SuperBonus 110: più edilizia in cambio di più deficit

SuperBonus 110% edilizia e deficit

L’introduzione del SuperBonus 110 e le sue successive modifiche e conferme delineano una classe politica italiana allo sbaraglio: lo sviluppo dell’edilizia non giustifica il deficit e la crisi socio-economica

A più di due anni dalla sua introduzione, il SuperBonus 110, nonostante la sua incontestabile azione corroborante nei confronti dell’edilizia,  ha determinato un’evidente crisi nel sistema socio-economico  ed un deficit nei conti pubblici, palesando una quasi totale assenza di lungimiranza nella classe dirigente italiana.

Introdotto il 19 maggio 2020, il SuperBonus era stato presentato come una misura di incentivazione consistente in una serie di meccanismi d’agevolazione, detrazioni e rimborsi per interventi di natura edilizia volti all’ammodernamento di costruzioni ed infrastrutture.

Gli obiettivi perseguiti erano due: migliorare l’efficienza energetica delle infrastrutture, così come preteso dalla Direttiva UE 2018/844 del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo sull’efficienza energetica nell’edilizia, e, al contempo, stimolare e risollevare il settore edilizio in crisi durante la crisi pandemica da Covid 19.

Entrambi, secondo quanto risulta dai relativi dossier, sembrano essere stati raggiunti.

L’analisi di Nomisma ha stimato una “riduzione totale di 1,42 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 nell’atmosfera”, mentre dal Dossier pubblicato da ANCE si evince che “il 60% degli interventi hanno riguardato gli edifici più energivori (classi F e G), e quasi il 90% degli interventi hanno portato gli edifici nelle classi migliori (da A a C)”.

Anche dal punto di vista occupazionale, in particolare nel settore edilizio, si è assistito ad un sensibile incremento: secondo il report del Censis, infatti, “tra agosto 2020 e ottobre 2022  il SuperBonus ha avuto un impatto determinante sull’occupazione pari a 900.000 unità di lavoro, tra dirette e indirette”.

Solo nel periodo gennaio-ottobre 2022 è stato stimato che “i lavori di efficientamento energetico degli edifici abbiano attivato 411.000 occupati diretti (nel settore edile, dei servizi tecnici e dell’indotto) e altre 225.000 unità indirette”. Inoltre, secondo una nota Mef dello scorso settembre, nel solo periodo luglio-settembre “avrebbero fatto il loro ingresso nel mercato edilizio italiano ben 4971 nuove aziende”.

Sempre dal report di Censis, infine,  si evince che nel solo 2021 “il valore aggiunto delle costruzioni è aumentato del 21,3% rispetto all’anno precedente”.

Dati interessanti e che facilmente potrebbero confondere sull’effetto del SuperBonus: andrò quindi ad inglobarli all’interno di un discorso ben più ampio.

In primo luogo, bisogna analizzare l’effetto del SuperBonus sul bilancio dello Stato italiano, sulle spalle del quale esso non grava in quanto debito ma in quanto deficit.

La sottolineatura fu fatta da Eurostat lo scorso febbraio, quando, Luca Ascoli, direttore del reparto ‘statistiche finanza pubblica’, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli strumenti di incentivazione fiscale con particolare riferimento ai crediti di imposta, affermò: “Che i crediti d’imposta maturati con il SuperBonus, e con gli altri bonus edilizi, creino debito pubblico tout court è una sintesi fatta dagli organi di stampa; ciò non corrisponde al vero”.

In una nota, Eurostat, interpellata da Istat nel 2020 circa l’introduzione del SuperBonus e, soprattutto, della cessione dei crediti, fornì un parere metodologico sul trasferimento di quei crediti a terzi e sull’utilizzo negli anni successivi per pagare le imposte, dal quale si evinceva che “i crediti maturati con il SuperBonus fossero classificati come non pagabili”.

Per credito d’imposta non pagabile si intende quello che non comporta una spesa immediata da parte dello Stato ma riduce sensibilmente le entrate fiscali future.

