La nuova task force Zebra per il contrasto al traffico di migranti

Nuova task force europea per contrastare il traffico di migranti lungo la rotta balcanica solleva dubbi sull'efficacia delle misure e sulla tutela dei diritti umani

La nuova task force Zebra per il contrasto al traffico di migranti

Nella giornata dell’8 marzo si è svolta a Zagabria una conferenza stampa che ha dato ufficialmente il via alla task force ZeBRA. Si tratta di un nuovo gruppo operativo, frutto della collaborazione tra diverse istituzioni europee (prima tra tutti l’Europol) e Paesi tra cui Croazia, Bosnia-Erzegovina, Slovenia, Romania e Germania, istituito con l’obiettivo primario di contrastare il traffico di migranti che attraversano la rotta balcanica.

La decisione di istituire il gruppo “ZeBRA” è stata presa per elevare ulteriormente il livello di cooperazione tra i paesi e le istituzioni coinvolte nella gestione dei flussi migratori e per la protezione delle frontiere con l’Europa.

Il capo del Centro Europol per la lotta al traffico di migranti Seweryn Stopa, presente alla conferenza stampa, ha sottolineato come l’aumento delle attività legate al traffico di migranti nel territorio della Bosnia Erzegovina verso la Croazia e la Slovenia abbia reso necessario “reindirizzare le nostre risorse a disposizione delle forze di polizia della regione poiché abbiamo riconosciuto che il lavoro nella lotta contro i trafficanti di migranti può essere efficace solo con un approccio più coordinato, in cui Europol fornisce pieno sostegno ai paesi membri e ai partner”.

Bisogna ricordare che la rotta balcanica versa in quella che è stata definita da diverse agenzie umanitarie internazionali una ‘tragedia umanitaria’ a causa della mancanza di vie legali sicure, respingimenti violenti alle frontiere e abusi sui migranti ampiamente documentati. Si tratta di un tipo di trattamento profondamente diverso sa quello garantito ai cittadini ucraini in fuga dopo lo scoppio del conflitto con la Russia, che hanno attraversato gli stessi confini, mostrando evidentemente l’esistenza di profughi di serie A e profughi di serie B.

La strategia europea per il contrasto al traffico di migranti della rotta balcanica occidentale continua quindi a puntare su task force di polizia e presidio delle frontiere, mettendo ogni giorno a rischio, da oltre 10 anni, la vita dei migranti che rimangono bloccati in un confine fatto di muri e militari, compromettendo i diritti delle persone in cerca di asilo mentre le violazioni alle frontiere continuano. Tutto in nome della “sicurezza”, la nostra, non dei migranti, che non vengono neanche citati.

Sia nel comunicato stampa del Ministero degli Interni Croato, che in quello della SIPA (l’Agenzia di Investigazione e Protezione della Bosnia-Erzegovina) che in quello dell’Europol non c’è infatti traccia delle condizioni dei migranti che vengono trafficati per attraversare i confini.

Da europei, in oltre 20 anni di ‘crisi migratoria’, dovremmo aver capito che continuare a presidiare le frontiere non garantirà sicurezza finché continueranno ad esserci persone disperate in cerca di una via di fuga dal proprio paese e finché non si stabiliranno delle vie legali sicure per fare in modo che queste persone non siano costrette a mettersi nelle mani di trafficanti senza scrupoli. L’operazione Zebra è solo l’ultima di tante altre task force nate con l’obiettivo di intercettare i trafficanti, in sintonia con l’ipocrisia europea sulla questione migratoria.

Le misure europee per la rotta balcanica

Parlare di ipocrisia europea non sembra una cosa scontata quando si leggono le azioni e le misure che l’UE ha concluso con i partner della regione balcanica. In particolare, nel dicembre del 2022, la Commissione Europea ha presentato un piano d’azione per i Balcani occidentali che individua una serie di misure operative per rafforzare il partenariato con i paesi della regione, sfruttando la loro prospettiva di adesione all’UE.

Lo strumento che l’Europa utilizza infatti per sostenere questi paesi è l’IPA (strumento di assistenza preadesione), che fornisce principalmente assistenza finanziaria e tecnica. I fondi dell’IPA III, pensata per il periodo 2021-2027, hanno già raggiunto nei primi due anni un valore di oltre 200 milioni di euro, destinati a gestire la migrazione nella regione e a migliorare le capacità di gestione delle frontiere.




In materia di asilo e accoglienza, l’UE si impegna a sostenere i paesi dei Balcani nello sviluppo di sistemi “efficaci” di gestione della migrazione, tra cui i rimpatri volontari e involontari. In questo caso, l’UE garantisce che i partner balcanici “si assumano la responsabilità e la titolarità di tutti gli aspetti della migrazione”. Tutti i partner dei Balcani hanno concluso degli accordi di riammissione con l’UE (eccetto il Kosovo) che comprendono anche una clausola che “obbliga i partner die Balcani occidentali a riammettere i cittadini di paesi terzi che transitano nel loro territorio prima di entrare nell’UE”.

