Chi di tangente ferisce: nuovi sviluppi sul caso Eni in Nigeria

Il nuovo presidente nigeriano Muhammadu Buhari aveva promesso, durante la campagna elettorale, che avrebbe lottato strenuamente contro la corruzione dilagante nel suo paese. Infrastrutture, scuole, ospedali: i soldi recuperati da questa lotta andranno a finanziare quanto ancora manca alla giovane nazione africana.

Una piattaforma petrolifera (foto via web)

Oggi, a distanza di un anno dalla sua elezione, il presidente appare sempre più intenzionato a mantenere la sua promessa, a cominciare dal caso più eclatante: il giacimento OPL 245, acquisito da ENI e Shell, pare, grazie ad una tangente da oltre un miliardo di dollari versata all’ex presidente Goodluck Jonathan.

La notizia, venuta fuori grazie alle rivelazioni dei Panama Papers (e già affrontata su questo blog), portò all’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Milano contro l’attuale ad di ENI Claudio Descalzi ed il suo predecessore Paolo Scaroni.

L’Alta Corte Federale nigeriana, la settimana scorsa, ha firmato un’ordinanza con cui autorizza il governo a farsi restituire dalle due compagnie petrolifere il giacimento in questione. Inoltre, a quanto viene riportato da L’Espresso,  il governo potrebbe comminare alle compagnie una maxi multa di 6,5 miliardi dollari. Tuttavia ancora non è stato deciso nulla, per cui la partita rimane molto incerta.

Ma anche nel caso in cui la perdita per le compagnie dovesse limitarsi al solo giacimento, non sarebbe una cosa indolore. Infatti, l’OPL 245 è attualmente il più grande giacimento di petrolio scoperto in Africa, stimato in oltre 9 miliardi di barili di greggio. Un brutto colpo per ENI e Shell, soprattutto visti gli attuali tempi di prezzi del petrolio bassissimi e profitti in calo.

Le due ONG che hanno fatto venire fuori il caso (Corner House e RE: Common) hanno espresso tutta la loro soddisfazione per la nuova sterzata impressa dal governo nigeriano nella lotta alla corruzione. A loro si aggiunge il plauso del portavoce di Global Witness, Simon Taylor: «Generazioni di nigeriani sono stati derubati dei servizi essenziali, mentre i signori del petrolio si sono arricchiti a loro spese. Ora Shell ed Eni devono finalmente affrontare le conseguenze delle loro azioni: le aziende e i loro investitori devono capire che non possono più fare affari con i corrotti senza pagare un prezzo pesante».

L’ENI, dal canto suo, continua a respingere categoricamente le accuse, dichiarando di fornire costantemente tutta la cooperazione necessaria e doverosa alla procura di Milano affinché sia fatta piena luce sulla vicenda.

Lorenzo Spizzirri

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