Il fenomeno, nato in Cina all’inizio del 2021, è una reazione alle severe politiche di lavoro delle aziende high-tech. Ma anche un simbolo di protesta della generazione Z contro un sistema economico disumano, in cui l’efficienza è la priorità assoluta.
La competitività in Cina non è un fenomeno nuovo. Prodotto collaterale del miracolo economico che ha investito il paese negli anni ’70, oggi è riconosciuto quasi come un tratto innato della popolazione cinese. Dall’università all’ambiente lavorativo, l’individuo sente su di sé la pressione della società, che lo spinge a dare il massimo, a non fermarsi mai. Negli ultimi anni, sui blog del Paese di Mezzo spopolano termini come “involuzione” (neijuan) e “rat race”, proprio ad indicare questa corsa frenetica verso l’obiettivo. Che beninteso, non è la realizzazione personale, ma il rendersi utili per la società. In questo contesto nasce il Tang ping (letteralmente stare sdraiati), come ribellione a dei valori che le nuove generazioni non riconoscono più. Ma perché proprio adesso? E in che cosa consiste effettivamente questo dolce far niente?
Le origini del Tang ping
Tutto ha inizio ad aprile 2021, con un post di Luo Huazhong sul forum Tieba. L’utente spiega come abbia lasciato il suo lavoro in fabbrica perché lo rendeva infelice, e come da quel momento abbia adottato uno stile di vita minimalista, lavorando solo il minimo necessario per mantenersi.
Dal momento che non c’è mai stata una corrente di pensiero in questa terra che esaltasse la soggettività umana, la posso creare io stesso. Stare sdraiati è la mia filosofia, e solo rimanendo sdraiati gli esseri umani possono diventare la misura di tutte le cose.
Il post, cancellato successivamente dalla censura del governo, è stato diffuso in altre piattaforme diventando il vero e proprio manifesto di un nuovo stile di vita. Che non è piaciuto al Partito Comunista, visto che potrebbe mettere in difficoltà gli obiettivi di supremazia tecnologica da raggiungere entro il prossimo decennio. A maggio dello stesso anno, l’agenzia governativa Xinhua ha dichiarato ufficialmente la pratica del Tang ping come “vergognosa”, facendo leva sullo stigma della società verso l’ozio. Ma realtà il Tang ping non consiste nel non fare assolutamente niente: chi lo pratica abbandona di fatto qualsiasi obiettivo socialmente riconosciuto (comprare una casa, avere una famiglia, fare carriera) per trovare la felicità a modo suo.
Il termine potrebbe essere una rielaborazione del concetto taoista del wu wei, l’inazione. In effetti, nei testi del filosofo fondatore del taoismo Zhuāngzǐ si ritrovano passaggi dal tono molto simile rispetto al post di Huazhong:
Nessuna gioia in una vita lunga, nessun dolore in una morte precoce, nessun onore nella ricchezza, nessuna vergogna nella povertà.
E ancora:
Egli vaga tra la terra e la polvere, libero e a suo agio, non aspirando a niente nel suo lavoro.
Seguendo questa prospettiva, chi pratica il Tang ping abbandona qualsiasi spirito di competizione. Preferisce lavoretti legati alla gig economy, piuttosto che una carriera nelle aziende informatiche delle grandi città, così tanto ambite in passato. E la tendenza, seppure con nomi diversi, è presente anche al di fuori del paese. Viene praticata dalla N-Po generation in Corea del Sud e dalla Satori generation in Giappone; come in Cina, entrambe hanno abbandonato le tradizionali tappe imposte dalla società. E negli Stati Uniti ha preso piede il fenomeno analogo del quiet quitting, ovvero fare il minimo necessario a lavoro rifiutando qualsiasi straordinario.
L’incertezza economica e il lavoro sfiancante
Le cause profonde di questo sentimento di arrendevolezza, di sconforto nel progresso sono da ricercare nella situazione economica del paese, peggiorata soprattutto dopo la pandemia. Con i lockdown che hanno interrotto per mesi le catene produttive e hanno provocato grosse perdite, è stato difficile reintegrare i lavoratori nel sistema di produzione. Un report di ottobre 2022 del China Labour Bulletin segnava una contrazione dell’industria manifatturiera rispetto alla prima metà dell’anno. Inoltre, come risultato dell’inflazione, i prezzi degli affitti e il costo della vita in generale sono aumentati, mentre i salari hanno subito una stagnazione. In questo modo per molti cittadini è diventato impossibile trasferirsi o mettere su famiglia.
E anche nell’ambiente studentesco la situazione non è migliore. Il sistema di accesso alle università cinesi infatti è regolato da un punteggio, sul quale influisce anche il luogo di nascita. Ciò significa che, per un cittadino nato fuori da una grande metropoli, sarebbe più facile studiare all’estero piuttosto che alle università più prestigiose del paese. E con un livello di studio più basso vengono preclusi molti incarichi che permettono di fare carriera.
Sicuramente un altro fattore è la work policy delle aziende cinesi, soprattutto quelle high-tech. In molte di esse vige infatti l’orario lavorativo 996, vale a dire dalle 9 di mattina fino alle 9 di sera, sei giorni a settimana. Il tutto per un totale di 72 ore settimanali. Tra le aziende che ne fanno uso ci sono anche Huawei e Alibaba, il cui fondatore Jack Ma ha definito lo standard del 996 “una benedizione”. E nonostante ad agosto 2021 la Corte Suprema cinese abbia stabilito che sia una misura illegale, le aziende non sembrano aver recepito il messaggio. A febbraio 2022, infatti, si registra il decesso di due dipendenti per superlavoro. Una donna che lavorava in un’azienda di architettura e un dipendente di Bytedance, la società madre di TikTok.
Il Tang ping, quindi, è diventato un’altra forma di ribellione silenziosa, insieme alle proteste di fine 2022 in cui le persone sono scese in strada per mostrare non striscioni, ma fogli bianchi. Non solo contro il governo cinese, ma contro un sistema insostenibile per l’essere umano, che elogia la fatica e disdegna un po’ di sano ozio. Forse dovremmo ricordarcene, quando torniamo a casa stremati dopo un turno in ufficio o dopo una sessione di studio intensa. Pensare che non è solo per faticare, o per produrre, che si vive. E magari sdraiarci per un po’.