Si continua quindi a spostare migranti da un paese all’altro come se fossero merce, anche perché, relativamente al testo sull’”asilo e accoglienza”, non si fa nessun tipo di riferimento a strategie di inclusione e integrazione, ma solo a “procedure di asilo rafforzate, strutture di accoglienza aggiuntive e sforzi in relazione ai rimpatri”. L’unica soluzione sembra quindi essere, ancora una volta, l’utilizzo di respingimenti alle frontiere, che sono però illegali, come stabilito da diversi trattati europei, in primis il regolamento di Dublino.

Nel frattempo, i Balcani occidentali, secondo quanto riportato da Openpolis, sono diventati una zona progressivamente militarizzata dove la maggior parte degli attraversamenti illegali delle frontiere può essere attribuita a migranti che cercano ripetutamente di raggiungere il paese di destinazione nell’UE e che molto spesso rimangono intrappolate in un limbo dove, se da un lato ci sono i paesi da cui fuggono, dall’altro trovano frontiere sempre più difficili da superare.

Il contrasto al traffico di migranti

Su questo argomento l’Europa ha schierato la piattaforma multidisciplinare di lotta alle minacce della criminalità EMPACT, che offre principalmente servizi di traduzione e interpretazione, individuazione delle frodi documentali e aiuta a rafforzare la cooperazione con le autorità per contrastare la rete di trafficanti. Attività finanziate attraverso un nuovo programma regionale del valore di 30 milioni di euro (IPA).

L’Europol è molto attivo in questo senso e lo dimostra anche il fatto che l’annuncio della nuova task force Zebra è arrivato in concomitanza con i risultati di un’indagine che ha portato, tra il 24 gennaio e il 6 febbraio, all’arresto di un ‘obiettivo di alto valore’ (una donna bosniaca considerata la leader di una rete di trafficanti) e di altre 18 persone identificate come membri di organizzazioni criminali legate al traffico di migranti operanti tra la Bosnia Erzegovina e la Croazia. L’indagine avrebbe scoperto diverse reti che operano nella regione e ritiene che i leader di queste reti risiedano in paesi extra UE, ma anche in Germania e Croazia.

L’operazione ha visto la partecipazione di Europol con il coinvolgimento attivo delle autorità della Bosnia-Erzegovina, della Corazia, della Slovenia e con il supporto informativo della Germania.

Dalle indagini è emerso un modus operandi dei trafficanti ben noto e molto pericoloso. I migranti venivano fatti nascondere in furgoni o camion e venivano trasportati fino al confine con i paesi UE per poi continuare l’attraversamento a piedi. I trafficanti coordinerebbero diverse reti locali per garantire un alloggio temporaneo per poi trasferire i migranti.

Le politiche che privilegiano la protezione delle frontiere rispetto ai diritti delle persone hanno portato a una situazione in cui i rifugiati sono costretti a intraprendere viaggi pericolosi e spesso fatali per cercare sicurezza e protezione.

L’ipocrisia europea in materia di migrazione

Secondo l’8° rapporto PRAB (Protecting Rights at Borders), nel 2023 più di 28mila migranti hanno subito respingimenti e violazioni dei diritti umani alle frontiere europee, di cui oltre 8mila solo negli ultimi quattro mesi dell’anno. Tra le violazioni documentate dal rapporto, su 1448 persone intervistate, l’83% ha dichiarato di aver subito trattamenti disumani e degradanti al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina, mentre il 61% al confine tra Francia e Italia.

Paradossalmente, mentre l’UE si impegna in dibattiti politici e accordi internazionali, sembra mancare la volontà politica di mettere i diritti umani al centro delle decisioni. Gli accordi politici che emergono dai tavoli delle trattative europee e nazionali sembrano priorizzare la protezione delle frontiere a scapito dei diritti delle persone in cerca di asilo.

Il Memorandum tra Italia e Albania e il nuovo Patto UE su Asilo e Migrazione sono due esempi emblematici di questa tendenza. Invece di porre fine alle violazioni dei diritti umani alle frontiere europee, tali accordi rischiano di compromettere ulteriormente la situazione, mettendo a repentaglio la sicurezza e il benessere dei rifugiati.

La mancanza di percorsi sicuri e legali per raggiungere l’UE non solo mette a rischio la vita dei rifugiati, ma mina anche i principi fondamentali di solidarietà e diritti umani su cui l’Unione Europea si fonda. Senza un radicale cambiamento di approccio politico, il ciclo pericoloso di violazioni dei diritti umani alle frontiere europee rischia di perpetuarsi, con conseguenze disastrose per migliaia di vite umane.

Aurora Compagnone

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