Tema iconografico fortunatissimo, l’episodio di Susanna e i vecchioni nasconde un’interessante sorpresa che lo scrittore Leonardo Sciascia ha messo in luce per primo. Incredibile ma vero, questo episodio biblico può essere letto come uno dei primi racconti gialli della storia della letteratura mondiale.
Le opere che raffigurano l’episodio di ispirazione biblica noto come Susanna e i vecchioni sono numerosissimi. Tra i più famosi, si annoverano un affresco di Pinturicchio, tre dipinti di Artemisia Gentileschi, due di Rubens, uno di Tintoretto e uno di Veronese. Ma non sono certo i soli. Le ragioni della fortuna iconografica di questo episodio sono sostanzialmente due. Anzitutto, ne è co-protagonista una giovane e bellissima ragazza: ritrarne le grazie costituiva di per sé una sfida allettante per gli artisti. In secondo luogo, narra un episodio davvero avvincente, condito da un pizzico di lussuria, un’ingiustizia rivoltante e perfino un’indagine poliziesca. Di che si tratta?
Susanna e i vecchioni: l’episodio nel Libro di Daniele
L’episodio di Susanna e i vecchioni si trova narrato nel tredicesimo libro del profeta Daniele, accettato dai cristiani cattolici come parte dell’Antico Testamento. In esso si narra che Susanna era la giovane moglie di Ioakim, un ebreo che a Babilonia era molto rispettato. Essendo anche molto facoltoso, Ioakim possedeva un grande e rigoglioso giardino accanto alla casa che faceva da punto di ritrovo per la comunità. Sua moglie Susanna amava rifugiarsi lì per passeggiare. E, quando non c’erano estranei in casa, ne approfittava per fare un bagno nella grande vasca nascosta tra fiori e foglie. Un giorno, però, fu scorta da due anziani che erano stati scelti dal popolo come giudici.
Nonostante la loro età e il buon nome, erano uomini malvagi. Così, quando li colse un’insana passione per la giovane donna, non ebbero esitazioni riguardo al da farsi. Per approfittare di lei, avrebbero fatto leva sulla propria posizione di giudici, minacciando di portarla in tribunale e farla condannare per adulterio. Frequentando regolarmente la casa di Ioakim, non era difficile per loro conoscere le abitudini di sua moglie. La spiarono, la seguirono e la colsero, sola, mentre si preparava per il bagno in fondo al giardino. Le ancelle, dopo aver chiuso le porte principali, erano uscite da una porticina sul retro per procurarle dei profumi. Astutamente, i due vegliardi avevano atteso di non avere testimoni. Non fecero molti giri di parole:
Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede. Noi bruciamo di passione per te; acconsenti e concediti a noi. In caso contrario ti accuseremo. Diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle.
Un dolore patito per amor di coscienza e timore di Dio
Rifiutare quell’indecente profferta per Susanna voleva dire, visto che i due vecchi erano giudici del tribunale, morte certa per lapidazione. Accettare, però, voleva dire morire dentro, perdere la propria dignità e la purezza di fronte a Dio. In questo, Susanna non è diversa da Socrate, a suo modo: meglio subire un torto che commetterlo, meglio morire che andare contro la propria coscienza. Susanna cominciò a gridare; i vecchioni, però, gridarono più forte. Di lì a un secondo il giardino fu pieno di gente. I vecchioni, respinti, berciavano di aver trovato la donna in compagnia di un giovane, che era fuggito senza essere riconosciuto. Lei non voleva confessarne il nome, ma loro l’avevano vista coi loro occhi: doveva perciò essere processata per adulterio. Di Susanna una cosa così non si poteva immaginare: il marito, i familiari, i servitori erano allibiti. Ma la legge parlava chiaro.
Il giorno seguente, Susanna fu condotta in Tribunale. Era bellissima e circondata dal sostegno dei suoi cari: non si poteva immaginare donna più al di sopra di ogni sospetto. Ma i due anziani erano giudici, il popolo li conosceva e li rispettava: quando fecero il loro resoconto dei fatti, il destino di Susanna fu segnato. Fidandosi dei due vecchi porci, il popolo condannò la giovane donna alla morte per lapidazione. Mentre la portavano via per eseguire la sentenza, Susanna levò un’ultima preghiera a Dio, affidandoglisi completamente:
Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, tu lo sai che hanno deposto il falso contro di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me.
E il Signore la ascoltò.
«Io sono innocente del sangue di lei!»
Nel bel mezzo della confusione, dalla calca si levò una voce. Era un ragazzino, non aveva ancora la barba. Gridava, gridava più forte di tutti quanti messi insieme: «Io sono innocente del sangue di lei!». Era piccolo, era goffo, ma era la voce di Dio a parlare attraverso di lui. Che, quando la folla finalmente gli prestò attenzione, così rimproverò il popolo:
Siete così stolti, o figli d’Israele? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare né appurare la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei.
Comprendendo quello che stava succedendo, gli anziani del Tribunale vollero che Daniele sedesse in mezzo a loro. Il ragazzo accettò e, quando gli chiesero come procedere, Daniele ordinò che i due accusatori fossero separati. Li avrebbe, infatti, interrogati uno alla volta.
A entrambi i due malvagi Daniele pose un’unica, semplice domanda. Cioè: sotto quale albero Susanna giaceva con il suo amante? Uno dei due rispose che era un leccio, mentre l’altro che era un lentisco. Due piante piuttosto diverse tra loro, difficile sbagliarsi. Messi alle strette e senza aver preventivamente concordato una versione, i due accusatori erano caduti in contraddizione, rivelando il proprio crimine. Susanna venne così scagionata, mentre furono gli anziani a venire messi a morte per la loro slealtà. Per Daniele, inoltre, con l’episodio di Susanna e i vecchioni si apriva una fulgida carriera da profeta, che lo avrebbe reso amato dal popolo.
Susanna e i vecchioni: uno dei primi racconti polizieschi della Storia?
Quello di Susanna e i vecchioni è senz’altro un edificante racconto a lieto fine. Tuttavia, può anche essere letto in altri modi. Uno dei più interessanti viene dallo scrittore Leonardo Sciascia. Che, scandagliando la storia della letteratura alla ricerca delle origini del giallo, ha notato un aspetto interessante. Cioè che il profeta Daniele è stato il primo investigatore a pensare (certo, con l’aiuto divino) di separare due sospettati per indurli a contraddirsi. Riguardo la vicenda, Sciascia osserva:
Decisamente, Daniele è il primo investigatore della storia. E si consideri che, oltre il caso di Susanna, risolse anche quello dei sacerdoti di Belo, svelando a Ciro i loro inganni. Tutti gli investigatori che sono venuti dopo, nella vera e propria letteratura poliziesca, discendono da Daniele.
(Il metodo Maigret e altri scritti sul giallo, pp. 56-57)
Insomma, non solo Susanna dev’essere grata a Daniele. Gli devono molto anche Auguste Dupin, Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Salvo Montalbano. E, con loro, tutti i ferventi appassionati del romanzo poliziesco.