Le sfide si moltiplicano velocemente, perché sono aumentate anche le falle del sistema economico e della Globalizzazione. Non possiamo più tornare indietro. Non possiamo immaginare di azzerare di colpo l’interdipendenza economica tra i paesi e i mezzi di produzione. Possiamo solo apportare dei correttivi, renderci conto che l’economia va riformata.
La lotta al cambiamento climatico, la gestione di future pandemie, l’indebolimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali – libertà di espressione e libertà di stampa – sono problemi oggi che per essere risolti hanno bisogno di mutualismo, cooperazione e di fiducia. Ma anche di idee innovative per il «bene comune» contro ogni forma di individualismo o nazionalismo.
Tassare le multinazionali nel secolo delle Big Tech
Il passaggio dal web 1.0 a quello 2.0 ha rappresentato una svolta per l’economia moderna e una fortuna (e non solo) per le Big Tech della Silicon Valley: Facebook, Google, Apple e le altre “sorelle”. Il XXI è il secolo di queste multinazionali.
Nel frattempo si sono verificate anche due crisi economiche a distanza di una decina d’anni l’una dall’altra. Certi equilibri geopolitici si sono infragiliti, pensiamo ai rapporti tra Stati Uniti e Cina. Le disuguaglianze nei paesi occidentali si sono aggravate. Le persone e i nuclei familiari sotto la soglia di povertà stanno aumentando in modo diffuso negli Stati industrializzati.
Per evitare una nuova dura recessione economica, lo Stato ha scelto di tornare protagonista della ripresa, come è accaduto dopo la guerra. Ed è a questo nuovo e indispensabile protagonismo che dobbiamo la proposta di tassare le multinazionali.
Tassare le multinazionali? Non è il primo tentativo
Tassare le multinazionali, imporre una tax corporate, è una questione estremamente divisiva e non di facile soluzione. Eppure, l’amministrazione statunitense, guidata dal dem Joe Biden, ha deciso di rispolverare il tema in un periodo in cui la crisi economica riguarda tutti i paesi.
Il segretario del Tesoro, Janet Yellen, propone due livelli d’intervento: l’imposizione fiscale minima sui profitti delle multinazionali e alcune esenzioni sui servizi digitali.
L’obiettivo è quello di arrivare a metà 2021, entro giugno-luglio in occasione del prossimo G20, a un accordo globale. Il primo beneficio che trarrebbe l’economia è neutralizzare i paradisi fiscali, dove si sono rifugiate soprattutto le Big Tech.
Le risorse ottenute dalla tassazione aiutano a sostenere anche l’aumento del debito pubblico degli Stati industrializzati oppure ad aumentare gli investimenti pubblici per ridurre le emissioni, rendere sostenibili i centri urbani, potenziare le infrastrutture. Come intende fare l’amministrazione Biden.
Recuperando la prima proposta di riforma, a guidare le negoziazioni sull’accordo globale è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD).
Uno dei punti sui quali i paesi stanno ancora discutendo riguarda l’introduzione di una tassazione unica che aiuti a sanare le differenze tra i paesi.
Ci sono tanti Stati dove le multinazionali operano senza avere una sede fisica. Un fatto che finora ha reso difficile stabilire come tassare queste società. La sede fisica è il parametro tipico del sistema fiscale tradizionale.
Lotta di popolo e lotta di interessi
Come ha spiegato il Financial Times, mettendo d’accordo tutti i paesi gli Stati Uniti vogliono perseguire gli interessi nazionali. Joe Biden racconta gli obiettivi che intende raggiungere tassando le multinazionali: energia pulita e potenziamento delle infrastrutture, dalle autostrade ai ponti.
Il FT spiega anche che la proposta avanzata da Yellen, tassare in base al volume di vendite di prodotti e servizi in ciascuno Stato, colpirà di fatto un numero ristretto di multinazionali. Imporre una tassazione minima servirà invece a evitare quella che Yellen ha definito una corsa al ribasso. Stati Uniti e Unione europea vogliono superare i favoritismi fiscali.
Il lavoro che la comunità internazionale sta portando avanti ha il fine di evitare che le multinazionali si sfilino dai prelievi fiscali. Insomma, il dibattito sulla corporate tax globale ha cambiato veste. Tanto che vent’anni fa il proposito era quello di evitare una doppia tassazione sulle multinazionali.
Il fondatore di Amazon Jeff Bezos, ha dato il proprio sostegno alla proposta dell’amministrazione Biden. Come spiega la CNN, con il paradosso che la multinazionale può facilmente ridurre il proprio reddito imponibile peraltro senza commettere reato. Alzare la tassazione dunque non è sufficiente per creare una fiscalità più equa.
È sui guadagni, sul reddito prodotto dalle multinazionali che Biden dovrebbe puntare, anche per rimediare al taglio delle tasse introdotto da Trump nel 2018 e all’applicazione di quella flat tax al 21% sulle corporation che ha agevolato Bezos e non solo.
Tassare le multinazionali unisce o divide?
Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha annunciato entro luglio 2021 l’introduzione
«di una tassa sulle multinazionali, una tassa molto attesa perché le imprese gareggiano in tutto il mondo ma non godono del regime di tassazione di alcune multinazionali con sede in un paradiso fiscale».
In questo caso, l’Italia ha accolto la proposta del presidente Biden, perché l’economia è trainata dalle esportazioni e le piccole e medie imprese, che costituiscono l’80 per cento del tessuto produttivo, devono fare i conti con la concorrenza di società di grandi dimensioni, internazionalizzate e che godono troppo spesso di regimi fiscali favorevoli.
Lo scoglio dei paradisi fiscali
I paradisi fiscali esistono anche nell’Unione europea. Ed è il motivo per il quale ci sono resistenze rispetto alla proposta avanzata dall’amministrazione Biden e al lavoro di negoziazione che sta portando avanti l’Oecd.
Il primo stop all’iniziativa è arrivato dall’Irlanda, paradiso fiscale per eccellenza. Il ministro delle Finanze, Paschal Donohe, ha dichiarato che il paese si opporrà a qualsiasi forma di tassazione sulle multinazionali se il sistema dovesse risultare poco conveniente. Soltanto con la proposta di una tassazione minima globale, l’Irlanda perderebbe circa il 20% delle proprie entrate.
Così anche se non è affatto chiaro cosa intenda Donohe per «tassazione appropriata e accettabile» tra i paesi, c’è un dato incontrovertibile: il sistema attuale ha solo favorito una concorrenza fiscale al ribasso che ha agevolato le multinazionali. E dalla parte dell’Irlanda ma anche di altri Stati, che costituiscono piccole economie, c’è il timore di un danno che almeno i governi non sono disposti ad accettare.
Chiara Colangelo