Quella che stiamo vivendo è l’epoca dei talent, dei programmi che da quasi vent’anni catalizzano l’attenzione del grande pubblico. Inizialmente, il concept poteva definirsi pionieristico e dava un bel calcio a tutti quei programmi di prima serata un po’ anacronistici e stantii. Ad oggi però i talent show iniziano stancare ed il loro format andrebbe aggiustato per ridargli l’appeal degli anni d’oro.
Amici vs X Factor: c’eravamo tanto odiati
Il talent show che ha dato il via alle danze nel terzo millennio è stato Amici di Maria De Filippi, anzi Saranno Famosi, nel 2001. Un programma studiato nei minimi dettagli che ha segnato fortemente la generazione di giovani artisti nati negli anni Ottanta. Nel 2008 la Rai lancia X Factor sulla scia del grande successo continentale ottenuto dalla versione britannica ideata dal celebre Simon Cowell.
Mediaset contro Rai. Privato contro pubblico. Canto, danza e recitazione contro solo canto. Sì, un no contest dichiarato. Per provare a correre ai ripari e colmare il gap l’emittente pubblica nel 2009 lancia Academy, un talent show dedicato alla danza che però si rivela un grande flop e non viene riproposto negli anni seguenti. Nel biennio 2008-2009, quando ad Amici vincevano Marco Carta e Alessandra Amoroso che, indipendentemente dai gusti, restano artisti con una carriera più che discreta, ad X Factor trionfavano gli Aram Quartet e Matteo Becucci. Ora, se non avete mai sentito questi nomi non vi allarmate perché fate parte della stragrande maggioranza.
Proprio nel 2009, per ragioni non del tutto identificabili, si tiene la terza edizione di XF (la seconda dell’anno) dove arriva il primo momento di svolta della trasmissione: Marco Mengoni vince e si annulla il gap con i “cugini” di Amici. Il secondo snodo fondamentale per il programma arriva nel 2011 quando passa nelle mani di Sky, abbandonando i casting scialbi in studio e rendendo il tutto un po’ più sbrilluccicante e meno “da Rai”. Negli anni a seguire le parti si invertono ed è la stessa De Filippi a dover rincorrere il talent show divenuto parte della cultura pop.
Masterchef ed Hell’s Kitchen: come rendere complesso un piatto di pasta
Perde l’appeal del live ma guadagna in replicabilità. Questo è il nocciolo del successo dei talent show di cucina. Spieghiamoci meglio. Per intonare un falsetto alla Freddie Mercury o si ha una dote innata, appunto l'”x factor”, o le figure barbine sono invitabili; mentre, per cucinare un “tuorlo d’uovo marinato alla Carlo Cracco” in fin dei conti serve tempo e studio (come ha spiegato lo chef Cannavacciuolo) ma non è impossibile per nessuno. In questo Masterchef è stato geniale perché ha avvicinato un mondo che fino a quel momento era di proprietà privata delle nonne e degli addetti ai lavori. Da quando è entrato nelle vite di ognuno di noi, tutti quanti abbiamo cercato di impiattare in modo più artistico dei semplici rigatoni al pomodoro. E’ diventato talmente popolare che è servito un programma come Hell’s Kitchen per far capire che in una cucina vera le cose sono ben più complicate. La sigla con i coltelli che volano è abbastanza eloquente. Il problema in questi casi è un altro: qualcuno sa che fine hanno fatto i vincitori? E che abbiamo citato solo i più celebri talent, ma non dimentichiamoci dell’offerta quasi paradossale che sta spopolando su tutte le emittenti.
Alla fine non cambia mai nulla, tranne la giuria
E qui arriviamo al focus del discorso. Perché i talent show da un paio d’anni stanno perdendo il loro appeal? Semplice, perché succedono sempre le stesse cose. Il canto è canto, la cucina è cucina e su questo non ci piove, ma il problema alla base sta nel format. L’unico talent che si è un po’ rinfrescato è proprio Amici che, ogni tre o quattro anni, modifica la sua struttura televisiva e di conseguenza anche l’impostazione della competizione. X Factor e Masterchef invece sono fermi immobili sulle tradizionali regole. Il primo ad esempio ha sempre le stesse categorie (cambiando gruppi vocali con band, capirete che modifica) e la stessa struttura composta da auditions, bootcamp, home visit e live. Cosa cambia? Di considerevole nulla.
Ciò che realmente fa restare a galla questi programmi sono i continui cambi di giuria, che avvicinano nuove fasce di spettatori creando curiosità attorno alle nuove figure. Sono delle semplici mosse di marketing. L’arrivo di Sfera Ebbasta è una semplice, ma perfetta, strategia di marketing poiché porterà interesse in quella platea di fan che prima non fruiva a pieno del talent di Sky. Perché, senza che si offenda nessuno ma diciamocelo, cosa può insegnare Sfera Ebbasta al di fuori della trap? Niente, così come non poteva farlo Simona Ventura. Gli avvicendamenti che hanno portato i vari Manuel Agnelli, Samuel, Malika Ayane, Morgan, Levante, Elio ecc. serviva per attirare delle nicchie. Mentre gente come Fedez, Mika, Sfera Ebbasta e Álvaro Soler serviva fondamentalmente per catturare le folle. Stesso dicasi per i grandi chef: Cracco ormai è un divo, Bastianich pure, mentre cuochi come Locatelli e la Klugmann hanno ruoli diversi per il pubblico.
Per non parlare di quei talent show che, per non settorializzarsi, racchiudono talenti di ogni genere, dal simpatico mago al maestro di ombre cinesi. Ma allora stiamo guardando dei talent show o dei jury show? Vincitori degni di nota molto pochi: Mengoni, Amoroso, Emma e poco altro. Giudici divenuti celebrità: tantissimi.
Federico Smania