In altri termini, in riferimento ai circa 110 miliardi di ‘debito pubblico’, l’impatto a lungo termine del SuperBonus e dei bonus ‘edilizi’ sul deficit sarebbe esattamente lo stesso, sia nel caso di credito fiscale pagabile che di quello non pagabile;  a cambiare è “il momento in cui vi sarà l’impatto e non l’ammontare totale finale del costo della misura”, affermò Ascoli.

Elemento cruciale dei crediti di imposta è la loro trasferibilità, cioè la loro propensione ad essere utilizzati: con l’aumento della probabilità di mancate entrate fiscali per lo Stato, cioè la situazione all’interno della quale ci si trova in caso di crediti di imposta non pagabili, se la trasferibilità ha dei limiti è verosimile che parte di quel credito non sarà utilizzata e non peserà sui conti pubblici. In altri altri termini il credito verrà considerato perso dal beneficiario.

Oggi i ‘beneficiari perdenti’ sono circa 320 mila, per una somma totale di crediti  pari a 30 miliardi di euro, incagliati a causa del blocco degli acquisti dei crediti da parte delle banche, che vedono terminata la propria disponibilità finanziaria.

In difficoltà ci sono anche le imprese.

Imprese incapaci di portare avanti cantieri, perché non in grado di pagare i debiti derivanti dagli investimenti promossi dall’iniziale previsione di trasferibilità dei crediti d’imposta, si sommano ad imprese che rischiano il tracollo legale a causa delle centinaia di cause mosse a loro carico dai condomini che non vedono portar avanti i lavori di ristrutturazione.

Imprese che hanno concesso lo sconto in fattura rischiano il fallimento, con la conseguente perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, mentre i committenti restano senza risparmi e senza casa.

La seconda analisi da protrarre, invece, riguarda l’allargamento della forbice socio-economica italiana; l’altro lato della medaglia dei 320mila esodati del SuperBonus, infatti, consiste in tutti quegli istituti di credito e banche che, in riferimento alle opportunità derivanti dal SuperBonus, hanno potuto ulteriormente implementare il proprio potere economico.

Le banche, in particolare, quando venne varata la misura, facevano a gara per offrire le condizioni migliori possibili, anche perché i tassi di interesse in quel momento erano praticamente a zero; qualche istituto era arrivato ad offrire fino al 106% per poi scendere al 104% e poi al 102%. Invece, le ultime pratiche accettate dagli istituti bancari che ancora accettavano crediti d’imposta, erano intorno al 90-92%.

Al giorno d’oggi, tolte Intesa SanPaolo, che acquista solo a determinate e limitatissime condizioni, ed Unicredit, che acquista tramite il cessionario EBS Finance, tutte le banche sembrano aver raggiunto il tetto di capacità fiscale, determinando di fatto l’indebitamento dei privati che non sono  riusciti a vendere i propri crediti d’imposta.

Un circolo vizioso, dunque, che ha condannato il presente e il futuro di centinaia di migliaia di persone.

Una classe politica interessata maggiormente a soddisfare le richieste europee a discapito della stabilità economica e sociale del proprio paese non va critica additandole un eccesso di ideologia tendente, indifferentemente, a destra o a sinistra, ma andrebbe contestata per la sua poca  propensione al pragmatismo.

Sia nel breve periodo, come nel caso dei già citati ‘esodati del SuperBonus’, che nel lungo periodo, con il deficit al quale in qualche modo lo Stato italiano dovrà ovviare, infatti, la possibilità di investimenti risulta alquanto remota. Altrettanto remoto sembra essere il grado di attrattività del nostro mercato per gli eventuali investitori interessati alla strategia di privatizzazione, ripromossa lo scorso settembre dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani.

Fa sorridere, in conclusione, il paradosso che viene palesato da una nota del Mef risalente allo scorso settembre: in esso si legge che il “deficit creato dai crediti d’imposta non pagabili sul bilancio dello Stato si è rivelato proporzionato alla capacità del settore edilizio di soddisfare la domanda del mercato”. In altri termini, ciò vuol dire che la manovra economica era errata a priori:  perseguendo l’obiettivo di sviluppo del settore edilizio, a quanto pare, lo Stato italiano avrebbe, infatti, potuto determinare il proprio tracollo finanziario, dal quale, è bene ripeterlo, siamo scampati per motivi assolutamente circostanziali e fortunosi.

                                                                                                                           Luigi Di Vito

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