Con meno di 30 milioni di euro in due anni quindi la progettualità non può esistere.
Rieducazione o stoccaggio?
A ciò si aggiunge anche un altro aspetto: nuove carceri comporterebbero un aumento di personale e un aumento di opportunità trattamentali, a oggi, però, già in difficoltà con i numeri relativi alle strutture esistenti. Più carceri, quindi, comporterebbero, ancora una volta, uno stoccaggio dei detenuti massivo.. Anche in questo caso dunque Antigone ribadisce la necessità di ingenti risorse aggiuntive al bilancio dell’amministrazione penitenziaria che, già oggi, ammonta a circa 3 miliardi di euro l’anno.
Elisa Ghidini