Ha perso 12 chili in dodici giorni, arrivando ai limiti del collasso. No, non si tratta dell’ultima dieta alla moda ma della scelta gandhiana di Giuseppe Serravezza, l’oncologo salentino responsabile scientifico del Lilt e uomo simbolo della lotta per la salute dei salentini, che ha deciso di portare avanti la protesta nella sua forma più estrema e pericolosa, lo sciopero della fame e della sete. La ribellione è rivolta contro il gasdotto Tap, il Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe portare il gas in Italia approdando su uno dei tratti di costa più belli e suggestivi del Salento, e dunque del Mediterraneo, a Marina di Melendugno, dove nel solo punto d’approdo sono stati già sradicati 200 ulivi secolari, nonostante le dure proteste dei No Tap, mentre altri diecimila saranno estirpati lungo il percorso di alcune decine di chilometri che seguirà in terra salentina per allacciarsi alla rete nazionale.
La protesta del dottor Serravezza, alle ragioni di difesa paesaggistica della sua terra somma quella per la salute degli abitanti su cui andrebbe a gravare l’inquinamento ambientale prodotto dal gasdotto. Sull’impatto ambientale non esiste alcuna valutazione da parte della società Tap, ma esiste un chiaro parere negativo da parte dell’Arpa Puglia che definisce superficiali e approssimativi i dati forniti dalla società, in fase di realizzazione, esercizio e possibili incidenti, e boccia l’approdo del gasdotto sul tratto turistico di Melendugno, proponendone uno alternativo in non lontane zone industriali.
Protesta che Serravezza conduce insieme ad altri otto esponenti del mondo sanitario e ambientalista salentino, e che ha deciso di sospendere per tre giorni, fino a giovedì, al fine di riprendere le forze necessarie per arrivare a Roma, accompagnato da 94 sindaci salentini che porteranno la lotta No Tap davanti a Montecitorio per essere ascoltati dal governo, finora sordo alle loro domande.
I tumori in terra salentina, fino a 25 anni fa inferiori alla media nazionale per via dell’aria salubre e della dieta mediterranea, hanno ampiamente recuperato il 23% di differenza, attestandosi ora ben oltre la media nazionale, grazie alla devastante presenza della vicina Ilva di Taranto e della altrettanto archeologica centrale a carbone di Brindisi Cerano, nel loro campo le più grandi industrie monstre d’Europa.
Insomma, sostengono gli oppositori, la Puglia ha già dato all’Italia, senza ricevere alcunché in cambio se non devastazioni ambientali, alle quali il governo ha negato ogni forma di bonifica e di risarcimento.
Il gas in arrivo con il Tap sarà fornito alle industrie del Nord e non porterà alcun beneficio al territorio pugliese, che già produce il doppio dell’energia che consuma, al pari del grande giacimento metanifero esportato dalla Capitanata da alcuni decenni, e al pari del giacimento petrolifero più grande d‘Europa sito in Basilicata, regione che, pur essendo la più ricca d’Italia per risorse naturali, è tra le più povere per reddito dei suoi abitanti. E’ la logica coloniale dello “scambio ineguale”, denunciata da Gramsci un secolo fa, da parte di uno Stato che tratta il Mezzogiorno quale “colonia interna” cui bisogna prendere tutto dando in cambio solo briciole. Come non ricordare che, dalla sua unità, lo Stato italiano, in servizi essenziali quali trasporti, sanità, istruzione e altro, per un cittadino meridionale spende ben il 40% in meno che per uno del Centronord? Quel 40% che, non a caso, segna il divario di Pil pro capite Nord-Sud. Ecco spiegate le ragioni della crescente protesta dei meridionali verso lo Stato centrale che, mentre il Sud sprofonda, insegue un’inesistente “questione settentrionale” per soddisfare gli appetiti leghisti.
Al tutto, si aggiungono le ombre mafiose denunciate dai media sulla gestione del gasdotto, un’opera da 45 miliardi di euro, definita da più parti una colossale speculazione finanziaria di una compagnia privata a danno dei paesi che attraversa, per portare il gas dall’Azerbaigian, uno stato non propriamente democratico, coinvolto in numerosi scandali in cui sono stati implicati alcuni manager e politici italiani. Ultima, ma non ultima, tra le ragioni della protesta, lo straordinario legame esistenziale che i pugliesi hanno con l’ulivo, il cui abbattimento nell’antica Grecia, secondo il dettato di Aristotele, era punito con la pena di morte. La Puglia possiede 60 milioni di ulivi, uno per ogni cittadino italiano, alcuni millenari, alberi simbolo di pace e civiltà che rischiano lo sterminio dopo secoli di felice convivenza sulla terra di Puglia.
Ulivi che i pugliesi vogliono difendere con le unghie e con i denti, anche a rischio della propria vita, come il dottor Serravezza, il quale, come riportato da ”La Gazzetta del Mezzogiorno”, così ha dichiarato: “Sospendo per tre giorni lo sciopero della fame e della sete in vista della manifestazione dei sindaci del Salento in programma per giovedì prossimo a Roma, dinanzi a Palazzo Chigi e Parlamento, alla quale intendo partecipare. Tutti insieme chiediamo, ancora una volta, di essere rispettati ed ascoltati dal Governo nazionale, così come chiediamo che finalmente Regione e Governo riprendano un sano confronto per il bene di tutte le comunità pugliesi. Il Salento non può più permettersi ulteriori pressioni di carattere ambientale e sanitario, tanto alto è il prezzo che questo territorio sta già pagando e del quale le istituzioni nazionali e comunitarie sono drammaticamente a conoscenza. Invito i salentini a non abbassare la tensione morale di questi giorni: siamo solo agli inizi e sappiamo che la lotta sarà lunga e dura, ma lo dobbiamo alle generazioni future di questa terra».
E con lui gli altri otto partecipanti allo sciopero della fame, il prof. Ippazio Antonio Luceri, Boris Tremolizzo, Tiziano Ivan Cozzolino, Silvia Starace, Sandra Sozzo, Mirella Pangia, Anita Rossetti, Simone Calati.